Giugno 2010

Energia, clima e sviluppo ecosostenibile

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Un futuro
per il “Made in Italy”

Michael Spence

Premio Nobel per l’Economia
 
 

Gas serra.
Se i Paesi in via di sviluppo adotteranno i modelli attuali di consumo energetico dei partner più agiati, la battaglia per il cambiamento del clima sarà perduta.

 

 

Un’impressionante immagine degli edifici di Buenos Aires, avvolti in una cappa di smog.

Irargerich

È opinione largamente condivisa che alcune attività umane, prime fra tutte l’utilizzo di combustibili fossili, contribuiscano ad aumentare in modo significativo la concentrazione di gas serra nell’atmosfera. Questi gas, in particolare l’anidride carbonica, acuiscono il rischio di arrecare gravi danni al clima. Ciò significa che i limiti da imporre al nostro consumo di combustibili fossili non possono quantificarsi soltanto in termini di disponibilità dei rifornimenti, ma devono tener conto anche dei costi ambientali.
Sussiste una notevole incertezza in relazione alla portata dell’impatto sulle temperature e sul clima di questi livelli in aumento di gas serra nell’atmosfera. Questa incertezza deve essere tenuta in debito conto. I Paesi in via di sviluppo e in forte crescita – quali il Brasile, la Russia, l’India, la Cina e altri nel G-20 – comprendono collettivamente la metà della popolazione umana. Se continueranno nelle loro robuste traiettorie di crescita, come è plausibile, si avvicineranno ai livelli di reddito dei Paesi avanzati entro la metà di questo secolo, o immediatamente dopo.
A quel punto, la percentuale della popolazione mondiale avente livelli di reddito da Paese industrializzato (circa 20mila dollari, o più) salirà dal 16 al 66 per cento del totale. Se tutti i nuovi ricchi adotteranno i modelli attuali di consumo energetico dei partner più agiati, la battaglia per il cambiamento del clima sarà perduta. Senza un intervento di contenimento sulle concentrazioni di biossido di carbonio nell’atmosfera, e dando per scontato che i Paesi in via di rapido sviluppo raggiungano gli attuali livelli dei Paesi avanzati in fatto di emissioni pro-capite di CO2 (tra le 10 e le 11 tonnellate, ma anche molto più in America), l’attuale media globale di 4,8 tonnellate tra cinquant’anni sarà pressoché raddoppiata e potrà raggiungere le 8,7 tonnellate.
Tutto ciò contrasta fortemente con le stime più recenti di emissioni di CO2 ritenute ragionevolmente sicure, come hanno calcolato gli uffici delle Nazioni Unite, secondo i quali per scongiurare un peggioramento del cambiamento del clima le emissioni dovrebbero essere ridotte globalmente a 2,3 tonnellate pro-capite entro i prossimi 50-75 anni. Al ritmo attuale, invece, e senza un significativo sforzo di riduzione e di contenimento, entro la metà del secolo avremo raggiunto il quadruplo del livello ritenuto sicuro.

I Paesi avanzati sono stati fino a tempi recentissimi i principali responsabili delle emissioni di biossido di carbonio, ma i consumi energetici crescono di pari passo con l’aumentare del reddito pro-capite. Cina e India, che contano il 40 per cento della popolazione mondiale, prima che la crisi le colpisse nel 2008 avevano fatto registrare un aumento record del loro Prodotto interno lordo, pari al 9-10 per cento annuo, e verosimilmente nel periodo che seguirà alla crisi attuale riprenderanno a crescere con una velocità simile, il che implica che le loro economie raddoppieranno di volume ogni 7-10 anni. Il loro contributo alle emissioni totali aumenterà nella stessa misura.
Anche altre economie stanno facendo passi avanti a ritmi di crescita relativamente alti. Di conseguenza, mentre molti Paesi sviluppati e in via di sviluppo perseguono iniziative e provvedimenti a tutto campo per aumentare l’efficienza energetica e adottare tecnologie a base di energie pulite, le loro normative e i loro impegni implicano che nei prossimi decenni assisteremo a un picco considerevole delle emissioni totali di anidride carbonica.
Malgrado l’obiettivo delle Nazioni Unite fissato per le emissioni annuali pro-capite di CO2 ancora non sappiamo con precisione quanto riscaldamento sarà provocato dai vari livelli possibili di concentrazione di gas serra nell’atmosfera. Le stime al momento sono quanto mai variabili, anche dopo ricerche che durano da un quarto di secolo e ciò è dovuto alla complessità dell’ambiente stesso. Questa è una delle ragioni per le quali una riduzione efficace dei livelli globali delle emissioni va incontro necessariamente a grandi difficoltà.
In effetti, non è logico presumere che un Paese, ricco o povero che sia, debba fissare o concordare obiettivi su un arco di tempo di mezzo secolo. Considerata la natura stessa del problema – processo decisionale graduale, incertezza su tutti i parametri più importanti (compresi costi, schemi di efficienza della riduzione, tecnologia) – sarebbe più saggio adottare una strategia più flessibile che fornisca incentivi e normative in grado di raggiungere progressi intermedi misurabili, pur continuando nel frattempo a generare molte utili informazioni.

In altre parole, a mio avviso dovremmo concentrare i nostri sforzi su un arco di tempo più breve, per esempio i prossimi quindici anni. Sul lungo periodo, coronati da successo, tali risultati avranno bisogno di importanti progressi tecnologici e di una loro ampia adozione. Poiché oggi l’esito di tutto ciò è tuttora ignoto, la sfida iniziale sarà quella di dare comunque inizio a una considerevole limitazione delle emissioni e a un processo conoscitivo, creando incentivi forti per la tecnologia che aumentino l’efficienza energetica e riducano le emissioni di CO2 sul lungo periodo.
Passare all’azione adesso è equiparabile all’acquisto di quella che in finanza chiamano «assicurazione contro gli eventi estremi». La domanda che dobbiamo porci è quale tipo di azione intraprendere. Poiché combattere il cambiamento del clima implica prendere decisioni in diversi momenti e su un periodo di tempo lungo, un aspetto cruciale per affrontare e risolvere il problema è riconoscere che quanto più aumenteranno le concentrazioni di gas serra, tanto più impareremo qualcosa sulla ripartizione dei possibili risultati.

Questo è il motivo per il quale rimandare l’adozione di obiettivi a lungo termine non è il metodo migliore di lavorare: al contrario, quanto più diverranno chiari i possibili risultati, dovremo sicuramente far fronte alla necessità di ridurre fortemente i consumi energetici, quanto meno tra i Paesi sviluppati, come pure i costosi progressi tecnologici concepiti per rendere più efficienti i consumi energetici sia nel mondo sviluppato sia nel mondo in via di sviluppo. Ciò comporterà quasi certamente ingenti tagli nei consumi di combustibili fossili, sostenuti da tasse e altre restrizioni.
Nessuno dovrebbe aspettarsi che i costi della lotta al cambiamento del clima siano bassi: tali costi, però, avranno un peso significativamente maggiore se non adotteremo assennate strategie globali che prevedano di adattare i nostri sforzi di riduzione di emissioni alle nuove informazioni di cui disporremo.

   
   
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