Settembre 2009

il paese che cambia

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Italie in conflitto

Innocenzo Cipolletta

 

 
 

Immobilismo.
A molti partiti
politici, quelli
della Sinistra
in particolare,
che si ostinano
ad usare vecchi
slogan e vecchie parole d’ordine,
viene rimproverato di rappresentare
un mondo che non esiste più.

 

 

 

La società italiana è mutata nel tempo, e c’è una corsa a cercare di rappresentarne i bisogni. Non più Paese dei molti dualismi (Nord e Sud, capitale e lavoro, ricchi e poveri, istruiti e analfabeti). L’Italia, come tanti altri Paesi avanzati, riflette le complessità di una società dove ciascuno partecipa contemporaneamente a più strati sociali con modalità non necessariamente omogenee.
Un Paese con forti dualismi, con ampie zone di tensione, ma anche un Paese dove le rappresentazioni erano quasi automatiche. I partiti politici si dividevano tra chi stava dalla parte dei diseredati e voleva sovvertire gli ordini stabiliti e chi stava dalla parte dell’ordine costituito e voleva superare le fratture con processi graduali.
Il mercato era esso stesso organizzato in modo duale: i consumi e gli stili di vita degli uni differivano sensibilmente da quelli degli altri, sicché le imprese puntavano a specifici mercati, e così avveniva per i giornali, che erano sufficientemente separati come pubblici di destinazione.
Nel corso dei decenni, questi dualismi sono andati modificandosi. Non nel senso di scomparire, ma sono stati assorbiti in un processo di appannamento delle antiche differenze e di emersione di nuovi strati sociali. Lo aveva avvertito bene un poeta come Pier Paolo Pasolini, che scrisse un articolo sulla scomparsa delle lucciole, a significare l’omologazione tra campagna e città, tra periferia e quartieri alti, negli atteggiamenti e negli abiti delle persone.
Lo hanno capito molto bene le imprese che hanno elaborato prodotti di marchi “abbordabili”, a significare che gli stili di vita si andavano omologando e che le differenze si ponevano ad un altro livello. Appunto, le differenze ci sono ancora, ma non sono più negli stilemi tradizionali e non sono più necessariamente dualistiche.

Oggi una persona partecipa a diversi mondi che un tempo erano in contrapposizione e si escludevano tra di loro. Il lavoratore dipendente è spesso anche un risparmiatore interessato al mercato dei capitali. Può possedere uno o più appartamenti. Può avere un coniuge che svolge un’attività autonoma, (commerciante, professionista, ecc.) o gode di una pensione.
Lo stesso vale per la figura del capitalista che, a parte pochi soggetti, spesso proviene dal mondo del lavoro dipendente, può avere parenti con problemi di assistenza medica, figli che hanno un lavoro precario, problemi di gestione del proprio tempo libero, e così via. Tutti, poi, partecipano ai problemi di una società che si va componendo con molte etnie, vivono le incertezze delle crisi globali, temono il propagarsi di epidemie sconosciute, si confrontano con episodi di terrorismo mondiale che sfuggono alle proprie dimensioni.

Rosa Pugliese

Rosa Pugliese


Rifiutare questi cambiamenti, arroccandosi a rappresentare un mondo che non c’è più, fa perdere ogni capacità di comprensione della società. Questo viene rimproverato a molti partiti politici, quelli della Sinistra in particolare, che si ostinano ad usare vecchi slogan e vecchie parole d’ordine. Ma appiattirsi sulle novità rincorrendo le singole nuove esigenze senza alcuna elaborazione di sintesi, porta ad una nuova instabilità legata all’anarchia delle istanze che si manifestano. Se ognuno di noi partecipa a diversi strati sociali, spesso in contrapposizione reciproca, occorre una nuova capacità di sintesi. In caso contrario, si possono dare risposte singole, valide in alcune occasioni ma perdenti in altre, con il risultato di avere rappresentazioni instabili e insoddisfacenti.
Il caso dell’immigrazione, fenomeno in larga misura inevitabile, è sintomatico. L’immigrazione è voluta dai cittadini quando ne beneficiano dei servizi (badanti, lavori abbandonati dagli italiani, capacità di comprensione del mondo, ecc.), ma è rifiutata dagli stessi quando è vista come una minaccia alla sicurezza, al posto di lavoro, alla difesa di riti e costumi tradizionali. Soluzioni demagogiche (l’immigrazione, solo quando serve e solo di persone che si possono integrare con noi) sono fallite in tutto il mondo, perché fondamentalmente errate. Non c’è motivo per pensare che da noi possano essere valide.
Lo stesso vale per i nuovi lavori e per le partite Iva continuamente richiamate a rappresentare una realtà trasversale a tutto il Paese. Le loro istanze sono molteplici, necessariamente contraddittorie, tali da non poter essere trattate in modo da legittimarle tutte. Magari, promettendo demagogiche lotte agli sprechi del settore pubblico e non meglio definite battaglie per il merito. Spesso gli sprechi da tagliare nel settore pubblico sono il corrispettivo di reddito di partite Iva, e il merito non è di casa in una società organizzata familisticamente. Tirare la coperta della demagogia non fa fare alcun passo avanti al Paese, e non fa conquistare nuove quote di mercato.
Nell’anarchia delle istanze, la sintesi deve essere un’operazione politica che sposta in avanti il traguardo verso obiettivi in cui tutti, nessuno escluso, possano ritrovare il proprio tornaconto. In caso di mancanza di sintesi politica, l’alternativa è spesso quella di ricorrere ad una persona che simboleggi in se stesso la sintesi, con tutte le implicazioni che ciò comporta.

 

   
   
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