Giugno 2010

Musica e criminalità

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Neomelodici
da Quartieri Spagnoli

Sergio Bello

 
 
 

 

 

 

 

 

Neomelodici.
Pentagramma di una realtà che canta amori disperati, tradimenti, addii, ma anche vicende di droga, di galera, di delinquenti, di dolori, di leggi, di vittime delle isole del terrore clandestino.

 

 

Una "pittoresca" strada nel ventre molle di Napoli.

Pantchoa

Raccogliendo voci di popolo, Sciascia aveva definito la mafia siciliana «aria che cammina». Che cos’è, allora, la camorra? A giudicare dalle pregevoli ricerche di un giovane studioso, Stefano Esposito, si potrebbe parlare di «note per cori da rioni bassi».
Esempio: «‘Pe’ chist’omm nunn’esist’ ‘a libbertà, / pe l’onore s’annasconn ‘a verità... / È arrivat’a lettera r’o cap’ / a condann’ pe chi ha sbagliat’... / Pur si iss’ è accussì / è cap’ e sap’ campà / pecché ‘o rispett c’ rà / e nui l’amm ‘a rispettà!». Che tradotto suona: «Per quest’uomo non esiste la libertà / per l’onore si nasconde la verità… / È arrivata la lettera del capo / la condanna per chi ha sbagliato… / Pure se lui è così, / è capo e sa vivere / perché ci dà il rispetto / e noi dobbiamo rispettarlo». È una canzone di Nello Liberti, riesumata da poco, che fece scagliare nel 2006 l’allora ministro dell’Interno contro la musica neomelodica napoletana: «Celebrano i camorristi come eroi», disse.
E non aveva tutti i torti, a giudicare dai versi successivi di questa canzone, intitolata ‘O Capoclan, tuttora presente su You Tube: «‘O Capoclan è n’omm serie / che è cattivo n’ì o’ ver’, / ma c’u cor nun se po’ arraggiuna’» («Il Capoclan è un uomo serio / che è cattivo non è vero, / ma col cuore non si può ragionare»).
Dopo le sdolcinature di Mario Merola e di Nino D’Angelo – sostiene Esposito – oggi i neomelodici sono il pentagramma di una realtà che canta e lamenta su note cripto-arabe da sceneggiata amori disperati, tradimenti, addii, ma anche vicende di droga, di galera, di giovani delinquenti, di dolori, di leggi, di vittime delle isole del terrore clandestino dove lo Stato non attracca da non si sa più quanto tempo. Proprio perché espressione delle viscere oscure di Napoli e dintorni, è ovvio che la camorra entri nel discorso. Come disse Gigi D’Alessio: «Se qui fai il cantante e hai successo, volente o nolente devi entrare nel giro. Poi, un conto è fare il proprio lavoro, un altro è essere collusi».
Ma D’Alessio non è ritenuto un neomelodico doc, perché dicono che abbia tagliato le radici. Dunque, non può fare più parte del paesaggio campanilistico esasperato, che appartiene invece ai neomelodici oggi più celebri: Gianni Celeste, Gigi Finizio, Gianluca Capozzi, Raffaello, Gigione & Donatello, Natale Galletta, Gianni Fiorellino, Luciano Caldore, Sal Da Vinci, e via di seguito.

E c’è un sito, “Trashopolis”, che da anni raccoglie le espressioni più clamorose della tv, dalla musica al porno italico. Sicché O’ Capoclan non è il solo spaccato di vita partenopea. L’elenco è fitto. O’ killer, di Gino Del Miro, è una canzone che parla di un assassino seriale pentito della sua vita, (tradotto dal napoletano: «Con queste mani di killer spietato / quanti morti sparati senza neanche pensarci, / come sono stanco, / il passato rimpiango»): il videoclip chiosa infine sull’assassinio del killer che, pentito, aveva tentato di redimersi.
O’ latitante, cantato da Tommy Riccio, racconta il dramma di un delinquente in fuga che non può tornare dai figli, a Natale. Tradotto: «Un latitante non ha più niente / lontano dagli affetti, / nascosto dalla gente». Mentre il testo de I contrabbandieri, di Nello Amato, si abbandona alla poesia: «Quando il sole chiama la luna / e tutto intorno si fa scuro, / arriva una telefonata / che stasera si lavora». Allora le madri pregano Padre Pio perché protegga i figli «alla fatica». Le note concludono col ritornello-inno: «Sono i contrabbandieri / che corrono ogni notte / per fare la guerra ai finanzieri».
Poi c’è un “capolavoro” per definizione popolare. Titolo: O’ mandato e’ cattura: narra la drammatica storia di due fratelli divisi dalla professione, ma uniti da un profondo vincolo di sangue. Uno, poliziotto, deve arrestare l’altro, criminale. Morale della favola, cioè della canzone che spopola: «Si ‘a legge toia dice “M’hai arrestà”, ‘a legge mia dice “T’aggi’a sparà».

Caso emblematico, quello di O’ panar’ e drog’, nel quale Luca Vignati, tra delirio e realtà, canta d’aver riconquistato la sua ragazza grazie a una gran quantità di una non meglio identificata droga che fa «sballare tutta la famiglia / madre, padre e figlia», mentre la gente del quartiere balla e fa festa. Sennonché della droga si deve parlare poco, a bassa voce, e in tono lamentoso. Avendo trasgredito, Vignati è stato condannato a sparire dalle scene musicali.
Mentre è cresciuto il consenso intorno al tema delle badanti, la cui presenza avrebbe determinato «il miglioramento, in termini qualitativi, della vita sessuale degli anziani nel Meridione». Lo dice Tengo ‘a polacca, di Gino Saggese, e ci tormenta il cruccio se gli si debba credere o no.
Da “quartieri alti”, cioè da un universo culturale di ottimo livello, viene Eddy Napoli, figlio del celebre compositore di Luna rossa, per anni al fianco di Renzo Arbore nell’Orchestra Italiana. Di recente, ha dedicato al Sud che poteva essere e non è stato una canzone, emblematicamente intitolata Malaunità. Tra i versi poetici e polemici leggiamo: «N’arraggia ‘n’cuorpo ‘a ‘nu tiempo luntano / c’a cchiù ‘e cient’anne c’abbrucia ‘int’e mmane. / Mane c’arrobbano femmene e terre / e che pretenneno ‘e tasse ‘e ‘na guerra. / Guerra c’accire criature e ‘nnucente / e c’ha redutto ‘sta gente pezzente, / gente d’ammore istruita e brillante / primma brigante e doppo emigrante. / Tu, piemontese, ‘nu miezo francese, / stive ‘nguaiato fra diebete e spese. / Si’ addeventato grand’ommo e sovrano / cu’ e sorde d’e banche napulitane. / Nun cunuscive ne’ onore e crianza / penzave sulo a te regnere ‘a panza. / Nce lassato ‘na granda zavorra: ‘ndrangheta mafia munnezza e camorra…». Con buona pace per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità nazionale!
Pochissime – ha accertato Esposito – le donne neomelodiche, (su tutte, Angela Luce, Maria Paris, Lisa Castaldi, Ida Rendano), mentre sono più numerosi i baby cantanti: Piccola Anna, che con Giggino o’ bello si trasforma, nonostante l’età, in una mangiatrice di uomini; Piccolo Nardi, che però ha già superato i 25 anni ed è già stato ospite del carcere di Poggioreale; Giuseppe Junior, che fra l’altro in ‘A guagliona da’ Smart fa un resoconto struggente di un amore proibito con una quarantenne, mentre con Nun o’ dicere cchiù, duettando con Rino Chiangiano, descrive una sanguinaria faida familiare, e con Carcere descrive i pensieri di un bambino con sogni bruciati e nostalgia della madre. Tradotto: «Non sono cresciuto come gli altri ragazzi / pensando ai giocattoli. / Il giorno, nel tempo libero, / facevo lo scugnizzo / perché dovevo imparare ad affrontare / i problemi di questa società». Poi, l’inno finale: «Carcere! / Se esco di qui / non sbaglio più». In fondo al tunnel, la speranza ha uno spazio che lascia intravedere una luce. Per fortuna.

   
   
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