Giugno 2010

Il deficit americano

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Un allarmismo
eccessivo

Paul Krugman

Premio Nobel per l’Economia
 
 


 

 

 

 

Isteria collettiva. La politica ignora la disoccupazione di massa e sta guardando nella direzione sbagliata: a pagarne il prezzo saranno milioni di americani.

 

 

Nel titolo, zio Paperone (oncle Picsou) in unadelle stazioni della Metropolitana di New York.

In questi tempi è davvero impossibile prendere in mano un giornale o sintonizzarsi su un telegiornale senza imbattersi in preoccupati moniti sul deficit del bilancio federale degli Stati Uniti. Apprendiamo così che questo deficit rischia di compromettere la ripresa economica, che potrebbe risultare letale per la stabilità economica statunitense, che pregiudicherà l’autorevolezza degli Stati Uniti e il loro status nel mondo.
Affermazioni del genere di solito non sono espresse come opinioni, come pareri di alcuni analisti contestati da altri: vengono riportate come se fossero puri e semplici dati di fatto.
Ma non sono dati di fatto. Molti economisti hanno sul deficit di bilancio opinioni più pacate e serene di quelle di cui si sente parlare in televisione o si legge sui quotidiani. Né del resto gli investitori sembrano eccessivamente preoccupati: le obbligazioni del governo americano continuano a trovare acquirenti disponibili, perfino a tassi di interesse bassi come non mai.
Le prospettive del budget sul lungo periodo sono problematiche, ma i deficit a breve termine non lo sono, e da un certo punto di vista anche quelle a lungo termine sono meno terribili di quanto l’opinione pubblica sia indotta a credere.
Allora, come spiegare questa fulminea onnipresenza di considerazioni pessimistiche sui deficit? Non la si spiega con alcuna notizia concreta reale. Era ovvio da almeno un anno che il governo americano avrebbe dovuto affrontare un prolungato periodo di enormi deficit, e le proiezioni di questi deficit non sono cambiate granché dalla scorsa estate. E tuttavia, il rullare dei tamburi e i foschi e cupi moniti fiscali si moltiplicano e si sono fatti sempre più assordanti.
A me sembra – ma non solamente a me – che l’improvviso dilagare dell’isteria sul deficit richiami alla memoria il sistema di pensiero che prese piede nel periodo che precedette la guerra in Iraq. Adesso, come allora, si riportano e si ripetono vaghe accuse non accompagnate da prove e non suffragate da certezze, come se fossero state appurate al di là di ogni ragionevole dubbio.
Adesso, come allora, buona parte dell’establishment politico e mediatico si è convinto che dobbiamo intervenire drasticamente e al più presto, anche se non c’è nulla di veramente nuovo che legittimi questa improvvisa urgenza. Adesso, come allora, quanti mettono in discussione gli argomenti preponderanti – a prescindere da quanto solide possano essere le loro motivazioni e di quanto incontestabile possa essere il loro background – si ritrovano emarginati.
Infine, alimentare le paure con dicerie prive di fondamento potrebbe finire con l’arrecare tanto danno quanto le dicerie prive di fondamento sulle armi di distruzione di massa.
Esaminiamo un momento la realtà del bilancio: contrariamente a ciò che avrete sentito sostenere di frequente, l’enorme deficit che ha attualmente il governo federale non è l’esito di una crescita incontrollata delle spese.
Al contrario: oltre la metà di esso è dovuta alla crisi economica in corso, che ha provocato una drastica caduta degli introiti fiscali, ha imposto il salvataggio in extremis da parte dei governi federali delle situazioni finanziarie, ed è stata tamponata – come era opportuno fare – da provvedimenti temporanei per stimolare la crescita e per sostenere l’occupazione.
Il punto è che gestire grossi deficit nel mezzo della peggiore recessione economica registrata dagli anni Trenta ad oggi è la cosa giusta da fare. Se non altro, i deficit dovrebbero essere ancora più grandi di quelli che sono, perché il governo dovrebbe fare più di quello per creare nuovi posti di lavoro.
È vero: c’è un problema di budget a lungo termine. Nemmeno una piena ripresa economica potrebbe mettere in pari il bilancio, e probabilmente non riuscirebbe neanche a ridurre il deficit, portandolo a un livello sostenibile a tempo indeterminato. Pertanto, una volta passata la crisi economica, il governo degli Stati Uniti dovrà necessariamente aumentare i propri introiti e tenere sotto controllo le proprie spese. Sul lungo periodo, non ci sarà altro modo di far quadrare i conti che facendo qualcosa di concreto per le spese dell’assistenza sanitaria.

In ogni caso, non vi è motivo di lasciarsi prendere dal panico sulle prospettive di bilancio dei prossimi anni, o persino del prossimo decennio. Si consideri, per esempio, ciò che si legge nell’ultima proposta di budget dell’amministrazione Obama in relazione ai pagamenti degli interessi sul debito federale: secondo la sua proiezione, entro i prossimi dieci anni gli interessi arriveranno al 3,5 per cento del Prodotto interno lordo. Vi spaventa questo dato? Ebbene, è la medesima percentuale delle spese sugli interessi del primo mandato alla presidenza di Bush.
Perché allora tutta questa isteria? Per pure e semplici ragioni politiche. La differenza principale tra l’estate scorsa – quando avevamo dei deficit e in buona parte (e come è necessario) non battevamo ciglio – e l’attuale sensazione dilagante di panico è che diffondere cupe previsioni sul deficit è ormai un fattore cruciale della strategia politica dell’opposizione, che serve a un duplice scopo: nuoce all’immagine del presidente Obama e nello stesso tempo danneggia la sua agenda politica.
Se è pur vero che il livello di ipocrisia è sconvolgente – abbiamo rappresentanti politici che hanno votato a favore di tagli fiscali per compromettere il bilancio dello Stato, atteggiandosi ad apostoli della rettitudine fiscale, e atteggiandosi anche a politici che un giorno fanno apparire riprovevole qualsiasi serio tentativo di contenere alcune spese, e il giorno dopo denunciano l’eccessiva spesa di governo – beh, che cosa ci sarà mai di nuovo in tutto ciò?
Il problema, tuttavia, è che a quanto pare per molte persone è estremamente difficiledistinguere tra gli atteggiamenti cinici e le serie discussioni economiche, e ciò sta avendo tragiche conseguenze.
Grazie a questa isteria collettiva sul deficit, Washington adesso ha priorità completamente sbagliate: tutto ciò di cui si parla è come limare qualche miliardino di dollari dalle spese di governo, mentre c’è poca volontà di affrontare, come si dovrebbe, la disoccupazione di massa. La politica sta guardando nella direzione sbagliata, e a pagarne il prezzo saranno milioni di americani.

   
   
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