Settembre 2009

Dal disastro al futuro

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Cinque proposte per uscire dalla crisi

J. Stiglitz, R.F. Engle, D. Kahneman,
G. Akerlof, R. Pachauri

 

 
 

 

 

 

Ci sono cose di cui possiamo essere ragionevolmente sicuri, ma ce ne sono anche molte altre ancora avvolte nell’incertezza. Sono convinto, ad esempio, che si verificherà in una certa misura un ribilanciamento del potere economico globale. Certamente il modello americano non sarà più considerato con la stessa deferenza del passato. Ci sarà una maggiore “contestabilità”, ci sarà più dibattito su quale sia il miglior modello economico, ad esempio all’interno dei Paesi in via di sviluppo.
Ma anche in Europa, prima, negli anni Novanta, molti dicevano: – Dobbiamo imitare tout court l’America, se vogliamo avere successo –. Penso che già oggi in questi termini non si esprima più nessuno. Adesso si dice : – Dobbiamo capire come si fa a produrre le grandi innovazioni che hanno introdotto gli Stati Uniti, evitando però i loro errori –.
Il fatto è che ci sono state cose che non hanno funzionato nella normativa finanziaria e nella politica monetaria. Nel campo della regulation, oggi sappiamo che per funzionare deve essere onnicomprensiva e abbracciare l’intero sistema bancario e finanziario. Conosciamo, ormai, i guasti prodotti dall’eccesso di ingegneria contabile, come l’enorme mole di transazioni finanziarie avvenute fuori dai bilanci. Sappiamo che sono stati concessi forti incentivi a comportamenti sbagliati. Sappiamo che l’era delle cartolarizzazioni ha finito con l’introdurre nuove asimmetrie informative. Poi, ci sono interrogativi più profondi, sul perché si sia creato un problema di domanda aggregata globale, oppure perché le Banche centrali abbiano adottato politiche monetarie così carenti. Insomma, per valutare la profondità della crisi occorre considerare il funzionamento delle forze economiche e quali siano state le carenze di tipo intellettuale e culturale.

Joseph Stiglitz - Premio Nobel per l’Economia


Avremo ancora volatilità sui mercati, anche parecchia, sia pure meno di quanto successo nel recente passato. Ma la crisi sta gradualmente rientrando. Sono stati fatti passi avanti. Siamo fuori dalla rianimazione. Questo è un momento delicato, in cui le regole vanno concordate e formulate. Si è visto che il mercato non si autoregola. Ma occorre fare appello anche a incentivi, non soltanto a divieti.
La crisi finanziaria ha messo in evidenza due realtà nefaste. Da un lato, una valutazione inadeguata del rischio, praticamente da parte di tutti: management, regolatori, Banche centrali, Agenzie di rating, e altri; dall’altro, molti, troppi incentivi nel sistema bancario ad ignorare una corretta valutazione dei rischi reali. Si deve ricordare che ci sarà sempre la spinta all’innovazione finanziaria, e di conseguenza occorre costruire un insieme di regole che servano non solo ad evitare gli errori del passato, ma anche a imbrigliare le spinte nuovamente rischiose del futuro.
Le nuove regole dovrebbero essere innanzitutto frutto della cooperazione internazionale. Globali. Comprensive di tutte le istituzioni finanziarie, quindi anche degli hedge fund, oltre una certa dimensione.
Dovrebbero avere una metodologia chiara su come ci si coordina a livello internazionale. E su come si identifica un rischio sistemico.
Da parte sua, Wall Street ritroverà il suo equilibrio quando la volatilità sarà rientrata del tutto nella norma. Adesso è dimezzata rispetto ai momenti critici trascorsi. Ha cominciato a declinare, ma resta sempre alta. Oltre tutto, penso che nasceranno altri protagonisti del credito, attraverso fusioni e acquisizioni. Questo aiuterà Wall Street.

Robert F. Engle - Premio Nobel per l’Economia

Mentre i banchieri hanno agito secondo i canoni tradizionali della nazionalità economica, lo stesso non si può dire degli altri attori della crisi, e ciò ha reso più difficile prevederla. Se i sottoscrittori americani di mutui avessero agito con quella logica e coerenza decisionale che la teoria economica attribuisce loro per necessità di “modello”, forse non avrebbero comprato case che non si potevano permettere, pensando che il loro prezzo sarebbe cresciuto all’infinito. Perché la gente nelle sue valutazioni è conservatrice, attribuisce molta più importanza alle potenziali perdite che ai guadagni, e in realtà è terribilmente allergica ai rischi: e il problema è che molto spesso non si conosce.
Ora, può sembrare paradossale che le cose comincino ad andar bene proprio quando il pessimismo ha raggiunto il suo culmine. Ma, a pensarci bene, non è così. L’uomo funziona come l’acquerello di Paul Klee, quell’Angelus Novus che accompagnerà Walter Benjamin per tutta la vita: l’angelo della Storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe. Se l’angelo osserva solo il passato l’uomo nell’agire va al di là di questo, e crea con i fatti i segnali dell’aurora.
Per chiarire meglio. Chance, il personaggio del celebre film di Peter Sellers “Oltre il giardino”, convince il presidente degli Stati Uniti che «dopo l’inverno viene la primavera». In fondo, questo è il messaggio che ricaviamo guardando oltre il tunnel. Ma un problema resta. Se avessimo semplicemente a che fare con la «regressione verso la media», come suggerisce Chance, come mai i picchi di pessimismo sono più produttivi dei picchi di ottimismo? Questo è dovuto all’asimmetria psicologica che accompagna gli alti e i bassi della vita.  Quando, come alla fine degli anni Novanta, i titoli venivano venduti carissimi, a multipli prezzi/utili mai visti, nessuno si stupiva più di tanto. L’ottimismo è dato per scontato, e ha sempre un motivo apparentemente valido. Chance non ha del tutto ragione: la discesa, l’inverno, fa più male di quanto non faccia bene il tepore della primavera, anche se si torna alle temperature dell’autunno. Non si torna psicologicamente al punto di prima. Questa asimmetria tra piacere della vincita e dolore della perdita continuerà per sempre a colpirci.
D’altra parte, è grazie a questa asimmetria che, invece di rassegnarci, prendiamo grandi rischi nei momenti di estremo pericolo. E questa, per la specie umana, è una strategia di comportamento efficace.

Daniel Kahneman - Premio Nobel per l’Economia

Con questa crisi è necessario aver pazienza. È ancora troppo presto: andiamo avanti gradualmente. Fino a pochi anni fa soltanto, si pensava di studiare l’economia in modo minimalista, attraverso questioni essenziali, non tenendo in considerazione gli aspetti comportamentali degli operatori economici. Ora invece ci deve essere un nuovo tipo di approccio. Sto parlando della Behavioral economics, di una finanza comportamentale, che si esplica appunto in quelli che io ho definito animal spirits.
Ammetto di aver riconosciuto tardi la crisi. Credo che una delle ragioni di questo ritardo vada trovata in noi, negli stessi studiosi di macroeconomia. In pochi, nel corso di questi anni, si sono occupati di finanza e non hanno valutato appieno i pericoli maggiori, che potevano arrivare da quel mondo pericoloso, fatto spesso di titoli finanziari decisamente complessi. A parte alcuni – e penso soprattutto a Ben Bernanke (riconfermato a fine agosto da Barack Obama alla guida della Federal Reserve, N.d.R.)  – credo che nel futuro dovremmo studiare molto più a fondo il rapporto tra macroeconomia e finanza.
Credo proprio che una delle cause di questa crisi possa anche derivare dal fatto che in questi decenni si sia prestata maggiore attenzione alla dottrina neoliberista piuttosto che a quella keynesiana. Ma, in definitiva, ritengo che se avessimo avuto più conoscenza di quello che stava per accadere forse si sarebbe potuto evitare.

C’è chi chiede se le strategie economiche e finanziarie attuate dagli uomini dell’amministrazione Obama siano adatte per superare la crisi negativa. Ma la domanda da porre non è questa, perché non è esattamente questo ciò che la gente vuole sentire. Certo, non metto in dubbio le politiche della Casa Bianca: il governo deve adottare una sua strategia. La domanda vera è quale sia il migliore approccio per risolvere questa crisi economica. A un matematico chiederemmo un algoritmo per risolvere un problema.
In sintesi. C’è un libro per bambini che si intitola The Cat in the Hut, dove si va avanti per approcci successivi. C’è un Piano A, poi un Piano B, un Piano C... Attualmente siamo al Piano D: vediamo se funziona. Se dovesse funzionare, saremo soddisfatti; se invece non funzionerà, proveremo il Piano E. Nel caso, anche un Piano F.
Cosa propongo. C’è sempre bisogno di stimoli fiscali da parte del governo, quando la disoccupazione scende al di sotto del livello di piena occupazione. Poi, più accesso al credito per le imprese, ma anche manovre che aumentino la domanda.
Per quel che riguarda in particolare la situazione italiana, penso che un punto di forza del vostro Paese sia la situazione delle vostre banche, in una condizione meno difficile di quelle di altri Stati. Per questa ragione, ritengo che i vostri problemi siano minori rispetto a quelli di altri Paesi dell’Europa e del mondo sviluppato.
In molti, in questo momento, cercano i responsabili della crisi, indicandoli tra gli economisti o tra gli speculatori di Wall Street. Ma io sono convinto che in questa fase dobbiamo preoccuparci piuttosto di come venir fuori dalla crisi, non dando la caccia ai presunti responsabili, ma aiutando le persone che hanno perso il lavoro. Io sono convinto, infatti, che la maggior parte degli economisti sia keynesiana. E un ultimo consiglio: ogni volta che si fanno nuove regole, si può creare qualche problema. È necessario fare molta attenzione alle riforme che dovremmo mettere in atto, non tutte potrebbero aiutarci.

George Akerlof
- Premio Nobel per l’Economia

Alla domanda su quali costi dovrà sostenere l’economia globale per combattere l’effetto-serra non si può dare una risposta univoca, perché i costi variano parecchio da settore a settore. I comparti maggiormente interessati dal cambiamento di modello produttivo saranno comunque quello dell’energia e quello delle costruzioni.
Poi c’è l’altra domanda, che è rivolta sempre più di frequente: le azioni di contenimento non rischiano di ridurre la velocità della crescita economica globale? Ecco, noi abbiamo calcolato che le misure per la riduzione dei gas serra potrebbero frenare del 3 per cento il tasso della crescita planetaria da oggi al 2030. Ma quanto più queste misure verranno prese con anticipo rispetto alle scadenze previste dal Protocollo di Kyoto, tanto minore sarà il loro effetto sullo sviluppo economico globale, che potrebbe addirittura risultarne accresciuto.

È noto che i Paesi con il maggior livello di emissioni sono gli Stati Uniti d’America e i cosiddetti “Emergenti”. Il problema, dunque, è incentrato su chi dovrà intervenire per primo. Le economie emergenti si trovano in una fase in cui è normale che le emissioni aumentino. In realtà, i principali responsabili della crescita dei gas serra sono i Paesi industrializzati, ed è proprio da questi che dovranno venire i principali interventi. Se pensiamo che soltanto in India circa quattrocento milioni di persone non hanno alcun accesso all’energia elettrica, si comprende benissimo che non è da lì che può venire lo sforzo più rilevante per combattere l’effetto serra, visto che esistono ancora necessità e bisogni fondamentali totalmente insoddisfatti.
Agli incontri dell’Aquila il presidente Obama ha riconfermato il suo impegno a sostegno dell’ambiente. Bisognerà vedere, ora, quali sono le politiche che saranno adottate nel breve periodo. Va sottolineato che ci sono spazi enormi, a cominciare dagli interventi nel settore immobiliare pubblico. Infatti, è possibile aumentare l’efficienza energetica di tutti gli edifici, così come vi è un enorme potenziale di risparmio sui consumi attraverso investimenti mirati in un altro settore specifico, quello dei trasporti. In questi comparti sono necessari investimenti massicci, che potranno dare risultati importanti già nel medio termine.
Per quanto riguarda gli Stati più virtuosi che agiscono nel continente europeo per la lotta al cambiamento climatico, dobbiamo ricordare prima di tutti la Germania, che è stata uno dei primi Paesi ad adottare misure di contenimento e a sviluppare il settore delle energie rinnovabili. Queste scelte, oltre tutto, hanno fatto nascere migliaia di nuovi posti di lavoro, e dimostrano quanto le green economy siano un affare e non solamente un costo per le finanze statali.
In Italia è ancora necessario accrescere il livello di consapevolezza dei rischi legati al surriscaldamento climatico a livello di opinione pubblica generale. Soltanto una maggiore presa di coscienza della posta in gioco, infatti, potrà spingere i governi a realizzare gli investimenti necessari. Il Paese, fra l’altro, si trova in una posizione invidiabile dal punto di vista geografico, e, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, potrebbe aumentare in misura consistente il contributo offerto da fonti rinnovabili, come il solare e l’eolico.

Rajendra Pachauri - Premio Nobel per la Pace



 

   
   
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