Marzo 2009

IL CORSIVO

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Silenzio,
almeno per un anno

Aldo Bello

 

 
 

Nobel agli idioti? Ha dunque ragione Bloom, quando senza reticenze né ambiguità diplomatiche afferma che il Premio è un’onorificenza per idioti di quinta categoria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chiediamo una tregua, un periodo rigorosamente sabbatico, una parentesi lunga di silenzio...

 

Ha ragione Luca Doninelli: «Quando l’odio si manifesta ritenendo di avere una buona ragione per essere considerato giusto e sacrosanto, o perlomeno legittimo, è un segno di profondo malessere. Il caso di Giuliano Soria è emblematico in proposito...». Soria era il patron del premio Grinzane Cavour. Caduto in disgrazia con accuse piuttosto pesanti da parte della magistratura, ha scatenato le critiche più inattese – e per questo motivo piùsgradevoli e persino più oscene – anche da parte di chi c’era o c’era stato dentro fino al collo, compresi i finanziatori (gli “sponsor”, come li definiva lui), che dopo averlo coperto di soldi lo hanno immediatamente scaricato. Forse perché ogni gran premio letterario è sempre stato associato a parole come vanità, ripicca, cordata, gelosia, tradimento, veleno, chiacchiericcio, ipocrisia,e via elencando. Più probabilmente perché il premio cultural-letterario, che dava un ottimo ritorno di immagine, con il Piemonte mensilmente invaso da Premi Nobel in carica, da Premi Nobel futuri o comunque potenziali, da autori famosi, è improvvisamente passato dalle pagine “nobili” dei quotidiani a quelle dedicate alla cronaca nera, con titoli accanto agli stupri e agli omicidi. Così, registriamo i turbamenti di un premiato, Carlo Fruttero, che ha candidamente dichiarato al “Corriere della Sera”: «Non sapevo da dove venisse, mi avevano detto che insegnava Letteratura spagnola». Ma ci faccia il piacere!, avrebbe esclamato il Totò nazionalpartenopeo: ad un esimio giallista come lui mancavano gli strumenti (intellettuali) di indagine per appurare l’identità di chi lo stava premiando? Stesso discorso per un altro scrittore, anch’esso caduto dal pero, Ernesto Ferrero. Nessuno era Santa Giovanna d’Arco, è vero; ma le voci si erano sentite, e continuavano a girare, tanto che, per ridare legittimità al premio, erano stati chiamati personaggi di rilievo, come l’onnipresente (nei salotti televisivi) matematico ateo Piergiorgio Odifreddi, Giulio Giorello, Dacia Maraini, Tahar Ben Jelloun e Cristina Comencini:un Comitato di garanti, palesemente sbilanciato a sinistra. Ma – si sosteneva – il Grinzane era un fiore all’occhiello, dunque andava sostenuto e finanziato. Strani strabismi degli enti pubblici che scuciono quattrini per finanziare premi letterari: due ani fa c’era stata bagarre al premio Viareggio; nel ‘97 Daniele Del Giudice aveva rifiutato il Campiello, nella cui cinquina era stato inserito contro la sua volontà; e un anno fa c’era stata una gran polemica per l’Acqui Storia, un altro premio piemontese, perché l’assessore alla Cultura, uomo di destra, aveva inserito in giuria alcuni personaggi sgraditi, da Pietrangelo Buttafuoco a Mauro Mazza, da Maurizio Cabona a Gennaro Malgieri. La giunta (di sinistra) della Regione Piemonte e la Cassa di Risparmio di Alessandria, sponsor titolari degli oboli destinati al premio, fecero pressioni perché il Comune ci ripensasse: davano fastidio i cafoni destrorsi che erano stati nominati dove un tempo c’erano stati i Bobbio, i Rochat, i Revelli: tanto sensibili ai 67 mila euro complessivi destinati all’Acqui, quanto molto distratti per i milioni (sempre di euro) destinati al Grinzane e dintorni! (Con intelligenza sofistica Doninelli sottolinea che – a proposito di Giuliano Soria – la letteratura si è sempre tenuta in vita «grazie alle canaglie, agli assassini, ai ladri, agli imbroglioni,ai tiranni e ai prevaricatori. Il male è il territorio della letteratura, senza il male la letteratura non esiste»: ci sarebbero i “Promessi Sposi” senza Don Rodrigo? “Pinocchio” senza il Gatto e la Volpe? “I demoni” senza Stavrogin? “L’isola del tesoro” senza Long John Silver? “Antigone” senza Creonte? Dunque – conclude il narratore – se a capo di un premio letterario c’è un farabutto,non è che ci sia da essere troppo contenti, «però la trovo una cosa molto letteraria, e non capisco perché uno scrittore, che campa grazie al male, debba poi prendere schizzinosamente le distanze quando scopre che l’oggetto del suo business esiste davvero…»). Storie isolate? Tutt’altro. Paolo Bianchi, per dire, ricostruisce alcuni casi anche molto recenti. Quello del Festival di Filosofia di Modena Carpi Sassuolo, ad esempio, che si celebra nel mese di settembre e che dovrebbe affrontare la nona edizione: ma sta di fatto che, a conclusione dell’ottava, è stata allontanata dall’incarico la direttrice; per solidarietà, una quarantina di filosofi e intellettuali hanno voltato le spalle alla manifestazione, ritenendo l’impeachment motivato da ragioni politiche. Un altro pasticcio tutto interno al milieu progressista, sottolinea Bianchi: «Perché a scorrere l’elenco degli ospiti più o meno abituali del Festival, ci sono nomi dalla collocazione automatica: il filosofo copista Umberto Galimberti, o Remo Bodei, appassionato di pensatori marxisti (Ernst Bloch e Theodor Adorno, giusto per fare due nomi), o ancora Omar Calabrese, già consigliere comunale a Bologna e assessore alla cultura a Siena, e d ex diessino, a cui però non piace il Pd. E poi Enrico Ghezzi, il cinecritico notturno di Raitre, o Giacomo Marramao, un altro che negli anni Settanta non parlava d’altro che di
materialismo storico e dialettico».

Giotto,Il presepe
di Greccio. - Archivio BPP
Giotto,Il presepe di Greccio. - Archivio BPP

Accennavamo al Viareggio, noto anche come Premio Viareggio-Versilia o Viareggio-Rèpaci, dal nome del fondatore: capitombolato nel 2007, dopo circa quarant’anni di dominio incontrastato, era stato quasi senza soluzione di continuità palestra di polemiche, tanto che persino Italo Calvino aveva spedito a suo tempo un telegramma di questo tenore: «Ritenendo definitivamente conclusa epoca premi letterari, rinuncio al premio perché non mi sento di continuare ad avallare istituzioni ormai svuotate di significato». Due anni fa, appunto, un ammutinamento contro la presidentessa Rosanna Bettarini ha portato alle dimissioni di due giurati, Ferruccio Parazzoli e Alfonso Berardinelli, e allo stallo del premio. Per non parlare del Pordenonelegge.it: nel mese di settembre, sempre del famigerato 2007, Aldo Busi, invitato, al cospetto di tutti si mise in mutande e definì ipocriti e incapaci un mucchio di politici dell’intero arco costituzionale. Cose che non sarebbero accadute, tuonarono gli esponenti dell’amministrazione locale chiamati in causa, se si fosse stati accorti nell’invitare “certa gente”. Non ci risulta che l’Arcigay abbia protestato. L’idea di coniugare piazza, cultura e vip dell’italica intellighenzia era nata a Mantova, poi si era diffusa ovunque, declinata in tutte le forme ed espressioni: abbiamo detto del Festival della Filosofia a Modena, ma c’è quello della Mente a Sarzana, dedicato alla creatività; quello della Scienza a Genova;quello della Matematica a Roma; sul sito della Società chimica italiana si discute sulla proposta di istituire un Festival ad hoc; a Saluzzo,Angelo D’Orsi ha dato vita al Festival della Storia; poi ci sono i Festival della Letteratura di Viaggio, a Roma, della Letteratura Nera (in ambito Grinzane) a Torino, della Letteratura Gialla a San Pellegrino Terme, della Letteratura di Montagna – il LetterAltura – a Verbania, della Letteratura per Ragazzia Torremaggiore, della Letteratura Sarda ovviamente nell’isola. Da aggiungere, tutto questo, ai premi che si dispiegano a tutto campo, dal Bagutta allo Strega, dal Campiello al Flaiano, dal Bancarella al Viareggio, dal Premiolino al Brancati, al Piero Chiara...
Punto di domanda: viste le risse che coinvolgono un gran numero di scrittori, e non soltanto nel Belpaese, e constatato che spesso e volentieri pergamene e assegni sono attribuiti a personaggi delle Lettere e delle Scienze che in non pochi casi finiscono nel dimenticatoio, perché non dar luogo a una moratoria sui premi, inclusi quelli – faraonici – assegnati ai colti e alle inclite di mezzo mondo, compresi alcuni inventori dell’acqua calda, dalla superciliosa Accademia scandinava nata per volontà di Nobel?

Giotto,La predica dinanzi a Onorio III. - Archivio BPP
Giotto,La predica dinanzi a Onorio III. - Archivio BPP



L’occasione per parlarne ci è data dalla decisione
di dare il Nobel per la Pace a Muhammad Yunus, presunto scopritore del microcredito e fondatore della Gramen Bank (Banca del villaggio). Ebbene, dalle nostre parti il microcredito ha radici lontane, esiste dalla seconda metà del ‘400, quando nell’Italia centrale nacquero i primi Monti di Pietà.
Yunus, docente di Economia, ha dovuto attendere il 1974 e la grande carestia del Bangladesh per realizzare lo stesso principio dell’erogazione di prestiti ai poveri che avessero intenzione di avviare piccole attività economiche. In Italia quel tipo di credito era già uno strumento di realizzazione del principio di sussidiarietà sancito dalla dottrina sociale della Chiesa e realizzato da numerose istituzioni creditizie. Il fenomeno, poi, aveva conosciuto una grande diffusione in Europa alla fine dell’Ottocento, anche per impulso della “Rerum Novarum” di Leone XIII, delle banche popolari e delle banche di credito cooperativo.Da noi, insomma, i princìpi di solidarietà, di sussidiarietà e di responsabilità personale e di gruppo potevano, e possono, essere semmai sviluppati. A inventarli, senza ricevere Premi Nobel, ci abbiamo pensato da oltre sei secoli.
Quello per la Pace dev’essere proprio un premio spesso proprio senza pace. Tempo favenne contestato, infatti, a Yasser Arafat, che per anni aveva succhiato miliardi dall’Europa, dall’America e da alcuni Paesi arabi, perché promuovesse la pacificazione nel Vicino Oriente: capitali che utilizzò in parte notevole per fini personali, e per la parte residua per proseguire la lotta armata proprio in quelle latitudini.

Giotto, La morte del cavaliere di Celano. - Archivio BPP
Giotto, La morte del cavaliere di Celano. - Archivio BPP

Mentre erano trascorsi soltanto pochi anni dal giorno in cui vennero premiati degli scienziati giapponesi, che avevano sviluppato una teoria appartenente agli studi del fisico italiano Nicola Cabibbo, cresciuto negli istituti di ricerca americani e noto ovunque nel mondo, ma perfidamente ignorato dagli Accademici scandinavi. Passiamo al campo minato delle Lettere. E citiamo l’autore de “Il canone occidentale”, de “L’angoscia dell’influenza” e di altri trenta libri che hanno rivoluzionato la storia della critica letteraria mondiale. Harold Bloom, docente alla Yale, ritiene l’Italia una delle culle letterarie più vitali: «Non solo per Dante, Petrarca e Boccaccio – chiarisce – ma anche per Manzoni, uno dei più grandi romanzieri del mondo; per Pirandello, più innovativo di Cechov e di Beckett; per Campana, che poteva diventare il Walt Whitman italiano se non fosse morto così giovane; e per il grandissimo Leopardi, poeta al livello di Keats, di Shelley e di Wordsworth». Autore della “famigerata” lista di libri che hanno formato il nocciolo nucleare della cultura e della civiltà dell’Occidente, («Ma non la rifarei più, visto che persino i critici più famosi scorrono solo i titoli e trascurano la lettura dei libri»),Bloom sostiene: «Ho speso tutte le mie battaglie e ciò che dovevo dire l’ho detto: se un lavoro non possiede splendore estetico, forza cognitiva e autentica originalità, non vale la pena leggerlo». La letteratura è un’epifania individuale e non deve avere alcuna valenza di riscatto sociopolitico: «Ho dichiarato guerra alle tesi femministe, marxiste e post-strutturaliste che da anni spadroneggiano nelle Università, non solo in America». L’inizio della fine? Nel ‘68, che «ha distrutto l’estetica, introducendo una finta sottocultura politically correct in base alla quale basta essere un’esquimese lesbica per valere di più come scrittore». Così, ignorando chi lo accusava di elitismo, di razzismo e di maschilismo, Bloom cita i suoi autori preferiti: Dante, Shakespeare, Cervantes, Omero, Faulkner, Proust, Wilde, i quali espandono la nostra coscienza senza deformarla, e toccano l’individuo senza pretendere di cambiare il mondo. Poi cita un paio di poeti yiddish, ma considera autore mediocre Isaac Bashevis Singer, Premio Nobel che avrebbe meritato di vincere invece Chaim Grade, artefice dello splendido “Yeshiva”.

Giotto, Confessione di una donna resuscitata - Archivio BPP
Giotto, Confessione di una donna resuscitata - Archivio BPP


Le sue crociate anti-Nobel, d’altro canto,sono ben note: «L’hanno dato ad ogni idiota di quinta categoria, da Doris Lessing, che ha scritto un solo libro decente quarant’anni fa, e che oggi firma fantascienza femminista,a Jean-Marie Gustave Le Clézio, illeggibile, a Dario Fo, semplicemente ridicolo, a Toni Morrison, che dopo “Amatissima” ha scritto solo supermarket fiction». Gli ultimi Nobel meritati?
Harold Pinter, «una
voce autentica, anche se discepolo di Beckett».
E José Saramago, «uno stalinista
che si è fatto espellere da Israele perché lo accusava di aver ricreato Auschwitz a Gaza ». Tra i contemporanei, detesta Stephen King, J.K. Rowling e Adrienne Rich («spazzatura»); ama Cormac McCarthy («“Meridiano di sangue” è un libro straordinario »), Philip Roth («“Pastorale Americana” e “Il teatro di Sabbath” sono capolavori »), Thomas Pynchon («“L’incanto del lotto 49” è eterno»), e Don De Lillo («“Underworld” è eccellente, soprattutto nella prima parte»); è tiepido nei confronti di Salinger («“Il giovane Holden” continua a commuovere, ma fra trent’anni sarà fuori moda»). Eccessiva severità? La critica letteraria non può essere impersonale, dice. Al contrario di T.S. Eliot, «penso che debba essere personale, appassionata, viscerale. È sbagliato socializzare con gli autori che si recensiscono, meglio conoscerli attraverso le loro opere. D’altra parte, se non parliamo noi male dei morti, chi lo farà?». Sorride al modo brigantesco, e passa in rassegna alcuni autori scomparsi di recente: da Updike («Uno scrittore minore con grande stile») a Mailer («Uomo generoso e appassionato, ma la sua opera migliore è stata – appunto – Norman Mailer»), e da Bellow («Un vero pazzo, una persona per molti aspetti davvero impossibile») a David Foster Wallace («Molto dotato, ma ogni suo libro era incompleto»). Henrik Pontoppidan, Par Fabian Lagerkvist, Halldór Laxness: chi conosce o ricorda questi Carneadi? Eppure dovrebbero essere scrittori di gran livello – sostiene Giuseppe Iannaccone – sempre che si consideri il Nobel loro assegnato dal consesso paludato dei diciotto Accademici chiamati a vagliare la crema della letteratura planetaria «come una patente di nobiltà artistica». Ha dunque ragione Bloom, quando senza reticenze né ambiguità diplomatiche afferma che il Premio è un’onorificenza per idioti. Altrimenti, come giustificare che una poetessa svedese di buona, ma non geniale rilevanza come Selma Lagerlöf, o un danese da un soldo bucato, come Karl Gjellerup, ricevessero dalle mani del re svedese un riconoscimento negato a Lev Tolstoj?
E non aveva ragione Emilio Cecchi, quando nel ‘59 «con un perfido accostamento» liquidava il successo di Quasimodo, preferito a Ungaretti, (quest’ultimo accusato di avere ottenuto la cattedra alla Sapienza per volontà di Mussolini; e il poeta siciliano fascista lo era stato, e aveva scritto poesie per così dire “democratiche” solo durante gli anni che precedettero l’assegnazione del Nobel), allo stesso modo con cui Grazia Deledda aveva avuto la meglio su D’Annunzio o su Svevo?

Giotto, La prova del fuoco. - Archivio BPP
Giotto, La prova del fuoco. - Archivio BPP

E non vien da ridere, leggendo alcunemotivazioni, come quelle riguardanti due scandinavi, nel ‘74, tali Eyvind Johnson («per un’arte narrativa, lontana da vedersi negli anni e nei paesi, al servizio della libertà ») ed Harry Martinson («per una scrittura che cattura le gocce di rugiada e riflette il cosmo»): al di là del sussulto di patriottismo e delle parole – queste sì, in libertà – sulle pergamene, chi ha mai letto, nell’universo terracqueo, un libro decente scritto da almeno uno di questi due scribacchini provinciali? Docente di Letteratura italiana a Göteborg, Enrico Tiozzo è autore di una ricerca, “La letteratura italiana e il premio Nobel”, nel
quale, sulla scorta di documenti conservati nell’archivio dell’Accademia di Svezia, mette a nudo logiche e meccanismi che portano all’attribuzione del Premio. E intanto emerge che detentori di un potere assoluto da più di un secolo non sono critici accreditati e attendibili, bensì ex ingegneri, chimici con la fregola della scrittura, poeti della domenica, pennivendoli. Poi, son venute alla luce le infrazioni alla conclamata obiettività, dettate dalle più svariate e a volte meschine motivazioni, anche non letterarie: le simpatie o le antipatie personali, le condizioni di salute, la sincerità della fede religiosa, la nazionalità tenuta in considerazione con una sorta di grottesco manuale geopolitico alla Cencelli, l’ostracismo ideologico (grazie al quale un oscuro ingegnere, Ingemar Wizelius, corrispondente da Zurigo di un giornale svedese, cooptato con il ruolo di specialista, condannò Papini con una sorta di scheda politica), persino l’età, (presentato inutilmente per ben nove volte, Benedetto Croce non ricevette il Premio dapprima perché non era ritenuto scrittore di belle lettere e maestro di stile, come se lo fossero mai stati Bertrand Russel e Winston Churchill; poi, per presunti limiti di età, decisione sbugiardata dalla consegna del premio a Gide, che di anni ne aveva settantasette, e a Doris Lessing, che ne aveva addirittura ottantotto). Lasciamo perdere le etichette in foderina, dunque. Fidiamoci di meno del sottobosco che circola intorno ai premi, e giudichiamo gli scrittori soltanto per i contenuti delle loro opere. Chiediamo una tregua, un periodo rigorosamente sabbatico, una parentesi lunga di silenzio, che agevoli la nostra riflessione e affini la nostra capacità di stabilire un’empatia con gli autori di talento e di scartare la gran massa di spazzatura che le strategie di mercato fanno circolare e impongono ovunque, ammorbando il mondo delle Lettere. Un tentativo di rinascita – forse – può iniziare da qui.

   
   
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