Marzo 2009

ESPLORANDO IL NOVECENTO

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Canti per amore

Ada Provenzano Giorgio Franciosa
Elisa Minerva

 

Coll.: Giovanna Arigliani
Alessandro Olmo
Enzo Oxilia
 
 

“Mio sud, mio brigante sanguigno, portami notizie della collina.
Siedi, bevi un
altro bicchiere
e raccontami
del venti di quest’anno.
Mio treno
di notte lento
nella pianura...”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si può parlare dell’Amore senza correre il rischio di ripetere, banalizzandolo, quanto è stato scritto dai poeti di tutti i tempi?
Influenzati come siamo dalla scienza che ha dominato il secolo scorso – la psicanalisi – vorremmo provare ad analizzare nel profondo proprio questo vario, complesso e fragile sentimento che governa la vita relazionale dell’uomo. Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo fatto ricorso alle opere scritte da poeti appartenenti alle diverse correnti letterarie del Novecento. Per ottenere una maggiore armonia del testo, abbiamo volontariamente trascurato la sequenza cronologica delle opere.

Nino Della Notte, “Incontro”, s.d., tempera su cartone (collezione privata). - Archivio BPP
Nino Della Notte, “Incontro”, s.d., tempera su cartone (collezione privata). - Archivio BPP

I versi riportati ci danno la possibilità di indagare in qualche modo i differenti risvolti dell’Amore: quali sono i diversi elementi che concorrono a determinarne gli slanci ideali, i contenuti, le intramontabili espressioni creative? Soltanto coloro i quali scrivono – e vivono della – poesia, delle emozioni, del candore, dello spirito sensuale, e del furore, del dolore, della solitudine, dell’intimo travaglio che macera la dimensione esistenziale – tutti valori che sprigionano le scintille albali di un componimento poetico– possono dare una risposta che non straripi nella retorica. Tant’è che i “comparti” in cui elettivamente abbiamo diviso le poesie potrebbero essere moltiplicati all’infinito, o non esistere affatto; nel senso che ogni espressione poetica meriterebbe una voce a sé, differente da tutte le altre, eppure inclusa nell’incommensurabile mosaico della creazione in versi.

Viviamo in tempi più che mai condizionati dalla dea Ananke – la Necessità – che spesso ci porta al conflitto, cioè al dolore. Ma il dolore non è sempre un castigo. Se elaborato, emerge come spinta energetica dal Male verso il Bene. Materia incandescente, l’anima. Quando questa non rimane soffocata nella materialità, diventa anima mundi: l’invisibile si trasforma in essenza di ogni cosa, attraversa tutto e tutti; visione antroposofica steineriana, natura e destino dell’uomo, sua elevazione. È il ritorno all’Io spirituale. Kandinskij: «La vita spirituale appartiene all’arte». La poesia, come ogni forma d’arte, risveglia l’anima, ne sollecita la creatività. John Keats: «La vita è la valle dell’anima». Ed è il suo respiro.

AMORE PER IL CREATO


MARE DI SHELLEY

Oh i bianchi stormi radenti con l’ale il fiore dell’onda!
O flutto azzurro!
E tu, vento,
che mi ravvolgi e sussurri,
frascheggi sordo
nei platani, e incalzi l’onda canuta!
Mare divino fragrante! L’acre salsedine io bevo
riconoscente, le membra do al vento, l’anima al mare.
Lo guardo, palpito, aspiro: sento il
mio sen dilatarsi,
crescermi il cuore nel petto,
splender nell’anima il sole...

Enrico Thovez


NOTTE

La notte è chiara in chiarità stellare;
l’ombravive; dileguano le forme;
ansie d’attesa
passano, ed il mare
leva a fior d’acqua il
cuore che non dorme.

Campi di gigli nel silenzio
enorme
per tutti i cieli sembrano
sbocciare;
armonioso d’astri e d’astri a torme,

lo spazio freme come un alveare.

Fiumi
sonori fluttuano per l’etra
verso foci invisibili,
e ne vibra
d’amor la Terra tutta, immensa
cetra...

Antonino Anile


DORME IL VENTO

Il vento dorme e avido sogna.
È preda l’immobile
verde distesa
e i fiammanti papaveri,

e la glauca seta del mare:
gli eretti cirri di
fumo
gli attoniti ulivi del colle;
e le nubi
ferme all’amplesso dei monti
e il sommesso
favellar dei boschi.

Dorme il vento ma avido
sogna…

Garibaldo Alessandrini


AMORE PER L’INFANZIA


OCCHI PURI

Occhi puri, tutto raggio,
sotto le ciglia vostre,
bambine
(e le dolcissime colline
che
laggiù fanno lento il viaggio);

riso chiaro
dell’anima nuova
che vi splende su la fronte

(e i castagni su per il monte,
lucidi ancora
di fresca piova);

parolette che sono una festa

e ogni gesto ch’è una grazia
(e il piccolo
lago che si spazia,
bianco, in fondo alla
valle mesta);

io lo so bene che non v’è un
bene
come questo sicuro e grande
che da
voi dentro me si spande,
tra cose semplici e
serene…

Diego Valeri


FANCIULLO

Con un’arancia in mano, abita il prato
un
fanciullo di luce e d’aria tenue.
Gloria di
suoni e d’ali, e risa ingenue
e profumi celesti
hanno creato
il suo bel capo biondo,
ove
sorride il mondo.

Fili di sole e uccelli lampeggianti

fanno ghirlanda angelica al suo riso,
esalando, in quel volto, un paradiso
tessuto
in oro tacito dai canti
degli angeli corali,

che fanno rullii d’ali.

Arturo Onofri


CONCERTO IN GIARDINO

A quest’ora
innaffiano i giardini in tutta
Europa.
Tromba di spruzzi roca
raduna
bambini guerrieri,
echeggia in suono d’acque

sino a quest’ombra di panca.

Ai bambini
in guerra sulle aiole
sventaglia, si fa
vortice;
suo no sospeso in gocce
istante ti
specchi in verde ombrato;
siluri bianchi e
rossi
battono gli asfalti dell’Avus,
filano
treni a sud-est
tra campi di rose...


Vittorio Sereni


LE MIE FIGLIOLE

Occhi color di rhum nel bicchiere che brilla,

occhi color mattino specchiato nell’acqua tranquilla,
occhi-passione della mia maggiore,

occhi-piacere della mia minore,
occhi
nuovi, umidi e felici,
venuti a risplender per
me
nel posto d’occhi che si chiusero in quest’anni.


Occhi belli delle mie figliole,
così
luminosi nelle giornate sole...

Giovanni Papini

Pablo Picasso, “Acrobata e giovane equilibrista”, 1905, olio su tela. - Archivio BPP
Pablo Picasso, “Acrobata e giovane equilibrista”, 1905, olio su tela. - Archivio BPP

LA BAMBINA CHE VA

La bambina che va sotto gli alberi
non ha
che il peso della sua treccia,
un fil di canto
in gola.
Canta sola
e salta per la strada;
ché non sa
che mai bene più grande non
avrà
di quel po’ d’oro vivo per le spalle,
di
quella gioia in gola…

Camillo Sbarbaro

AMORE PER LE CREATURE ANIMALI

IL RONDONE

Il rondone raccolto sul marciapiede
aveva le
ali ingommate di catrame,
non poteva volare.

Gina che lo curò, sciolse quei grumi
con batuffoli
d’olio e di profumi,
gli pettinò le penne,
lo nascose
in un cestino appena sufficiente

a farlo respirare.
Lui la guardava quasi
riconoscente
da un occhio solo. L’altro non si
apriva.
Poi gradì mezza foglia di lattuga
e
due chicchi di riso. Dormì a lungo.
Il giorno
dopo all’alba riprese il volo
senza salutare...


Eugenio Montale


CAPINERA

La capinera cuce cuce e cuce.
Dalla quercia
solitaria
con le acce lunghe lunghe del suo
canto
ombra e sole in terra cuce,
cuce sereno
e nuvole nell’aria,
finché fra i tronchi l’erba
è tutta luce
e il cielo è tutto eguale liscio e
bianco
come una pura conchiglia di canto.


Arturo Onofri


CANICOLA

Oggi la mia felicità è l’allodola
che nell’incendio
del mattino estivo
dagli abissi del
cielo versa il rivo
fresco e giulivo del suo
canto,
mentre la terra par che dorma, e intanto

tutto matura, ed io riposo accanto
alla schiera che miete
grave le spighe d’oro
vivo
e le vespe irrequiete
ingannano la sete

con il sangue degli ultimi papaveri.

Oreste Ferrari


AMOR DI SILENZIO

Nell’intrico più fitto ha posto il nido
un usignuolo,
amico del cipresso.
Mai nel sereno,
da che imbianca l’alba,
un colpo d’ali, un temerario
tuffo:
mai su le roste ove la luce sfila,

a fior di fronda, un favellìo fugace.
L’albero ammanta, fuso d’ombra stretto,
quell’amor di silenzio che s’imbosca.
Solo,
quando la notte ode il fruscio
della luna che
transita pei cieli,
poeta malinconico, dal folto,

come un raggio di luna il canto esprime...

Elpidio Jenco


ULTIMA FARFALLA

La farfalla venuta su al tepore
del mattino
d’ottobre
che non vedrà la sera
e troppo
vento agita su quei pruni
ecco si leva alta su
tormentose
pareti al sole che l’accende invano

ed appena difesa dall’aggetto d’un tronco
un po’ rallegra un vortice di foglie
e nel
profumo estivo della polvere
è gioia che non
pesa.
Ma dai monti rapisce ogni calore

l’ombra che s’avvicina.
Ora ha posato
tutto
il verde delle ali
e se n’è andata, dove non
so, a morire.

Alessandro Parronchi

Marc Chagall, “Il compleanno”, 1915. Museum of Modern Art, New York. - Archivio BPP
Marc Chagall, “Il compleanno”, 1915. Museum of Modern Art, New York. - Archivio BPP


PISPIGLIA LA QUAGLIA

Un sole mézzo, arato sul declivio
dove arsero
l’altr’ieri
come un segno del fuoco
primevo
le stoppie,
e dove ondeggiò il grano
a
piè di queste dune,
or è un anno, di luce, ora
un canneto
cela il pispiglio della quaglia

che attende il primo nato,
sferza e avvelena
il buio
la scolopendra,
la tua nuca lampeggia
dove ho amato.

Piero Bigongiari


AMORE CAMPANILISTICO



TRIESTE

... Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,

è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con
gelosia.
Da quest’erta, ogni chiesa, ogni sua
via
scopro, se mena all’ingombrante spiaggia,

o alla collina cui, sulla sassosa
cima,
una casa, l’ultima s’aggrappa.
Intorno
circola
ad ogni cosa
un’aria strana, un’aria
tormentosa,
l’aria natia.
La mia città che
in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me
fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.


Umberto Saba


FIRENZE

A Firenze, in Via Tornabuoni
una fuciacca
di cielo è tesa
sui fili
del telefono 8-85.

L’altro emisfero si rinfresca
da Doney e Nipoti,

con una penna di paradiso
al cappello,

e fra le trine un profumo
di Floride e di
Splendid Hotels.

Un vecchio affogato nella
primavera
trascina un paniere d’iride sul
marciapiede,
lungo le vetrine infocate
di
cravatte, di fogli da mille e di liquori:
“Due
soldi il mazzo le violette,
i narcisi e gli anemoni”.


La collina di San Miniato
sciacqua
nell’Arno i suoi ori di Bisanzio,
i suoi
cipressi,
e le ville;
il Ponte Vecchio incrostato
di gemme,
i campanili,
i tea rooms,

coll’acqua verde
partono fra due argini felici
di sole...

Ardengo Soffici


COLLINA PIEMONTESE

Bel tornare per quelle azzurre strade
di collina,
la sera di settembre.
C’è aria di serene
confidenze,
una stanchezza vogliosa di baci.

S’imbattono catene di ragazze,
carri di
bimbi. A un tratto è grande l’ombra
con lu
mi di lontane case sparsi,
e là, sospesa in un
canto, la luna.

Francesco Pastonchi


TERRA MIA

In un cofano azzurro
traluce la gemma dei
monti
con iridi di valli
e baleni di prati:

avesse la terra una mano
da inanellare e far
mia!

Clemente Rebora


LUNA AL PAESE DI MIA MADRE

Tarda sale la luna verso l’alba,
logora e grigia
senza forza d’ombra
o di schiarire in sogno
acque dormenti,
sopra i monti sereni.

Appena impallidito dagli ulivi
snoda il torrente
e sfuma nella valle
la sua traccia di
serpe in mezzo all’erba.
E quando il sole all’improvviso
versa
dal crinale incendiato la
colata
del suo sorriso ardente,
pare rapita
in cielo trasparente...

Corrado Govoni


SALENTO

E qui, se mai verrai, l’estate
quietamente si
sfanno obelischi
e cattedrali come sortilegi

consumano in esilii avventurosi.
Prossimi
alle scogliere noi
parleremo del Sud, dell’Europa,

dell’uggia e del campo di tabacco
che avanza in bilico tra noi e il mondo.

Vittore Fiore


CONTADINE DEL CAPO

Quando affrontano il giorno sui cammini
col
fazzoletto in testa e il vando nero
hanno lo
sguardo fiero e un metro fisso
di marcia sotto
la roggia del sole.

Non parlano non cantano

non guardano dintorno, cavalcatrici di strade e di sentieri.
I segreti pensieri ruotano
lentamente
magri falchi su bisogni elementari.


Nessuno le vide nascere
nessuno ancora
le vedrà morire.
Destino affamigliato le porta
alla campagna
che anela fra le rocce come
la loro bocca.

Al giro indifferente di cielo
e di rapaci
le scarpe in mano vanno su
asfalti provinciali
o lungo le carrare polverose.

Finiscono d’un tratto dietro case di pietra
e lasciano solo ombre d’occhi neri.

Donato Moro


SCOGLIERE

Sopra i campi di Siracusa, presso le scogliere,

ove, lasciata la sua bianca voce,
l’onda
che urta si ritrae nel mare,
con rauco grido
s’alza la cornacchia.

Immensa solitudine!...
Contro il mare e il sole,
il ripetersi continuo
di quel volo e di quel grido.
Teocrito, Archimede,
i trionfi, le bighe
sparirono quali
schiume sul duro
esistere; ma della rauca
voce, del volo nero
mai non perdono l’orma
le scogliere.

Luciano Nicastro


VERSO FERRARA

Questa è l’ora che vanno per calde erbe infinite

nel mio paese gli ultimi treni, con fischi lenti
salutano la sera, affondano indolenti

in sonni dove tramontano rosse città turrite.

Dai finestrini aperti il vino delle marcite
monta al madido specchio delle povere panche;
dei giovanili amanti scioglie le dita stanche,
fa deserte di baci le labbra inaridite.

Giorgio Bassani


PIANURA PADANA

Nel fremito delle sue dieci penne
il Po nasce
da una costola
del Monviso, incoronato dai
venti.
Il bigio monte sassoso
scarse vene
possiede, ha un arido cuore,
ma sotto
un’ombra sperduta
cresce la polla che fugge

col viso teso, ridente, alla valle…

Mela
spaccata, la pianura
da monte a mare è preda
del fiume
che ronfa nella spenta bellezza
della notte,
o simile alla vipera s’acquieta.
Mormora, racconta
stupefacenti nomi…
poi livido d’orrore,
con la bava alla
bocca,
strappa, avventa
verso il delta inquieto
il suo furore…

Roberto Roversi


MIO SUD

Mio sud,
mezzogiorno
potente di cicale,

sembra una leggenda
che vi siano
torrenti
a primavera.

Mio sud,
inverno mio cald

come latte di capre,
già si dorme
fratello e
sorella
senza più gusto.

Mio sud,
pianura
mia,
mia carretta lenta.
Anime di emigranti

vengono la notte a piangere
sotto gli
ulivi,
e domani alle nove
il sole già brucia,

i passeri
a mezz’ora di cammino
non hanno
più niente da cantare.

Mio sud,
mio
brigante sanguigno,
portami notizie della
collina.
Siedi, bevi un altro bicchiere
e raccontami
del venti di quest’anno.

Mio treno
di notte
lento nella pianura
Battipaglia…
Salerno…
mio paesano, stanco sulla valigia,

come vagabondo…

Franco Costabile


CASA DI MONLIONE

Bene che sia caduta
dal platano la foglia più
alta,
che ricoprano il fiume
tenerissime
nebbie
e la macchiola resti
greve di pioggia;


o che una fila di quaglie
ricerchino
mute
il margine ombroso del bosco,
fuori
della rovente stoppia
dove giace la serpe falciata;


sempre io amo queste colline
della
terra di mia madre.

Casa di Monlione,

per prima ti vedo
sul fianco della collina

sotto l’albero di noce.

Incontro gli uomini

che portano giacche di velluto
odorose di
polvere da sparo e di tabacco…

Paolo Volponi


CALABRIA

… E un giorno non troppo lontano
unito a t
e nella zolla
sarò anch’io Calabria,
sarò il
fremito dei tuoi alberi,
il murmure della tua
onda,
il sibilo dei tuoi uragani,
il profumo
delle tue siepi,
la luce del tuo cielo.
Si dirà
Calabria e anch’io
sarò compreso in quel
grande
e immortale nome, anch’io
diventato
un ulivo
dalle enormi braccia contorte

spaccate dal vento dei secoli,
anch’io sarò
favola al canto
che sgorghi improvviso
come
acqua dal sasso
dalle labbra di un giovinetto
pastore
dell’Aspromonte…


Leonida Répaci


ELEGIA MOLISANA

Risonanze sommerse porta il vento
quando
s’alza negli orti a sera e mugghia,
ostile,
sulle case antiche e vuote
che immagini conservano
remote
e ricordi di morti senza tempo.

In queste mura intesse la sua vita
di rinunce
e miseria la mia gente:
i vecchi non
ricordano che fame
e le mamme hanno il
petto dissanguato
dalla fame dei figli:
nelle
mani esse stringono la pena
e grani di rosario.


Come vorrei lungo i tuoi tratturi,

terra mia dolce, unirmi ai tuoi pastori
che
lenti vanno e muti come numi
antichi nel silenzio
sopra l’erbe;
o per le strade unirmi ai
pellegrini
a ritrovar la fede dei miei padri

dietro un ramo intarsiato fatto croce…

Ma
non odo che pianto nei crocicchi
e sulle soglie
vedo solo addii.

Non si piangono morti,
qui, ma vivi!

Uomini vanno col fardello carico

di stracci e di illusioni, chissà dove.
Partono!

Parte tutta la mia gente
per approdi
lontani.
Partono all’alba, come i condannati…


Sabino D’Acunto


LA MIA TERRA

Sotto pallidi olivi
sparse greggi sul margine
dei greti
brucano l’erba rugginosa.

Sole
d’inverno, lievi erranti fumi azzurri
su chiuse ville e casolari.

Dolce
quiete di vita, immagine
remota
del mio sogno, tu esisti, bella
quanto
ignara. E la memoria
ti ritrova
in un ansito di gioia,
ed incontro ti viene

come il soldato alle braccia materne.

Giovanni Titta Rosa

Marc Chagall, “La passeggiata”. Museo Statale d’Arte, San Pietroburgo. - Archivio BPP
Marc Chagall, “La passeggiata”. Museo Statale d’Arte, San Pietroburgo. - Archivio BPP

IL PANE

Sulla pendice estrema del Gargano
la masseria
giaceva e l’abbagliava
la piana solatia
del Tavoliere:
accoccolate sulla bassa costa

ammiccavan le case linde e bianche.
Come
branco di capre l’oliveto
selvatico saliva alla
montagna
brulla, mentre alle falde si snodava

attraverso boschetti d’elci e d’olmi
il
Candelaro torpido e silente…

Grande era
l’opra e tempo d’affrettare:
la spiga d’oro
già pendea matura.
Albeggiava e la stella
mattutina
come un fanale rosso s’inarcava

sul Gargano. Pungeva quasi il fresco.
Subito
mosser gli uomini in silenzio
al limite del
campo, e là arrivati
ristettero un momento
per pregare.
Roco un grido s’udì, e le prime
falci
brillaron nel chiarore antelucano…


Umberto Fraccacreta


LE ALPI

I verdi balzi e i pascoli ridenti,
reduce pellegrino,
ho riveduto;
ai ghiacci eterni, ai fiumi
ed ai torrenti
ho ridato dal cuore il mio saluto.


Qui dov’io seggo schiudesi agli intenti

sguardi il riso del ciel limpido e muto;
qui
dov’io seggo il mio pensiero in lenti
desideri
di pace erra perduto.

La catena dell’Alpi in
ampio giro
variata di nevi e di pinete
in vallate
profonde, ecco, s’adima.

E vagabonda
d’una ad altra cima,
solca una nube l’immortal
quiete
della nitida volta di zaffiro.


Giovanni Bertacchi

AMORE PER LA MADRE


LA MADRE

E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà
fatto cadere il muro d’ombra
per condurmi,
Madre, sino al Signore,
come una volta mi
darai la mano.

In ginocchio, decisa,
sarai
una statua davanti all’Eterno,
come già ti vedeva

quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante
le vecchie braccia,
come quando spirasti

dicendo: “Mio Dio, eccomi”.

E solo
quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio
di guardarmi,

ricorderai d’avermi atteso
tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.


Giuseppe Ungaretti


GRIDO ALLA MADRE

Madre, mia madre
dove sei nel lontano?

Dove ti sei sperduta dopo la morte,
che più
non mi mandi la tua immagine,
e deserti sono
i miei sogni,
ma meno della mia vita?
Io sto quaggiù lo vedi in quale pericolo:
strani
mostri mi fanno le cacce,
girano intorno intorno
alla poca rupe.

Madre, se esisti ancora

in qualche punto dell’universo
o sei tornata
alla bontà indivisa
da cui ti staccasti
nel nascere,
fammi sentire
diminuita la
mia solitudine,
schiariscimi gli occhi,
che
io giunga a rivederti
nell’alto del tuo sereno,


e smetta di scorgere
al tuo posto le ambigue

larve che ti nascondono
al figlio.


Giorgio Vigolo

Pablo Picasso, “Due donne che corrono sulla spiaggia”, 1922. Musée Picasso, Parigi - Archivio BPP
Pablo Picasso, “Due donne che corrono sulla spiaggia”, 1922. Musée Picasso, Parigi - Archivio BPP

FAVOLA E SOGNO

(Elegia per mia madre)

Oh, la brina degli anni sui capelli!
È scesa
lenta
e d’improvviso
è sera.
Ma nel crepuscolo
ancora
l’anima ad una qualche favola
s’indora
dolcemente.

Un navicello
antico scivolando
su meraviglie d’acque
nel
mattino,
mi porta ad un’isola verde
ove
sotto platani frondosi
in riva a un quieto lago

sorridono le madri:
la mia con gli occhi
andalusi,
giovane come nel tempo
ch’era
appena fanciulla.

Non parla,
tra le braccia
ella mi stringe al seno;
e l’aria m’avvolge

d’un canto invisibile d’uccelli
tra i rami

in mutevoli voli
dentro le folte fronde.

Oh!! La brina degli anni sui capelli!...

Carlo Saggio


IN TERRA

Chiese d’essere sepolta
in terra, mia madre;

e che marmo non pesasse
sul suo sonno,
ma l’erba
vi crescesse che non chiede
fatica,
soltanto pioggia e sole;
mio padre nella
cappella
a prestito, nel gorgo dei platani,

attende che si faccia
posto anche per lui, in
terra.
Il muratore, come una stanza
intonaca
la tomba, con pietre
sotto il fondo, che
l’aria
vi respiri.

Seduta sull’orlo
mia sorella
lavora a maglia.

Alberico Sala


MADRE

Madre, disteso il volto
se quest’ansia di cedere
alla morte,
mentre sormonti gli evi

stanchi, ti si converte in cantico
di gaudio farai
di questa notte l’esile
regno, ma non circoscritto.


Madre, il tuo regno
in questo
breve fiato – velato
di sapienza – che la morte

contrasta.

Da fresche scaturigini
tu
scorgesti, in vetta al tuo respiro,
il tuo parlare

già al di là delle ore, quando
pur si sdipana
e resta illeso
il groviglio del vivere.

Sovrana,
sul silenzio,
inaudibile ai pochi, assisa,

per tradurre in affetto i confini
del giusto.


Una notte d’inverno
fu il tuo manto di
pellegrina
cui la strada preme, ormai. Passo

dietro passo, non nata,
non da nascere più,
t’accompagnai
lungo un viale di ghiaia.
La
notte infine livellò
pietosa ogni orma.


Enzo Panareo


SOLITUDINE

Tu che m’hai messo
madre
in questa grande

solitudine del mondo
non mi sarai vicina

quando dovrò morire
solo come la luce
solo
ancora a compiangermi
a riconoscermi a ricordarmi

solo senza il tuo latte
che mi crebbe
per la solitudine
senza più questa fede proterva

che tutto mi tende a quel giorno certo.

Giuseppe Longo


LE ORE MIGLIORI

… Nessuno ci corre dietro. Ma tu
macchinalmente
solitaria persisti
nel ritmo ordinario
in cui ogni ora
ha la sua norma: sai già
che il mattino avrà stanze
disfatte e l’odore
del sonno e l’aria
che un brivido nebbioso vi
porta o il sole

nella bella stagione. Bisogna
dunque concludere
tutto perché tutto ricominci,

dopo un riposo di affrante bestiole,
col primo atto del domani: vivrà la vita per chi non ha tempo
di vivere. Così anche ora
da me ti allontani,

spingi cassetti, fai scattare
sportelli,
ammàini l’avvolgibile con fragore:

e siamo soli con tutte le storie
dei libri
che promettevano
in cambio di virtù felicità.

Così finiscono le tue ore migliori…

Giovanni Giudici



AMORE PER IL PADRE


A MIO PADRE

Se mi tornassi questa sera accanto
lungo la
via dove scende l’ombra
azzurra già che
sembra primavera,
per dirti quanto è buio il
mondo e come
ai nostri sogni in libertà s’accenda

di speranze di poveri di cielo,
io troverei
un pianto da bambino
e gli occhi aperti
di sorriso, neri
neri come le rondini del mare.


Mi basterebbe che tu fossi vivo,
un uomo
vivo col tuo cuore è un sogno…

Alfonso Gatto


A MIO PADRE

L’uomo che torna solo
a tarda sera dalla vigna

scuote le rape nella vasca
sbuca dal
viottolo con la paglia
macchiata di verderame.

L’uomo che porta così fresco
terriccio
sulle scarpe, odore
di fresca sera nei vestiti

si ferma a una fonte, parla
con l’ortolano
che sradica i finocchi.
È un uomo, un piccolo
uomo
ch’io guardo da lontano.
È un
punto vivo all’orizzonte.
Forse la sua pupilla

si accende questa sera
accanto alla peschiera

dove si asciuga la fronte.

Leonardo Sinisgalli

OSTERIA DELLA BELLA BREZZA

Padre, finita la giornata uscivi
le belle sere

a prender l’aria di mare. Sedevi
fuori dell’osteria
che non c’è più;
che aveva un nome co
sì fresco, pinto
in azzurro di lettere leggere

sulla bianca maiolica. Hanno stinto
il tempo
ed il salino
tante in me cose e non quel nome:
spira
dal suo celeste ancora
la bella
brezza.

Discendevi su l’ora
che il nostro
mare è una cara contrada
con tesi teli e fumo
di comignoli.
Tra poco, e ancora è giorno,

treman sull’acque lumi e nelle case.
Cantan, su’ remi, amanti.
Navi fanno ritorno,

escono navi dal prossimo porto,
van per
quieta strada
all’orizzonte che il vespro avvicina.


Andavano, per te, sul mare grande.

Andavano distante
anche i piccoli barchi, e
tu con loro.
I capitani della Bella Brezza
rifanno
a gara
la traversata, toccano le Americhe.

Tempi di vela! Un palpito di nomi…

Angelo Barile


SILENZIO

Padre, le sere i lunghi treni a riva
e le stelle
sospese alle scogliere,
a risacca di mare. Il
vento secco
delle zàgare nuove nei giardini.

Segno di lume alla finestra e il cupo
dorso
selvoso del vulcano. Entravi
alto nell’ombra.
La cucina nera
schermata dalle fiamme e il
volto chino
della mamma. Di voi solo silenzio

ora resiste. Lucida dal mare
la notte
cala sui velieri antichi.

Giuseppe Villaroel


LETTERA

Padre, il mondo ti ha vinto giorno per giorno

come vincerà me, che ti somiglio.

Padre, i
tuoi gesti sono aria nell’aria,
come le mie parole
vento nel vento.

Padre, ti hanno umiliato,
tradito, spogliato,
nessuno t’ha guardato
per aiutarti.

Padre di magre risa, padre di
cuore bruciato,
padre, il più triste dei miei
fratelli, padre,

il tuo figliuolo ancora trema
del tuo tremore,
come quel giorno d’infanzia
di pioggia e paura

pallido tra le urla buie del
rabbino contorto
perdevi di mano le zolle sulla
cassa di tuo padre.

Ma quello che tu non
dici devo io dirlo per te
al trono della luce
che consuma i miei giorni.

Per questo è partito
tuo figlio; e ora insieme ai compagni
cerca
le strade bianche di Galilea.

Franco Fortini


AMORE ONIRICO


AVORIO

Parla il cipresso equinoziale, oscuro
e montuoso
esulta il capriolo,
dentro le fonti rosse
le criniere
dei baci adagio lavan le cavalle.

Giù da foreste vaporose immensi
alle eccelse
città battono i fiumi
lungamente, si muovono
in un sogno
affettuose vele verso Olimpia.

Correranno le intense vie d’Oriente
ventilate fanciulle e dai mercati
salmastri
guarderanno ilari il mondo.
Ma dove attingerò
io la mia vita
ora che il tremebondo
amore è morto?
Violavano le rose l’orizzonte,

esitanti città stavano in cielo
asperse di
giardini tormentosi,
la sua voce nell’aria era
una roccia
deserta e incolmabile di fiori.


Mario Luzi


GIOVINETTA AI CONFINI DEL MONDO

(Per una morgana in figura di bellissima fanciulla apparsa sul deserto una sera dopo una battaglia. Tre piccole stelle la seguivano)

Giovinetta ai confini
porporini del mondo,

placida forma che da lungi pace
già dare
potresti agli eroi
quando avvampati irrompono
nel cielo
con l’odore bruciato della
terra!
Sorta sei nei silenzi
per chi, se non
per noi,
o sorella dei venti
e dei soli
irreale

e pur vera
più della verità stessa alla
nostra
sete sì lunga: canto
d’un’aerea
grazia fuggitiva
sull’ombra che ci affossa

senza materno pianto?

Ti soffermassi un
poco,
volta così, là sul limite estremo
che
varchi, mentre una tua mano alzata
(solo
il gomito punge rubicondo
l’aria di rosa)
dietro l’ammatassata chioma accenna
tre
palpitanti piccole
vite d’uno sciame d’oro

che ti seguono: un coro,
inaudito ai mortali,
di tre note
dal tremolo lucente;
e pare
che beatamente
le ascolti tu reclinato il bel
viso:
sì per il chiaro mento,
come alone
da due lievi onde,
dalle schiuse labbra si
effonde
la labilità d’un sorriso!

Dove
vai? Verso quali più lontani
orizzonti cammini?

A illudere fugace
quali spiriti d’altri
mondi,
se in altri mondi han vita esseri
mesti
d’inaccessibili misteri?

Addio, misericordioso

incantesimo della morte/
Consci, i nostri occhi, e muti
di quaggiù te
salutano oramai
come chi miri al confine
del mare
vascello dileguare
carico d’umani
sospiri…

Umberto Zerbinati

Giorgio de Chirico,“Gli sposi”, 1926. Musée de Peinture et de Sculpture, Grenoble - Archivio BPP
Giorgio de Chirico,“Gli sposi”, 1926. Musée de Peinture et de Sculpture, Grenoble - Archivio BPP


SPIRITO D’ARMONIA

L’architettura solare
delle giornate perfette

dona più altezza alle vette
più profondità al mare,

concilia fuochi turchesi
con tenerissimi
albori
e suddivide in riflessi
eterei
canti di fiori.

Tutto l’azzurro combacia
sferica e morbida selva
d’alito d’oro e di
perla –

con la votiva tenacia
delle radici e
dei frutti
e degli spiriti tutti.


Girolamo Comi


PARTENZE

I marinai raccontano
che nel partire sempre

guardano la terra ansiosi:
dove la terra
muore
e le ultime palme ondeggiano

sorridenti fanciulle
coi fazzoletti muti
il
volo dei capelli neri
promettono ai marinai
perduti.

Giacinto Spagnoletti


SOGNO GRECO

Son tornato, stanotte in sogno, in Grecia
a
un sepolcreto antico non violato,
in un’isola
forse o in terraferma:
ma, sconosciuto e di
me stesso ignaro,
morto ero fuor di tempo
da mill’anni.

Poi, fu d’ignota doglia un
ineffabile:
sognavo infatti d’essermi presago

che al tempo e al giorno e a non so che memoria
la tomba profanata avesse a rendermi
forse all’istante oppure fra mill’anni.

Io
dico doglia, ma non ci fu tempo,
mentre sognar
che mi destava un sogno,
il silenzio
violava ed il segreto
intatto d’un sepolcro in
terra greca,
fuor di tempo un momento e
mille anni.

Riccardo Bacchelli


LUNGO UNA STRADA

Lungo una strada senza nome,
in un dolce
paese di sogno,
incontro talora una dolce figura,

un amico, o forse me stesso.
Se ne va
né curva, né altera,
un po’ melanconica,
in
cerca di aspetti svaniti.
La spio di là da una
siepe fiorita,
la seguo col cuore che batte,

ma quando da presso
le tendo le braccia/

svanisce come ombra leggere.
E non mi resta
che tornare solo.

Filippo De Pisis


UN SOGNO

Era mattina; e, il mondo, trasparente.
Le
ragazze parevano ruscelli.
Fucilate d’eterei
cacciatori
come chicchi di grandine passavano

da parte a parte i tordi di cristallo.
Si
vedeva attraverso le colline,
quasi attraverso
un vetro, città e porti,
campi e foreste,
diafani miraggi.
Guardavo in cuore a tutti;
e sotto all’erbe,
come sul fondo d’un laghetto,
i morti.

Corrado Pavolini

Carlo Carrà, “Madre e figlio”, 1917. Pinacoteca di Brera, Milano. - Archivio BPP
Carlo Carrà, “Madre e figlio”, 1917. Pinacoteca di Brera, Milano. - Archivio BPP

ERA SOGNO

Se ti ricordo,
eri Dafne fuggente inseguita.


Ora sono una pietra
e se un tuo bacio mi
ha scosso
era sogno.


Ennio Bonea



AMORE IDILLIACO


SONETTO

La luna lenta e blanda divagava
fra l’ombre
degli ulivi e dei vigneti
sul colle addormentato,
che posava
nel lume amico dei
suoi poggi lieti.

L’aria tranquilla e tiepida
odorava
di fiori, di fogliame e di frutteti,

e l’usignuolo limpido irrorava
gli orti ombrati
di mirti e di laureti.

Nella quiete
splendida fioriva
il suo delirio con il suo lamento,

e ricadeva là donde saliva,
riscintillando
per la fronda, in una
pioggia di note
roride, che il vento
spargea su l’erba intorno
ebra di luna.

Enrico Somarè


ADAGIA LA TUA VITA

Adagia la tua vita in questo campo
che fa
sera tutto pieno delle viole
nel più dolce autunno
senza vento.

E parlami di te, ché tanto
bramo
sentire la tua storia in questo buono

dell’ora e del cuore mentre cade
la prima
stella nel fiume.

Non dirmi che ti turba
il mio fissare
lo sguardo nei tuoi occhi, se
del bene
vi trovo della vita. Tu non sei,
o
cara, meno dolce della sera
che cala sopra il
mondo e infonde calma.

Umberto Bellintani


MORMORA NELLA SERA

Mormora nella sera
come una voce gelida
la brezza
che muove dall’oriente. Bruna
si
vela nello sguardo
trepido, fisso; ti trascorre

quasi una luce il petto dove il cuore
dal silenzio
invernale
lentamente si sveglia… Liberata

nel celeste è la fronte…

Come un
mare, a onde
bagna il vento i capelli, tra le
nuove fronde
trema bianca la luna.


Antonio Rinaldi


OMAGGIO A CATULLO

Viviamoci, mia cara, che ci amiamo,
e i
bròntoli dei vecchi moraloni,
noi ce li valutiamo,
tutti, un soldo:
il sole sa morire e ci
ritorna:
ma se un giorno ci muore il breve
giorno,
la notte eterna, noi, ce la dormiamo
:
tu i mille baci mi dai: dopo, i cento:
e i
mille, dopo ancora: e i cento, poi:
e dopo,
gli altri mille: e i cento, ancora:
poi. Fatti i
nostri multimila baci,
ci confondiamo il
conto, in un pasticcio:
se no, un cattivo ci
fa il menagramo,
che sa che sono tanti i nostri
baci.

Edoardo Sanguineti


PAROLE D’AMORE SUSSURRATE

…Io ti ricerco in mille
frammenti, morso
dalla fame, o unico
sorriso, unico ricordo,
amore.

Cerco la fonte, ma il cercarla è, in
cuore,
chiuderla: si posta sulla cresta
dell’essere
– già simile al parere –
questa abbondanza,
questa vanità.
Tu che irrori la
mensa ed alzi il calice
all’altezza degli occhi,
io che ti bevo,
cieco, e ti tocco sulle labbra,
ecco

io per te sono l’ultima favilla,
già tuo
nel quieto spegnersi per l’aria,
ma non tuo
per il fuoco che ha condotto
questo parere
ad essere, già fiamma
nel brivido di freddo
che le imposte
aprendosi ora lasciano filtrare

d’un giorno, questo: giorno tuo se è mio.

Piero Bigongiari


COME APPARSA NELLA SERA

T’incontrai come apparsa, nella sera;
e il
cuore ansiosa e schiva ti portava.
Un lampione
oscillando allo scirocco
ti illuminava
gocciole
fra i riccioli in tempesta.
Sera
d’inverno, e a noi di primavera.

Giovanni Francesco Romano


FRESCHEZZA AZZURRA

Freschezza azzurra
effusa chiarità,
luce
infinita
da non so quale
miracolo esplosa.


Silenzio
a pace
si sposa.

Un veliero

su le tremule
acque senz’orme
con l’ali
aperte
incantato
dorme.

Né foglia né fiore

nel bosco
si move.

Il pensiero
segreto
rema
verso un come
verso un dove
e nel
profondo
trema.


Angiolo Silvio Novaro



AMORE FULMINEO


AL PARCO

Nell’ombra della magnolia
che sempre più
si restringe,
a un soffio di cerbottana
la
freccia mi sfiora e si perde.

Pareva una foglia
caduta
dal pioppo che a un colpo di vento

si stinge – e fors’era una mano
scorrente
da lungi tra il verde.

Un riso che non m’appartiene

trapassa da fronde canute
fino al
mio petto, lo scuote
un trillo che punge le
vene,

e rido con te sulla ruota
deforme
dell’ombra, mi allungo
disfatto di me sulle
ossute
radici che sporgono e pungo

con fili
di paglia il tuo viso…

Eugenio Montale



AMORE DESIDERATO


ORA CHE SEI VENUTA

Ora che sei venuta
che con passo di danza
sei entrata
nella mia vita
quasi folata in
una stanza chiusa –
a festeggiarti, bene tan
to atteso,
le parole mi mancano e la voce
e
tacerti vicino già mi basta.

Il pigolio che
assorda il bosco
al nascere dell’alba, ammutolisce

quando sull’orizzonte balza il sole.

Ma te la mia inquietudine cercava
quando
ragazzo
nella notte d’estate mi facevo
alla
finestra come soffocato:
che non sapevo,
m’affannava il cuore.
E tutte tue sono le parole

che, come l’acqua all’orlo che trabocca,
alla bocca venivano da sole,
l’ore deserte,
quando s’avanzavan
puerilmente le mie labbra
d’uomo
da sé, per desiderio di baciare…


Camillo Sbarbaro


È TARDI

È tardi, mio fermo cuore.
Una donna non è
nostra
e si stringe, eco pallida,
a un nido di
rondine
sul profilo dei sentieri.

Ogni moto
è un’isola
che tu potevi accostare.

Le
giunture dolgono. I richiami
assalgono l’aria.
Un filo d’oro terso
teso è un canto remoto.
Negli aliti
lievi purché tu ti svegli,
lo
stellato plumbeo, da fiori fusi,
spezzati in
alto nelle varie orbite,
è un vuoto.


Lorenzo Calogero


LE MANI

Queste tue mani a difesa di te:
mi fanno sera
sul viso.
Quando lenta le schiudi, là davanti

la città è quell’arco di fuoco.
Sul sonno
futuro
saranno persiane rigate di sole
e
avrò perso per sempre
quel sapore di terra e
di vento
quando le riprenderai.


Vittorio Sereni



AMORE E SOFFERENZA


PIANURA

A quest’ansito sordo del cuore
non gigli
schiumosi infiora il mare
né l’antica pianura
un arco incurva
di luna e di tremore.
Qui il
cavo silenzio delle ore
disperde suoni solitari,

lampi iridescenti nell’occhio
del pastore in
mezzo ai pioppi
che il respiro coglie di stormi
e venti
al sud in fuga oltre la siepe mossi.


Giovanni Bernardini


PROCESSIONI E SUFFRAGI

Processioni e suffragi
s’aprono a ventaglio

sulle pagine scure
del nostro giorno
Mai
più inni di gloria
dopo l’assedio dei Saraceni

Altre strade infinite
Navi che salpano
e
treni di pianti lunghi
Mi guardo le mani
e
parlo con mia madre
Anche il fratello è partito

dice
resti tu solo a vegliare la casa

Solo io
E il mare torna a infuriare
Terra
dell’Est
spugnosa d’argilla
Mare che tante
storie
puoi raccontare
di sangue e fiori
sparsi
Ha vinto il Saraceno
quando ha trafitto
il tuo
e il mio cuore.


Bruno Epifani


SETTE SASSI

Sette sassi ho trovato per strada,
sette sassi
a punta di chiodo
e capocchia di duro mercante:

passo più passo meno,

quattro nell’ombra
e tre nel sole.

I miei passi andavano
piano
come su un lastrico di cimitero,

posando pensiero dopo pensiero,

– quattro
nell’ombra, tre nel sole –

ma con tal senso
di natura morta,
che una lucertola guardò
quei passi
e il mezzogiorno s’irrigidì.


Silvio Catalano


CATOI

Nera miseria cova nei catoi,
tossiscono bestie
e fanciulli,
fave cotte quando si hanno,

cicoria amara e cardi senza pane.
L’inverno
è una sentenza di dolore.

L’asino morto
tutto pelle ed ossa,
la tramontana che passa
la porta
e non bastano i sacchi di concime

e le vecchie bisacce
a scaldarci le ossa trapanate.

E la luce ci tagliano,
ci tagliano
anche l’acqua
e ci svendono all’asta il canterano.

Non contano più niente
i santi protettori

e il ferro di cavallo sulla porta
e le
croci di palma benedetta,
non c’è misericordia,

ci tolgono anche i chiodi dalle mura.


E le madri sono come coniglie,
coniglie nere
sepolte dai lutti
e i padri se ne stanno sulla
piazza
a guardare la pioggia maledetta
che
gonfia le fiumare
e dieci son le bocche da
sfamare,
dieci paia di scarpe sono un occhio.



Mandiamo la sorella cameriera,
la
sorella più grande, ancora tenera,
quella che
coltivava nelle grasse
i garofani e guardava
nella via
con occhi grandi e tristi le ragazze

con quattro letti di biancheria
e il picciotto
massaro col carretto...

Mario Gori

Joan Mirò,
“Rondine/Amore”, 1933. Museum of Modern Art, New York. - Archivio BPP
Joan Mirò, “Rondine/Amore”, 1933. Museum of Modern Art, New York. - Archivio BPP

AMORE

La luna coronata di margherite
ride nei vaghi
occhi infermi,
caprioli d’argento
scherzano
nelle radure del cielo.

I fiori si macchiano
di sangue…
Oh, lontana, lontana in
questa notte
come una nave con le sue vele

nel mare scuro.

Ma presto verrà il tempo

arido e melodioso dei papaveri
e tu sarai
tornata
già donna.


Attilio Bertolucci


RITRATTO

Dentro di me porto i cori della sera,
i lamenti
e la dulia delle novene,
gli inni cantati
nelle processioni,
di notte, all’inquieta luce
dei ceri
per le strade sgombre di peccato.

porto il terrore del rigido ramarro,
il seme
d’orzo che germina le felci,
la mestizia del
campo devastato
e il cupo desiderio d’una
donna.

Quando tomba si fanno le parole
e
vani sono i cori ed i lamenti,
mi regge il sogno
d’impreviste razzie
o il silenzio ch’entra
dalle porte
spalancate in faccia al gelo della
luna.
Ho lo stupore di Lazzaro risorto,
la
pietà delle cave di pietra
che offrono il ventre
alle perforatrici
e con me porto la ruvida
scorza
dell’olivo contorto di dolore,
la magra
polpa dell’uva zibibbo
e il torbido furore
dei torrenti in piena…

Geri Morra


MORTE DI UNA STAGIONE

Piovve tutta la notte
sulle memorie dell’estate.


A buio uscimmo
entro un tuonare di
pietre,
fermi sull’argine reggemmo lanterne

a esplorare il pericolo dei ponti.

All’alba
pallidi vedemmo le rondini
sui fili fradice
immote
spiare cenni arcani di partenza –

e
le specchiavano sulla terra
le fontane dai
volti disfatti.

Antonia Pozzi



AMORE EPISTOLARE


MIA PICCOLA LIRÒ…

Mia piccola Lirò ti scrivo un po’ turbato,

al lume della candela, col cuore in apprensione
non so perché, ma come se un innocuo moscone
entrato nella mia stanza vi
ronzi all’impazzata.

Lirò, ti vorrei dire
tante, ma tante cose,
più dolci di quei confetti
che ti piacciono tanto;
tante cose soavi
e tepide come il sangue
che corre alla
tua fresca bocca di melarosa;

e tante altre
leggère come il profumo di fieno
che tu
prodiga versi nei tuoi fazzolettini,
leggère
come il sorriso tuo che mi fa sereno;
cose
morbide, come i tuoi capelli fini,

fini più
delle vene che ti battono le tempie
e molto
traspariscono, azzurre e un poco verdi,
per
la tua candida pelle disfatta e vellutata
Lirò, ti vorrei dire tante cose, ma semplici,

e pure come i tuoi occhi, tante cose leggiadre...


Ti vorrei bisbigliare cose tristi e dolci
come
gli occhi delle caprette, cose nere
più delle chiome
tue, più dei tuoi occhi; più
bianche delle tue mani,
più gradite dell’odore
della menta se pian piano

si schiaccia
sotto le dita. Neppure questo: “Lirò,
mia
viva tenerezza, se tu per me sarai
quel
ch’io sarò per te, sarò quel che tu vorrai!”

Neppure questo udrai dalla mia bocca triste…

Arturo Onofri


LETTERA 1951

Natale altro non è che quest’immenso
silenzio
che dilaga per le strade,
dove platani
ciechi
ridono con la neve,

altro non è che
fondere a distanza
le nostre solitudini,
sopra
i molli sargassi
stendere nella notte un
ponte d’oro.

Sono qui, col tuo dono che mi
illumina
di dieci stelle-lune,
trasognata
guidandomi per mano
dove vibra un riverbero

di fuochi e di lanterne (verde e viola),
di girandole e insegne di caffè.

Van Gogh,
Parigi azzurra…

Un pino a destra
per appendervi
quattro nostalgie
e la mia fede in
te, bianca cometa
in cima.


Maria Luisa Spaziani


LETTERA DA MILANO

Solo il tuo nome ora ricordo, aria leggera

estivi tramonti. Meglio non ricordare.
(Ogni giorno fu nostro,
ogni sera ci appartenne,

un attimo la fine).

Non credere,
cara, che con amici a Milano la sera
stia
volando in metrò verso nuove avventure.
Non credere. Amo adesso tristezze civili:
strade larghe senza cuore, gialle senza foglie.
Ho tentato, sai, di estirparti dal cuore. Ho tentato.
Ma occhi perlati e seni avviliti
dopo notti d’amore
m’implorano sempre:
“Vattene, appartieni a qualcuna,
appartieni!”


Non chiedetemi quando i ricordi
cadranno
“Presto” risponderei, e il cuore
“Mai”.

Lucio Romano


AMORE NELLA RIMEMBRANZA


PASSATO

I ricordi, queste ombre troppo lunghe
del
nostro breve corpo,
questo strascico di morte

che noi lasciamo vivendo,
i lugubri e durevoli
ricordi,
eccoli già apparire:
melanconici
e muti
fantasmi agitati da un vento
funebre.
E tu non sei più che un ricordo.

Sei trapassata nella mia memoria.
Ora sì,
posso dire
che m’appartieni
e qualche cosa
fra di noi è accaduto
irrevocabilmente.

Tutto finì, così rapido!
Precipitoso e lieve

il tempo ci raggiunse.
Di fuggevoli istanti ordì una storia
ben chiusa e triste.
Dovevamo
saperlo che l’amore
brucia la vita e fa
volare il tempo.

Vincenzo Cardarelli


QUANDO FU L’ORA

Quando fu l’ora
gli orologi avevano perduto
la voce
e la pietra lunare del cui bagliore

sinistro s’era nutrito il mio esilio
scivolò in
mare dove qualcuno
un giorno la troverà,
qualcuno che invidio
perché sarà come me
triste e ilare
quand’io non potrò più esserlo.
Camminerà sulle rive
dei miei pensieri di
ora
credendo d’esser solo, solo e diverso,
e
un giorno, dopo una pioggia, in una grotta del cielo
vedrà un celeste limpido e disperato

(limpido e disperato amore mio!)
e lì
potrebbe scorgere, mestamente confuse,
le
tracce dei miei passi nell’infinito.

Vittorio Bodini


OTRANTO

Otranto ha gustosissimi grumi di neve
un
lungo discorrere della memoria
vuota silenzio
invernale nella mia mano
bianca di turco
spolpato

È lontano ricordo anche l’aria

che penetra tutto che tutto riempie
e ricordo
il mare che guarda masse
corpi d’abbandono,
memoria ancora
– cristalli morbidi mutanti…

scrostata pazienza di casucce di storia…

Antonio L. Verri


SERA DI GIORNO ESTIVO

È caduta già l’ombra e una cicala,
fra i rami
del cipresso, ancora canta,
credula sempre
se pur l’accecante
abbaglio più non la
rende frenetica.
Retriva, con mestizia, eppure
canta.
S’illude forse che faccia ritorno

subito il sole, e intanto si distilla
nel cuore
chiuso fra le cartilagini
la luce e il canto del
passato giorno.

Più felice di me,
ché partita
per sempre la mia luce
non mi consola del
trascorso bene
(sognato forse) il ricordo,
anzi il cuore
adombra di rimorso e nostalgia

mentre fa cenno qui presso una tomba.

Ettore Serra


RODODENDRI

Busso alla porta dei ricordi. Ed ecco,
da cenere
di tempo,
mi balzi tu, a colori vivaci.

Ti ritrovo oggi su quel ponticello
estemporaneo
che lega i due ripidi
versanti d’abetaie: in
fondo, un mugghio
schiumante d’ire.

Sulle
tue guance sono i rododendri.

Scagliano
contro l’azzurro i ghiacciai
quei loro quarzi
puri, ma per noi
scendono docilmente in filo
casto
di refrigerio a questa nostra ciotola.

Un aroma di funghi alle narici,
in bocca ancora
il gusto dei mirtilli.
Fresca d’alpestri delizie,
trattengo
la te stessa di allora, accanto,
a lungo.

Poi, la ripongo delicatamente
nelle
pieghe della memoria. Mai
– oh, stanne
certa! –
vi appassiranno i cari rododendri.


Lionello Fiumi


OCCHI

Che occhi chiari quella sera
e molti non tornarono
più:
c’era un’aria di primavera /
un’aria che non tornerà più.

Fumavamo così per fumare
con delicatezza ed amore,

non avevamo voglia di parlare
per paura di
far rumore.
– Addio, addio, arrivederci qua

e ciascuno per la sua via:
tanta dell’anima
mia
è rimasta sotterrata là.

Nicola Moscardelli


LA CASA

La casa dove nacqui
era chiusa come un autunno

tiepido che s’attarda.
Il vento ci portava
le foglie,
la caserma gli squilli
e il rumore
di tanti cavalli,
le prigioni dal muro
grandissimo
ogni tramonto rosso, una paura.

Stavo solo negli anni
un po’ spaurito
come
il falco che avevo nutrito
di topi morti.

Nacqui lì dov’è il geranio,
il muschio nel
pozzo,
il sole impoverito sui muri sporchi.

Erano i giorni buoni che penso ancora,
tracce
di solitudine che non cancello mai,
tiepidezza
materna, come
il primo amore ricordi.


Guglielmo Petroni


SOLA CAMMINO

Sola cammino alla fine del mio giorno.
I baci
ov’era terra spiga mare
forse in me cresceranno

in tanta terra spiga mare.
Amore,
pazza attesa, fisso lume tu sei;
ma inutile
è sperare
se il cuore non risponde
e l’eco
di un bacio non ha suono.

Biagia Marniti


NEL MARE DEL TUO VIVERE

Quali paesi mai alla tua luce
offrire? Quali
nomi delle antiche
favole a te? Non ne conservo
alcuno
dell’infanzia, incantato millennio,

nell’incauto tempo che assottiglia
la
grama fantasia, sepolto.

Mari d’eventi l’isola
sommerse
ove ancorata l’anima attendeva

nella rada speranza ad echi umani…

Oh, mitica memoria che riemerge
dall’infuocato
cielo, dalla terra
contrita, dal marino
sepolcro,
umile foglia nell’incerta mano

del fanciullo che ignaro passo muove
tra
scheletriti mostri,
è già ventura e grazia, intatta
forma,
alle favole nuove, a te che andrai

nel mare del tuo vivere a spiegate
vele,
col radar nell’aperta mente.

Elio Filippo Accrocca


L’ARTE DEL PRIMO SONNO

Che pece tenera l’inesperienza
tua e mia
dell’umano, che amore
l’amore catafratto
d’ironia,
questo illudersi a ore alterne d’una

maturità che non esiste o almeno
non esiste
nel nostro destino.

Quanto poco fu il
tempo per descriverti
e meno ancora quello
che serviva
a viverti. Illeso amore, accento

di sorriso sulla mia prima costola
fratturata,
questo scherzo sottile
di primavera, e al
suo velo invisibile
io e te ringiovaniti nella
spera
del vaniloquio: la chiave è sul banco

che ti apre e mi vuota come l’uno
in euforia
dopo l’altro i bicchieri.

Silvio Ramat


AL FRATELLO

Un giorno amaro l’infinita cerchia
dei colli
veste di luce declinante,
e già trabocca sulla
pianura
un autunno di foglie.

Più freddi
ora dispiega i suoi vessilli
d’ombra il tramonto,

un chiaro lume nasce
dove tu dolce
manchi
all’antica abitudine serale…


Attilio Bertolucci



AMORE PASSIONALE


TANTI ANNI E TANTI

È agosto, è meriggio, alti prati intorno,
io
compio tanti anni e tanti, e da lungi
ecco tu
mi scrivi con la cara mano, scrivi
che troppo
io son giovine e zingara e inquieta,
tu mio
bene segreto, tu che mio non sei,
tu alto sovra
quanto amai, alto amore,
e da lungi il
tuo sorriso di carità dolce
vita e morte
ugualmente m’illumina,
colme e preziose di
pianto e gloria.

Sibilla Aleramo

Carlo Levi,
“La Santarcangelese”, 1936. Olio su tela, Matera, Centro Carlo Levi. - Archivio BPP
Carlo Levi, “La Santarcangelese”, 1936. Olio su tela, Matera, Centro Carlo Levi. - Archivio BPP


LA TUA SERA

La tua sera con tutte quelle luci
posate sopra
i rami e sopra i cigli
alle soglie notturne ti
conduce,
sguardo che al raggio steso rassomiglia.


Ama il raggio posarsi eppoi fuggire,

tingere d’oro il cielo eppoi lasciare
d’ombre
distese nell’azzurro ali
sopra i sonni mortali.


Ma in te diventa balenar d’un’orma,
colore
dell’affetto e una sua forma,
riso d’umida sera

che si fa per durare una preghiera.

Luigi Fallacara


UN GIORNO O L’ALTRO

Un giorno o l’altro ti lascio, un giorno
dopo
l’altro ti lascio, anima mia.
Per gelosia di
vecchio, per paura
di perderti – o perché

avrò smesso di vivere, soltanto.
Però sto fermo,
intanto,
come sta fermo un ramo
su
cui sta fermo un passero, m’incanto…

Giovanni Raboni


LIRICA ANTICA

Caro, dammi parole di fiducia
per te, mio
uomo, l’unico che amassi
in lunghi anni di
stupido terrore,
fa che le mani m’escano dal
buio
incantesimo amaro che non frutta…

Sono gioielli, vedi, le mie mani,
sono un linguaggio
per l’amore vivo
ma una fosca catena
le ha ben chiuse
ben legate ad un ceppo.
Amore mio
ho sognato di te come si sogna

della rosa e del vento,
sei purissimo, vivo, un
equilibrio
astrale, ma io sono nella notte
e
non posso ospitarti. Io vorrei
che tu gustassi
i pascoli che in dono
ho sortiti da Dio, ma la
paura
mi trattiene nemica; oso parole,
solamente
parole e se tu ascolti
fiducioso il
mio canto, veramente
so che ti esalterai delle
mie pene.

Alda Merini


TU

Tu unica, tu viva, tu acqua
e aria del mio vivere

e veemente complice di morte;
tu mio
pugno e stendardo
contro le scure procedure
della sorte;
tu mio grano, mio grembo, mio
sonno,
fuoco d’inverno che sventi l’obliqua

nube di notte dove abita l’Orsa,
tu unica e
viva, tu canto
di grave organo e grido
di
lenta carne e fiore e cibo, mia roccia
di paragone
e tiepida
tana, mia donna, tu unica,

tu viva.

Gesualdo Bufalino

(1 - Continua)

 

   
   
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