Marzo 2009

SORGENTI DELLA MUSICA

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Il suono dei luoghi

Sergio Bello

 

 
 

Suoni smarriti. È evidente che abbiamo smarrito - figli, come siamo, della civiltà tecnologica - le capacità di ascolto, le facoltà di cattura dei suoni della Terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Far suonare un luogo” (un ponte sarà senz’altro un manufatto, ma è anzitutto un luogo) non è cosa del tutto nuova nel campo della musica. Non soltanto perché il rapporto, le relazioni tra musica e luoghi sono stati largamente esplorati da John Cage, grande organizzatore di concerti in treno, e di silenzi e concerti in spazi pubblici, ma anche perché il rapporto musica/ambiente è alla base delle sorgenti stesse della musica.
Ci sono alcuni popoli per i quali la musica è imprescindibile dal luogo nel quale va suonata: ci sono tribù della Nuova Guinea (Papua) che cantano facendosi accompagnare dal rumore di un certo ruscello che scorre – ad un certo ritmo – soltanto in una certa stagione. Ci sono guerrieri tatuati che nella stessa Papua piangono facendosi accompagnare dal suono del vento che spira tra gli alberi e dal canto di specifici uccelli presenti nelle foreste locali. In altri termini, siamo solo noi che abbiamo separato la musica dal contesto in cui andava naturalmente suonata e fruita, grazie ad I-pod, lettori di compact, giradischi e altri marchingegni messi a nostra disposizione dalla tecnologia contemporanea. Qualche anno fa a San Francisco una musicista geniale, Pamela Zed, aveva allestito uno spettacolo – un cosiddetto “one woman show” – muovendosi e facendo suonare i rumori dell’intera città che aveva applicato con sensori a varie parti del corpo: un braccio erano le sirene delle navi alla fonda in rada, l’altro il rumore del traffico urbano, un fianco il vento sul Golden Gate, e così via. Laurie Anderson l’avrebbe imitata appena poco dopo, mettendo in scena se stessa e una cospicua catena di rumori della città, accuratamente registrati e applicati in varie parti del proprio corpo.

Giovanni Coluccia
Giovanni Coluccia

In realtà, tutti i luoghi suonano e tutte le architetture hanno una propria musica, anche se non è detto che si tratti sempre e comunque di una musica gradevole. I luoghi buoni certe volte suonano palesemente con i propri silenzi. Chiese, moschee, templi, hall, atrii, patii, antiche abitazioni, vecchi agglomerati mediterranei, producono (per l’orecchio di chi sa e vuole ascoltarli) musiche sorprendenti. Nelle case di tufo dei borghi e dei villaggi bianchi del Sud d’Italia si dice ci sia una correlazione (una complicità) tra pareti e persone che le abitano: qui i muri cantano e gli uomini, ma soprattutto le donne rispondono, sono duetti antichi e misteriosi, carichi di magici afflati; e si aggiunge che se questi esseri umani in confidenza con i propri ambienti domestici vengono trasferiti in città anonime, in case moderne, in ambienti estranei (e l’estraneità in questo caso viene percepita immancabilmente come ostilità) hanno la vita accorciata, oltre che privata delle antiche qualità, antropologiche, e compromessa da un’insopportabile, macerante malinconia.
In alcune aree della Turchia affacciata sulle coste chiare del Mediterraneo e su quelle ricche di selve del Mar Nero sopravvivono ancora oggi le rovine di cliniche mentali costruite sul modello greco per curare i pazienti facendo ricorso all’armonioso sciabordio
di fontane o al più accentuato croscio di cascatelle, (l’acqua è sempre stata considerata fonte di musica, si trattasse di piogge o di maree montanti o calanti, di marezzature di laghi o gorgoglio di fiumi e torrenti, persino – Schubert insegni! – di abissi disvelati dal mare in tempesta) . Ma ci sono luoghi insopportabili, che risuonano molto male, hanno sgradevoli riverberi di rumori di fondo, di allarmi di case e di automobili, di stridio di gomme per brusche frenate, di urli di sirene di ambulanze… Nelle Città del Mondo dello scrittore siciliano Elio Vittorini intere città “suonano” ai pastori, che le osservano da lontano, la propria sinfonia: latrati di cani, voci di donne che richiamano i propri figli, aprirsi e chiudersi di porte, messaggi ondulari di venditori ambulanti, cantilene di giovani ragazze, grida giocose e stridule di fanciulli in strada, fischi del vento tra le canne e dentro i tronchi cavi degli ulivi, ruzzolare per le scale e lungo i ripidi viottoli di barattoli di rame o d’alluminio, rumori di impiantito, scricchiolii di abbaini, passati al vaglio di uno dei più elaborati strumenti di amplificazione, il vento, la distanza, l’atmosfera.

Giovanni Coluccia

L’effetto complessivo è – letterariamente parlando – eccellente; è affidato al giudizio e al gusto del lettore l’effetto indotto dei rumori della città o della metropoli, comprese le sue periferie, colti nell’immediatezza del loro manifestarsi come echi di vita quotidiana.
Far suonare un ponte, invece, è un’impresa certamente interessante, anche se in questo caso particolare un po’ edulcorata. Per quale ragione isolare i rumori? Per quale ragione scomporli, per poi rimontarli? In altri termini: si tratta di un’idea magnifica, che tuttavia perde il rapporto diretto con la sua intuizione. Un ponte è fatto né più né meno che al modo di un violino, e come questo strumento ha un corpo che vibra e un numero esatto di corde che lo sostengono. Non è sufficiente per ispirare una sonata?
Ci sono altre architetture che hanno un suono speciale e che sono state concepite per suonare? Le chiese romaniche, le cattedrali gotiche, sono inconcepibili senza l’invenzione del coro e dell’organo e senza i timbri del gregoriano. Esistono trattati che hanno studiato l’architettura dei chiostri medioevali come trascrizione di una partitura. La celeberrima Cattedrale barcellonese della Sagrada Familia, di Gaudì, è considerata da molti una crestomazia di sinfonie: per di più, è ritenuta non ancora compiuta, dunque suscettibile di nuove composizioni da innestare armonicamente su un “progetto infinito”: un concerto polifonico planetario, con una partitura universale.

Archivio BPP

In uno dei più bei film circolato in Spagna, un grande regista, l’ottantaduenne Portabella, ci spiega la grandezza della musica nei luoghi: Il silenzio prima di Bach, il suo film, rappresenta una scena magnifica nella quale quaranta violoncelli suonano le variazioni per violoncello di Bach in una metropolitana lanciata a grande velocità nel sottosuolo di Barcellona.
Gli effetti sono sicuramente spettacolari, ma senza alcun dubbio sono rivelatori della possibilità della musica di accordarsi con gli echi del contesto, con i variabili scenari e ritmi del luogo, anche quando questo luogo può sembrare anonimo e uniforme (nel caso di Portabella, una galleria sotterranea, buia per lunghi tratti, solo di tanto in tanto ritmicamente laminata dalle luci che segnano le pareti del percorso ferroviario).
È evidente che abbiamo smarrito – figli, come siamo, della civiltà tecnologica – le capacità di ascolto, le facoltà di cattura dei suoni della Terra. Abbiamo abbandonato i nostri centri storici, luoghi di aggregazione di concerti grossi creati dalla natura. Siamo assediati dai cacofonici prodotti di una velocità sempre più alta. Nemica del silenzio e dell’introspezione, l’indifferenza fa il resto.

   
   
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