Giugno 2010

L’Italia della cultura

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La Penisola
come unico museo

Tonino Caputo - Giancarlo Fazzini - Eraldo Lazzari

Coll.:
Manlio Ercolani
Renata Garavaglia
Gennaro Venturi
 
 

 

 

 

 

 

Memorie ignorate.
C’è un’Italia dei musei dimenticati che nessuno, o comunque pochissimi turisti vanno a visitare, e a giudicare dal loro valore e dalla rarità delle opere che ospitano, si rimane davvero scoraggiati.

 

 

Napoli: Gruppo statuario raffigurante il supplizio di Dirce, il cosiddetto "Toro Farnese", esposto nel Museo Archeologico di Napoli.

Archivio BPP

Abbiamo aree mastodontiche: tanto per restare a Roma, le Terme di Caracalla si estendono su venti ettari, quelle di Diocleziano occupano uno spazio altrettanto grande, la via Appia ha le dimensioni di una città; il Colosseo, la Domus Aurea, la Casa di Augusto, Villa Giulia, i Fori Imperiali, gli acquedotti, le Arcate Severiane, diciotto chilometri di mura dentro la città, il Circo Massimo, il Campidoglio, sono oggetto del desiderio di milioni di visitatori italiani e stranieri (con una particolare predilezione per il Colosseo). Tutti i turisti che giungono nella Capitale si concentrano qui. Accade la stessa cosa con la Cappella Sistina o con gli Uffizi, mentre si ignora – ad esempio – che Firenze ha anche lo splendido Museo del Bargello, e si tiene relativamente conto che altri meravigliosi musei sono a Torino, Milano, Ferrara, Venezia, Siena, Arezzo, Napoli, Bari, Taranto, Reggio Calabria, Palermo, Siracusa, nella Sardegna punica, nelle città etrusche dell’Italia centro-settentrionale e in quelle italiote e magnogreche...
Testimonianze d’arte pubbliche e private, recinti archeologici a cielo aperto, beni culturali incalcolabili per numero e per valore, che il mondo ci invidia, (e quando può ci rapina a mano disarmata, attraverso il mercato clandestino), fanno della Penisola un unico, vastissimo recinto d’arte. Eppure, la maggior parte dei visitatori è indirizzata verso pochi centri focali.
Come accade per il Louvre parigino, dove si va soprattutto per vedere la Gioconda, o per l’Ermitage di San Pietroburgo, dove si vogliono ammirare in particolare gli impressionisti francesi e gli arazzi fiamminghi, o per il Prado madrileno, dove si cercano prima d’ogni altra cosa le tele di Goya.

C’è un’Italia dei musei dimenticati che nessuno, o comunque pochissimi turisti vanno a visitare. E a giudicare dal loro valore e dalla rarità e bellezza delle opere che ospitano, si rimane davvero scoraggiati.
Gli esempi si sprecano. Primo fra tutti, il Parco archeologico di Siponto, due chilometri da Manfredonia, in provincia di Foggia, aperto appena una dozzina di anni fa. Bellissime vestigia dell’antica città, importante scalo commerciale già nel VII secolo prima di Cristo, dunque non soltanto massima espressione della civiltà della Daunia, ma anche testimone non muto della nostra protostoria.
In quest’area, in queste campagne, vennero miracolosamente salvate le stele daunie, (un migliaio fra intere e frammenti), grazie alle quali abbiamo conosciuto i vestiti e i gioielli (collane e fibule) e persino le cinture e le pettinature delle donne, le armature e le armi degli uomini al tempo dei nostoi, i rientri degli eroi greci, o le migrazioni anche verso le nostre coste dei vinti troiani; mentre nelle campiture di altre lastre è possibile osservare scene di vita quotidiana (come la molitura del grano, la filatura delle lane, oppure attività di caccia o di pesca) e scene di combattimento. Ritrovate e raccolte, queste splendide piastre di pietra, in massima parte nel territorio sipontino della Masseria Cupola e nella zona di Salapia, e in numero minore anche nelle campagne di Arpi, di Ordona, di Ascalo e di Tiati, e poi – anche se con una certa fatica – ospitate in un museo che vale la pena di frequentare. E suggestivi, sempre immersi nella campagna sipontina, i resti di una basilica paleocristiana. Eppure, facendo la media giornaliera, i visitatori del museo e della fabbrica religiosa si possono contare sulle dita di una sola mano.
Porto di San Severo, a Ravenna, e Museo archeologico di Formia: non si tratta di oasi nel deserto, ma di due centri abitati che soprattutto grazie alla contiguità con il mare sono affollati da torme di vacanzieri, e che tuttavia registrano pochissimi ingressi in questi luoghi d’arte, di cultura e di storia durante l’estate, e figuriamoci nei mesi invernali.

Sono 400 i musei statali italiani, (con presenze annuali che sono state calcolate, per il 2007, intorno ai 37 milioni di visitatori, scesi però l’anno successivo a poco più di 33 milioni, e con un’ulteriore perdita del 3,2 per cento nel 2009, quando sono state registrate 32 milioni e 300 mila presenze), e tra questi sono compresi i quindici luoghi in assoluto meno visitati della Penisola: un patrimonio inutilizzato, o utilizzato male, lontano, se non remoto, dai giri della contestatissima “mostra-mania”, magari preziosi ma sconosciuti al grande pubblico e quindi ignorati dai circuiti turistici sia italiani sia internazionali. È stato riconosciuto che gli scarsissimi visitatori di Siponto devono essere stati personaggi coltissimi e motivati, dal momento che è necessario armarsi di pazienza e telefonare al Castello di Manfredonia per prenotare e farsi aprire le porte. Perché di fatto Siponto è aperto soltanto sulla carta.
Altro caso, quello del Palazzo reale di Pisa, che dopo Monte Sannace, anche questo in Puglia, è terzo fra i luoghi meno visitati, sebbene custodisca un rarissimo Raffaello Giovane, un ritratto di Eleonora di Toledo del Bronzino, e poi opere del Canova e di Guido Reni. Siamo al cospetto di un raffinatissimo gioiello. Eppure totalizza soltanto qualche centinaio di visitatori all’anno.

Quello che nel Bel Paese non riusciamo a fare è valorizzare il suo patrimonio diffuso, soprattutto nelle Regioni meridionali, dove la maggior parte dei siti sono sottoutilizzati. E questo è l’occhio di spia della difficoltà in cui versa la nostra cultura. Ragion per cui non ha torto chi sostiene che l’Italia non dovrebbe rincorrere i grandi numeri, cioè il modello Louvre o Centro Pompidou, né le cifre della Sistina o quelle degli Uffizi. Il vero valore italiano è la straordinaria rete dei musei composta da quattromila realtà tra statali, comunali, diocesane. Privati a parte, che rappresentano un valore aggiunto spesso di primissimo ordine.
Il nostro Paese può competere in campo internazionale, e vincere con estrema facilità, nel turismo culturale, puntando decisamente su un sistema organizzato che valorizzi l’irripetibile ricchezza del nostro territorio, anche nel comune più piccolo e lontano. Ma per raggiungere questo obiettivo occorre – appunto – una capacità di “fare sistema” ancora lontana. Dobbiamo imparare a gestire strategicamente l’informazione, a curare il rapporto con gli utenti e con le realtà locali, e dobbiamo valorizzare le peculiarità dei singoli musei, modernizzando nello stesso tempo i servizi.

C’è chi fa un discorso futuribile: in Francia i musei statali sono 35, nel Regno Unito non saranno più di una dozzina. Lo Stato, stando alle esperienze francesi e britanniche, dovrebbe occuparsi delle eccellenze, come gli Uffizi o Brera, ma dovrebbe lasciare agli enti locali la cura diretta dei musei minori.
La distanza che separa il ministero romano dalla direzione e dalla gestione di una piccola collezione in provincia è immensa. Al contrario, la distanza col Municipio locale è brevissima, anche in termini banalmente burocratici. Il meccanismo consentirebbe di motivare l’ente locale e di spronarlo a valorizzare un bene molto utile per la realtà economica e culturale territoriale.
Esigenza, questa, che il centralismo, malgrado la sua buona volontà, non sempre – o quasi mai – riesce ad avvertire.

Classifica dei Musei italiani meno frequentati

1. Parco Archeologico di Siponto, Manfredonia (Foggia)
2. Parco Archeologico di Monte Sannace, Gioia del Colle (Bari)
3. Museo nazionale di Palazzo Reale, Pisa
4. Museo Archeologico di Venafro, Venafro (Isernia)
5. Museo Archeologico Statale,Arcevia (Ancona)
6. Museo del Castello Malaspina, Bobbio (Piacenza)
7. Antiquarium Statale, Numana (Ancona)
8. Impianto Portuale e San Severo, Ravenna
9. Villa Romana, Russi (Ravenna)
10. Museo Archeologico Nazionale, Formia (Latina)
11. Museo Nazionale Agro Picentino, Pontecagnano (Salerno)
12. Museo Nazionale Archeologico, Altamura (Bari)
13. Museo Archeologico Nazionale, Parma
14. Museo Archeologico di Sepino, Sepino (Campobasso)
15. Museo Archeologico, Campli (Teramo)

I primi tre musei in classifica hanno anche visitatori indiretti, ovvero persone che devono acquistare il biglietto per un circuito museale dell’area, ma che non è detto che visitino il sito: Siponto è in circuito col Museo del Gargano, Monte Sannace lo è col Museo di Gioia del Colle, e Pisa col Museo di San Matteo.
I quindici siti più visitati sono nell’ordine i Musei Vaticani, gli scavi di Pompei, il Palazzo Ducale di Venezia, la Chiesa di Santa Croce a Firenze, la Galleria degli Uffizi, l’Acquario di Genova, la Galleria dell’Accademia di Firenze, il Museo Centrale del Risorgimento al Vittoriano di Roma, il Museo di Castel Sant’Angelo, il Bioparco di Roma, il Museo di San Marco a Venezia, i Musei Capitolini di Roma, la Galleria Palatina di Firenze, la Reggia di Caserta e la Galleria Borghese di Roma.
Visitatori in calo, tuttavia, anche nei musei e nei siti che sono tra i più frequentati della Penisola. Sono, nell’ordine: Cenacolo Vinciano, Palazzo Vecchio di Firenze, Scavi e Museo di Ostia Antica, Museo Nazionale del Cinema di Torino, Opera di Santa Croce, Villa Imperiale del Casale, Galleria degli Uffizi, Museo di San Marco, Museo di Castel Sant’Angelo, Museo delle Antichità Egizie di Torino, Reggia di Caserta, Templi di Paestum. In calo generale il numero dei visitatori delle poleis di Magna Grecia e della Sicilia, ad eccezione del Parco Archeologico di Agrigento. In lieve aumento le presenze nei recinti sardi di Tharros e di Sant’Antioco, e gli sbarchi nell’isola di Caprera.

Altro punto dolente richiamato dai critici della politica organizzativa: i cosiddetti “Musei Superstar” attirano la maggior parte dei visitatori, anche se certe volte la differenza qualitativa non è poi così immensa da giustificare lo scarto. Si pensi a una meraviglia come Palazzo Spinola, a Genova, un’autentica reggia: è proprio la presenza di pregevoli opere come questa, ma non solo in campo architettonico, a rendere visibilità a una certa tipologia di museo.
C’è, poi, la situazione determinata dalle manutenzioni dei beni. Di recente è crollato un pezzetto di Colosseo. Alla fine di marzo sono venuti giù 70 metri quadri della Domus Aurea, chiusa ai visitatori proprio per la sicurezza precaria. Pompei è un’importante emergenza, perché gli interventi conservativi sono finanziati col contagocce e gli scavi qui, a Ercolano, a Baia, come ad Arpi in Puglia sono fermi da tempo: il che determina discussioni a non finire.
Le manutenzioni del patrimonio, del resto, sono diminuite in maniera significativa e ci sono preoccupazioni diffuse per la mancanza o la scarsità dei fondi messi a disposizione. Ci sono, specularmente, alcuni dati positivi. L’anno prossimo dovrebbe essere completato il risanamento del Palatino.
È pronto il progetto per il riordinamento dell’area degli Orti Farnesiani, mentre saranno finalmente accessibili fra qualche settimana il percorso del Tempio di Venere, la Casa delle Vestali al Foro Romano, e un settore degli ipogei e dell’attico del Colosseo.

Per corollario, una sfida: quella degli ingressi gratuiti nei musei e nelle aree archeologiche italiane. E si fa un esempio: la decisione in questo senso del governo Blair, presa nel 1991, portò 22 milioni di visitatori in più nei musei britannici “attrezzati” (cioè dotati di servizi moderni, anche di ristoro) in soli sei anni. Soprattutto nei casi di cui parliamo, la gratuità attirerebbe nuovo pubblico, (si dovrebbe puntare in particolare sulle famiglie, e subito dopo sui flussi turistici organizzati).
Il sistema dell’offerta libera al posto del biglietto non ha registrato dati così lontani dallo sbigliettamento. E poi i musei non saranno mai organizzazioni economiche in grado di autofinanziarsi semplicemente con l’introito da ingresso.
Il turismo italiano ne risentirebbe positivamente, determinerebbe un cospicuo indotto, e l’Italia potrebbe scalare la classifica dell’accoglienza, che ora ci penalizza, vedendoci dietro la Francia e la Spagna. E che con il crollo dei prezzi potrà vederci fra non molto addirittura alle spalle della Grecia. E questo, con l’immenso patrimonio d’arte che possediamo, proprio non lo meritiamo.

   
   
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