Settembre 2009

Inseguendo la stabilità finanziaria

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L’anno zero della
Vigilanza internazionale

Filippo Cucuccio

 

 
 

È necessario
aprire un canale
di dialogo tra
politici e tecnici, superando vecchi pregiudizi sulle
reciproche
incapacità e
facendo opera
di chiarezza
sul ruolo da
svolgere per le troppe autorità
di Vigilanza.

 

 

 

 

 

 

Tra le poche opportunità delineate dalla crisi sistemica del 2007 va sottolineato il rinnovato interesse per il tema della vigilanza internazionale. Un versante su cui si stanno moltiplicando da tempo e senza soluzione di continuità le occasioni politiche e tecniche di un confronto anche acceso, ma che ha avuto fondamentalmente il merito di gettare luce sulla necessità indifferibile di ridisegnare il perimetro e i compiti della Vigilanza in uno scenario di ricostruzione degli assetti della finanza internazionale.

medaglione sulla facciata del Banco de España.

medaglione sulla facciata del Banco de España.


È sufficiente dare uno sguardo ai comunicati finali del G20 di Londra e del G8 de L’Aquila da un lato e a quelli dell’assemblea annuale dello IOSCO (International Organization of Securities Commissions) a Tel Aviv e del Financial Stability Board dopo l’incontro di Basilea dello scorso giugno, dall’altro, per rendersi conto di almeno tre aspetti essenziali: 1) l’enfasi del dibattito si è spostata dal come fronteggiare la crisi a quale strategia adottare uscendo dalla crisi;
2) è sempre più evidente il desiderio del mondo politico di riappropriarsi di un tema – la regolamentazione dei mercati finanziari internazionali – lasciato finora un po’ per pigrizia, un po’ per sottovalutazione della sua rilevanza al mero confronto tecnico. In questo senso l’esempio più recente è dato dalla cosiddetta “cornice di Lecce” 1, preludio alle nuove regole alla base della finanza internazionale (il dodecalogo dei global legal standards) presentate a luglio al summit de L’Aquila 2; 3) è ormai una necessità insopprimibile aprire un canale di dialogo continuativo tra politici e tecnici, sia superando i vecchi pregiudizi sulle reciproche incapacità, sia facendo opera di chiarezza sul ruolo da svolgere per le diverse (troppe) autorità di vigilanza.
Su questo terzo aspetto, sul quale mi concentrerò in questa sede, si nota con grande nitidezza il ruolo cruciale del Financial Stability Board presieduto dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi.
Questo organismo, istituito alla fine del secolo scorso e che riunisce governi, Banche centrali e autorità di supervisione competenti in materia di stabilità finanziaria, ha seguito passo passo l’evoluzione della crisi finanziaria producendo raccomandazioni operative, arricchendosi di competenze e irrobustendosi sul piano strutturale, quale inevitabile pendant del proprio accresciuto carisma tecnico.

Archivio BPP

Archivio BPP


In realtà, le raccomandazioni cui si faceva cenno non sono solo dichiarazioni di principio tecnicamente ineccepibili, ma costituiscono il risultato di un lavoro di coordinamento e di mediazione diplomatica svolto tra i diversi regulator nazionali e sovranazionali dei mercati finanziari e bancari e di quelli competenti in tema di fissazione dei princìpi internazionali di contabilità.
Una conferma di questo significativo impegno si poteva già trarre dalla lettura dei documenti presentati da FSB al G20 di Londra concernenti: l’analisi degli aspetti prociclici del sistema finanziario e la loro interazione sull’economia reale; l’allineamento dei compensi dei manager del settore finanziario con i rischi assunti; il miglioramento della cooperazione internazionale nella gestione della crisi finanziaria; lo stato di avanzamento nella realizzazione delle raccomandazioni formulate nel 2008 per il rafforzamento del sistema finanziario internazionale.
Inoltre, alla fine dello scorso giugno, Draghi ha presentato l’agenda operativa del futuro prossimo di FSB, che in estrema sintesi si articola lungo queste cinque direttrici fondamentali:
a) ripristino di un sistema finanziario internazionale caratterizzato da un minore indebitamento, una più accurata gestione dei rischi, una maggiore trasparenza e un minore “azzardo morale”;
b) ripristino della chiarezza regolamentare, premessa indispensabile per la costituzione di precise aspettative degli operatori di mercato che saranno in tal modo posti nelle condizioni di assumere decisioni strategiche (quindi, per definizione, proiettate al di là del breve termine);
c) gradualità nei cambiamenti da apportare cadenzandoli con una tempistica in linea con i progressi e l’auspicabile miglioramento complessivo del contesto di riferimento; d) mantenimento dei vantaggi legati alla presenza dei mercati finanziari globali e integrati, provvedendo contemporaneamente a rafforzare gli standard internazionali;
e) salvaguardia degli aspetti positivi dell’innovazione finanziaria (a cominciare dalla tanto demonizzata cartolarizzazione) evitando gli eccessivi entusiasmi e i comportamenti spregiudicati del passato, onde favorire un più largo processo di scelta dei consumatori e un più ampio accesso al credito.

Particolare del G20 di Londra dell’aprile scorso sulla crisi dell’economia globale. - Archivio BPP

Particolare del G20 di Londra dell’aprile scorso sulla crisi dell’economia globale. - Archivio BPP

A fronte di questo ambizioso e impegnativo allargamento del perimetro di competenze non poteva non corrispondere un sostanzioso irrobustimento del ruolo e della struttura di FSB, a cominciare dall’accesso a questo organismo, aperto dalla scorsa primavera ai principali Paesi emergenti (in particolare, il BRIC, acronimo di Brasile, Russia, India e Cina), alla Spagna e alla Commissione europea. Ed è proprio in questa chiave di lettura che si giustificano la funzione di stretto coordinamento con le autorità nazionali di vigilanza bancaria e di controllo dei mercati finanziari per la fissazione di standards comuni, nonché quella di interlocutore privilegiato del Fondo Monetario Internazionale. Senza dimenticare che a questi due organismi è stata anche attribuita la competenza per la creazione di un sistema di preallarme per allertare la comunità finanziaria sull’eventuale formarsi delle condizioni favorevoli allo scoppio di situazioni critiche. E, infine, la recente costituzione di uno Steering Committee, che seguirà i lavori di FSB tra un incontro plenario e il successivo, e di tre Standing Committees 3, rispettivamente per la valutazione della vulnerabilità, per la cooperazione regolamentare e di vigilanza e per l’attuazione degli standard, va interpretata come la risposta coerente di questo organismo in termini di struttura funzionale; passo indispensabile per raggiungere le diverse tappe di un cammino così impegnativo lungo il quale non mancano certo punti di forte criticità.
In proposito, basta fare riferimento alla differenza di atteggiamento e di velocità di adeguamento allo scenario del post crisi rispettivamente da parte degli Stati Uniti e dell’Unione europea. Da un lato il recente rafforzamento di competenze e di poteri della Federal Reserve sancito dall’amministrazione Obama, dall’altro le difficoltà che sta incontrando il progetto elaborato nel Rapporto de Larosière e che prevede la creazione di uno schema di vigilanza macroprudenziale basata sulla fusione dei tre principali comitati di regulators (sulle banche, sui titoli, sulle assicurazioni e sui fondi pensione) in un unico organismo, l’European Systemic Risk Council (ESRC). In questo nuovo organismo, è bene precisarlo, siederebbero i membri del consiglio della Banca centrale europea, un rappresentante della Commissione europea e i presidenti dei tre Comitati preesistenti alla fusione.

Ma non solo. Da un lato l’applicazione dello stress test alle 19 maggiori banche d’oltre Atlantico che segnando un risultato favorevole limitato a nove di esse si è comunque tradotto nella conclamata necessità di ricapitalizzazione per un importo pari a 65 miliardi di dollari, ma soprattutto ha significato un’iniezione di fiducia al mercato per i criteri di pubblicità e trasparenza con cui l’iniziativa è stata concretamente portata avanti. Dall’altro lato, la risposta dell’Unione europea di promuovere uno stress test europeo condotto non sulle singole banche, ma in modo aggregato sui sistemi bancari dei Paesi UE e i cui princìpi metodologici rimarranno segreti, così come i risultati rimarranno ammantati da un velo di riservatezza. Di fatto generando una inauspicabile situazione di squilibrio tra i sistemi USA-UE sul delicato versante dell’affidabilità e quindi della fiducia, ingrediente primario ed essenziale dei mercati finanziari.
Né sarà privo di conseguenze il disallineamento che continua a registrarsi sull’interpretazione del principio del fair value, cardine nella formazione dei bilanci e a cascata nella capacità degli analisti di valutare oggettivamente progressi/arretramenti delle singole compagini societarie.
Tornando al capitolo delle maggiori problematiche, come non accennare ad un aspetto inquietante che incombe minaccioso sul processo di ricostruzione della vigilanza, noto con l’espressione anglosassone “too big to fail”? Aspetto che svela con crudezza lo squilibrio esistente tra gli operatori transnazionali (in primo luogo, i colossi bancari e assicurativi) e le autorità di vigilanza, ancorate e nello stesso tempo sottoposte a logiche e prassi operative rigidamente nazionali 4.
E ancora: se si sposta il confronto all’interno dell’Unione europea, non si ottengono certo risultati più gratificanti alla luce delle persistenti difformità di norme e di prassi; alle quali peraltro finalmente si sta cercando di cominciare a porre rimedio nella consapevolezza che è definitivamente tramontata l’epoca dei localismi a beneficio di un’era in cui il confronto avviene su base di integrazione e non più di contrapposizione.
Ci si ferma qui in questa rapida analisi delle luci e ombre che accompagnano il processo di ricostruzione della vigilanza internazionale. Il suo anno zero ci pone ineluttabilmente davanti al bivio tra progresso e arretramento; l’augurio è che tutti i Paesi, a cominciare da quelli europei, sappiano cogliere questa occasione di riscatto per avviare una nuova fase di sviluppo economico, civile e sociale.

Note

1 Il “framework” di Lecce, elaborato durante il G8 dei ministri economico-finanziari dello scorso giugno, racchiude cinque aree operative, sulle quali i politici sono chiamati ad intervenire in un’ottica di armonizzazione: corporate governance, integrità e corretto funzionamento dei mercati, regolamentazione in campo finanziario e di supervisione, cooperazione tra le amministrazioni in campo fiscale, trasparenza delle politiche e dei dati macroeconomici.

2 Con un evidente riferimento alle Dodici Tavole alla base del diritto romano, un gruppo di lavoro italiano composto da esperti di diritto e coordinato dal ministro Tremonti ha messo a punto insieme all’OCSE in un seminario svoltosi a Roma lo scorso maggio un dodecalogo di princìpi comuni. L’intento dichiarato è fornire fondamenta etiche prima che giuridiche a valori basilari per la società civile, quali la proprietà, l’integrità e la trasparenza. Il documento è stato approvato nelle sue linee guida al G8 de L’Aquila.

3 In realtà, nella riunione di fine giugno 2009 a Basilea oltre a questi committees è stata prevista l’istituzione di un gruppo di lavoro sulla gestione delle crisi transfrontaliere con l’intento di perfezionare il lavoro finora svolto in questo campo da FSB.

4 Non a caso il Governatore della Bank of England, Mervyn King, ha testualmente dichiarato: «I gruppi bancari vivono come imprese globali e muoiono come entità legali nazionali», mettendo in evidenza la difficoltà nel coordinamento tra le autorità di Vigilanza home e host.

 

 

   
   
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