Settembre 2009

segnali di fumo

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A caccia di ripresa

Mario Deaglio

Docente Politecnico di Torino

 
 

Tracce di Yeti.
Non siamo ancora al giro di boa,
non stiamo per
risalire dalle profondità della crisi economica,
e quando la
risalita comincerà non ci saranno scorciatoie.

 

 

 

 

In tutto il mondo si è aperta la caccia ai segnali della prossima ripresa, così come qualche decennio fa si andava accanitamente a caccia di tracce dello Yeti, il mitico Uomo delle Nevi.
Ma lo Yeti nessuno l’ha mai visto e una ripresa sicura nessuno l’ha vista ancora. Eppure, molti addetti ai lavori sembrano entusiasmarsi di fronte a segnali di rallentamento della caduta, così come le dubbie fotografie di impronte dello Yeti venivano scambiate per prove sicure dell’esistenza di questo mitico abitatore dei ghiacciai himalayani: le Borse americane fanno faville per un rallentamento nella crescita del numero dei disoccupati e molti si entusiasmano per il miglioramento del Superindice Ocse che, per sua natura, cerca di misurare non la situazione presente, ma condizioni future che si verificheranno, se tutto va bene, tra qualche mese.
È opportuno quindi ribadire che non siamo ancora al giro di boa, non abbiamo ancora cominciato a risalire dalle profondità della crisi economica, e quando la risalita comincerà non ci saranno scorciatoie, per cui nessuno sa bene quando potrà avvenire il sospirato raggiungimento dei livelli produttivi di poco più di un anno fa, quando di crisi non si parlava ancora. A confermare questa situazione di fondo sono i dati congiunturali più recenti, ossia quelli italiani relativi al prodotto lordo del secondo trimestre, e quelli americani relativi all’occupazione. Entrambi mostrano una caduta rallentata nel periodo appena trascorso, ma anche la continuazione della tendenza all’allontanamento dal livello di “normalità”, ossia dalle condizioni di un anno fa, prima che la crisi finanziaria si estendesse, con una violenza imprevista, all’economia reale di tutto il pianeta. L’esperienza del Giappone – unico Paese ad aver sperimentato con anticipo sugli altri qualcosa di simile alla crisi attuale – mostra chiaramente che quando la caduta sarà terminata non c’è nessuna garanzia di una ripresa duratura, mentre potrebbe verificarsi una serie di sussulti su un fondo consolidato di debolezza.

Nello Wrona

Nello Wrona

Invece di una sobria constatazione di questo stato insoddisfacente dell’economia e della ricerca paziente di misure di contrasto e di ricette per il rilancio, si assiste a un curioso e dannoso fenomeno psicologico. Si confida in maniera scarsamente razionale in una prossima, totale e quasi miracolosa uscita dalle difficoltà, senza domandarsi quale potrà essere il “motore” della ripresa futura, senza ragionare delle possibilità di costruire una ripresa diversa, più credibile di quella che eventualmente scaturirà dal semplice gioco delle forze di mercato.
Una simile ripresa di tipo nuovo può richiedere un cambiamento delle regole non solo all’interno dei sistemi economici e dell’intera economia globale, ma anche nei rapporti tra gli Stati e l’economia. Di questa riflessione, purtroppo, non sembrano esserci molte tracce in nessuno dei Paesi avanzati dell’Occidente.
Il problema è particolarmente grave per l’Italia, un Paese dove la crisi ha “coronato” un quindicennio di non-crescita, e che deve riflettere ancora più seriamente degli altri sul proprio futuro. I settori produttivi italiani sono particolarmente vulnerabili alla caduta della domanda mondiale: i due terzi della riduzione del prodotto lordo (5-6 per cento) prevista per il 2009 derivano dalla debolezza della domanda estera. La scarsità di turisti stranieri al debutto dell’estate è stato un esempio evidente delle difficoltà a collocare il “prodotto” italiano in un mondo in crisi.
Queste carenze di domanda non si colmano soltanto con l’ottimismo, anche se un atteggiamento positivo nei confronti della spesa è sicuramente un ingrediente importante per il sostegno della domanda interna. L’eventuale, e oggi sicuramente assente, ottimismo degli italiani non fa aumentare le presenze dei turisti esteri o l’esportazione del made in Italy, e neppure, in tempi brevi, le vendite di macchine utensili.

Che cosa può quindi fare l’Italia in una situazione di questo genere? Si tratta di muoversi contemporaneamente lungo tre direttrici. La prima dovrebbe essere un’azione da compiersi presso la Commissione a Bruxelles – e anche presso la Banca centrale, a Francoforte – per ottenere un atteggiamento più aggressivo nei confronti della crisi; la seconda dovrebbe comportare maggiori aiuti ai settori economici a rischio, cercando di evitare di sostenere buoni e cattivi allo stesso modo, ma favorendo invece un miglioramento strutturale di cui l’economia ha molto bisogno; la terza direttrice dovrebbe essere volta a sostenere i consumi dei ceti con i redditi maggiormente a rischio.
Qualcosa in queste direzioni è stata fatta, ma la violenza della crisi impone che anche ragionamenti recenti, come quelli del Documento di Politica Economica e Finanziaria, vengano rivisitati ed eventualmente corretti. Senza correre dietro alla speranza di vedere miracolosamente comparire dietro l’angolo un sorridente Uomo delle Nevi che annuncia che la crisi è stata soltanto un brutto sogno.

   
   
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