Settembre 2009

Gli squilibri internazionali

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Tempo di responsabilità

Robert Zoellick

Presidente Banca Mondiale

 
 

Responsabilità.
Concentrarsi
su una crescita
che includa
opportunità per
i poveri, sviluppo tecnologico,
micro-finanza
e prestiti ai piccoli imprenditori,
aiuti per centrare gli obiettivi
di sviluppo del
Millennio.

 

 

 

Gli storici hanno diviso la storia dell’Occidente in epoche che rappresentano i valori culturali, economici e politici del tempo. E dunque abbiamo il Medioevo, il Rinascimento, la Riforma e l’Illuminismo.
Come sarà definita la prima metà del XXI secolo? Sarà l’era del Ribaltamento, con i Paesi che ripiegheranno su soluzioni nazionali, portandosi dietro i loro ricordi di prosperità? Sarà l’era dell’Intolleranza, con stranieri e immigrati indicati come responsabili dell’aumento della disoccupazione? O sarà semplicemente l’era del Declino?
Può e deve essere l’era della Responsabilità, come ha giustamente messo in rilievo il presidente Barack Obama. Perché questo sia l’esito, serviranno atteggiamenti nuovi e politiche cooperative, negli Stati Uniti e in tutto il mondo.
Quali caratteristiche dovrà avere questa era della Responsabilità? Innanzitutto, essere un’epoca di globalizzazione responsabile, dove l’inclusività e la sostenibilità abbiano la precedenza sull’arricchimento di pochi, e questo significa concentrarsi su una crescita che includa opportunità per i poveri, sviluppo tecnologico, micro-finanza e prestiti ai piccoli imprenditori, accordi commerciali che vadano a beneficio di entrambe le parti e livelli di aiuti sufficienti per centrare gli obiettivi di sviluppo del Millennio. I primi passi sono il completamento dei round negoziali iniziati a Doha e un rinnovato impegno ad erogare gli aiuti promessi.
In secondo luogo, dovrà essere un’era di gestione responsabile dell’ambiente globale. Un accordo sui cambiamenti climatici al vertice di dicembre a Copenhagen, che tagli le emissioni di anidride carbonica, usando le nuove tecnologie, potrebbe aprire la strada.
In terzo luogo, dovrà essere un’era di Responsabilità finanziaria, sia a livello individuale che a livello di sistema. Il punto di partenza dovrebbe essere un accordo G-20, cioè tra le principali economie, per una cooperazione tra i Governi verso un’espansione della spesa pubblica nel quadro di una disciplina di bilancio. Servirebbe un accordo anche su un piano che riapra i mercati del credito e affronti il problema dei crediti inesigibili, in modo da consentire la ricapitalizzazione delle banche e allontanare lo spettro del protezionismo.
In quarto luogo, dovrà essere un’era di Multilateralismo responsabile, che vedrebbe Paesi e istituzioni cercare soluzioni pratiche a problemi interdipendenti. Per fare qualche esempio, uno sforzo per raggiungere delle intese sulle forniture di cibo per ragioni umanitarie, sul prezzo dell’energia o sull’introduzione di tasse mirate a incoraggiare gli investimenti in fonti energetiche pulite e il risparmio energetico.
In quinto luogo, dovrà essere un’era di Partecipazione responsabile: prendere parte all’economia internazionale non porterà con sé soltanto benefici, ma anche responsabilità. I vecchi club dei Grandi (G-8 oppure G-20) farebbero posto a un gruppo allargato, ben radicato nelle realtà economiche correnti. Questo gruppo sarebbe chiamato ad agire, e non soltanto a discutere. La nostra era della Responsabilità dovrà essere globale, non soltanto occidentale.

Zingari in un campo nomade nella periferia di Roma. - Serena Colazzo

Zingari in un campo nomade nella periferia di Roma. - Serena Colazzo

Sarà la risposta che daremo alla crisi nei prossimi mesi a decidere la rotta. Come primo passo, i Paesi sviluppati dovrebbero destinare lo 0,7 per cento dei loro piani di stimolo all’economia a un Fondo di vulnerabilità a sostegno della gente più bisognosa nei Paesi in via di sviluppo. La Banca Mondiale potrebbe gestire la distribuzione dei soldi, insieme alle Nazioni Unite e alle Banche regionali per lo sviluppo. Potremmo usare i meccanismi esistenti per erogare i fondi in modo veloce e flessibile, accompagnandoli con operazioni di monitoraggio e di tutela per garantire che il denaro venga speso bene.
I Paesi poveri necessitano di tre interventi: programmi di assistenza sociale per aiutare a limitare l’impatto della recessione sui poveri; investimenti in infrastrutture per gettare le basi della produttività e della crescita, e nello stesso tempo per far lavorare la gente; finanziamenti per piccole e medie imprese per creare occupazione.
I donatori possono tarare i loro contributi al Fondo di vulnerabilità, in modo da conciliarli con i loro interessi. Questo approccio ha funzionato bene nel caso del sostegno garantito recentemente da Germania e Giappone alla ricapitalizzazione, promossa dalla Banca Mondiale, delle banche dei Paesi poveri, e nel caso della decisione di garantire finanziamenti provvisori per progetti infrastrutturali fattibili che negli ultimi tempi non riescono più a trovare i fondi.
Si tratta di un piano realizzabile. Il traguardo fissato dall’ONU per gli aiuti è dello 0,7 per cento di un’economia. Stabilire come obiettivo l’erogazione dello 0,7 per cento del piano di stimoli all’economia di ogni Paese sviluppato rappresenta solo una minuscola frazione delle centinaia di miliardi destinati ai salvataggi delle grandi banche, ma potrebbe fare una grande differenza per quelle centinaia di milioni di persone che sono vittime di una crisi di cui non portano responsabilità.
Soprattutto, darebbe il segnale che è il mondo che sceglie di delimitare la crisi, non il contrario. Azione internazionale o politiche che mirano a proteggere il proprio orticello a discapito degli altri? Era della Responsabilità o era del Ribaltamento? La scelta è chiara.

   
   
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