Marzo 2009

LA NUOVA STAGIONE DEL RISANAMENTO FINANZIARIO

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Stato e mercato.
Dr. Jekyll o Mr. Hyde?

Filippo Cucuccio

 

 
 

Il prepotente ritorno dello Stato nell’economia si inserisce in un trend che vedeva lo Stato uscire dal capitale bancario in quasi tutti i Paesi del mondo.

 

Il 2009 ha definitivamente sancito nello scenario mondiale la presenza di una stagione del risanamento finanziario che passa attraverso la fissazione di criteri e di regole ispirati all’assunzione di precise responsabilità di tutti gli attori del sistema politico ed economico.
Si tratta di un passo avanti significativo rispetto a quanto registrato lo scorso anno. Infatti, fatte salve alcune isolate eccezioni, allora il susseguirsi di difficoltà e imbarazzi di natura finanziaria dopo le prime reazioni di stupore aveva suscitato un dibattito centrato sulla natura della crisi (sistemica o meno) più che sulle ragioni della sua origine e sugli strumenti necessari per affrontarla.
Il tirocinio di esperienze degli scorsi mesi, nel generare nuove certezze e consapevolezze su cause e dimensioni di questo sconvolgimento dei mercati finanziari e dei suoi marcati riflessi sulle economie reali dei diversi Paesi, ha contemporaneamente sviluppato – come spesso avviene nelle fasi di estrema criticità – sentimenti di solidarietà e cooperazione utili a fare fronte comune alla complessità e alla gravità delle situazioni che si andavano a mano a mano delineando. L’avvento di un nuovo inquilino alla Casa Bianca e il suo cambio di registro politico (anche se appare inevitabilmente prematura una valutazione approfondita e circostanziata delle linee programmatiche enunciate da Barack Obama), uniti a una maggiore coesione di intenti e di operatività a livello di Paesi UE e ad una condivisione di obiettivi e strumenti con le potenze planetarie emergenti del BRIC (acronimo con cui si indicano Brasile, Russia, India e Cina), sembrano delineare uno scenario meno inquietante del temuto; pur continuandosi a manifestare i segni inequivocabili di una crisi, misurabili in termini di diminuzione sia del PIL e dei livelli occupazionali dei singoli Paesi, sia della ricchezza reale complessiva del mondo.

Archivio BPP
Archivio BPP

Solo il tempo potrà dire e confermare quali delle numerose ricette finora formulate e lanciate per la sperimentazione, nonché delle altre che verranno presumibilmente delineate nel prossimo futuro, si riveleranno efficaci sul piano concreto per riavviare un processo di crescita economica ora seriamente compromesso. “Apulia”, nell’intento di offrire ai propri lettori un originale strumento di orientamento e di navigazione nei mari turbolenti di questa crisi, ha intervistato Roberto Ruozi, autore di una riflessione particolarmente stimolante (oltreché tempestiva rispetto al manifestarsi della crisi stessa) concretizzatasi nella sua ultima fatica letteraria, dal titolo decisamente suggestivo: Viaggio nel mercato finanziario con Dr. Jekyll e Mr. Hyde.
L’irrisolto dilemma della contrapposizione tra Stato e Mercato viene qui ripercorso nelle sue specifiche articolazioni per concludersi non con un’opzione per una delle due categorie, ma con l’auspicio di trovare realisticamente una loro migliore combinazione possibile. In definitiva, un viaggio intellettuale affascinante e rigoroso nelle proprie tappe di ricerca e di approfondimento, di cui si apprezzano e largamente si condividono lo spirito pragmatico e il messaggio conclusivo di speranza che ne scaturisce: «È proprio nelle crisi che possono nascere le innovazioni capaci di assicurare l’ordinato sviluppo anche economico dell’umanità».

Professore Ruozi, da che cosa nasce e perché
proprio ora questa idea di un viaggio nel mercato finanziario con il Dr. Jekyll e Mr. Hyde?

Già prima che scoppiasse la grande crisi finanziaria nel 2007 avevo capito che il perno dello sviluppo economico mondiale si sarebbe spostato sull’equilibrio fra le forze del mercato e l’intervento dello Stato. Il problema è stato esasperato dalla crisi, che ha riportato all’attenzione di tutti il ruolo fondamentale dello Stato nel correggere gli errori del capitalismo, il quale tuttavia tornerà quello che era prima della crisi non appena gli interventi statali avranno prodotto gli effetti auspicati. In questo senso ho sempre ritenuto che il mercato libero sia una conquista positiva dell’umanità e il suo ruolo nel mio volume è quindi interpretato dal dottor Jekyll, cioè dal personaggio buono del romanzo di Stevenson. A Mister Hyde, che è il personaggio cattivo del romanzo, ho invece affidato il ruolo dello Stato, nella convinzione che comunque Mercato e Stato dovranno sempre convivere. Il centro della questione non è quindi se sia meglio l’uno o l’altro, ma quale sia la migliore combinazione dei due.

In che misura e sotto quali specifici punti si può dire che questo viaggio sia stato influenzato dal suo ricco patrimonio esperienziale di qualificato ricercatore attento agli stimoli dell’innovazione finanziaria, nonché dall’esperienza tuttora in atto di operativo di alto livello?

Il mio viaggio è stato in effetti il frutto di una ormai lunga esperienza di amministratore di banche e di imprese nonché di consulente delle une e delle altre, ma non avrebbe potuto essere quello che è stato se non avessi avuto dentro di me un’altrettanto lunga esperienza di ricercatore e di docente universitario, che ha sempre cercato di essere concreto e attuale. L’innovazione finanziaria, importante protagonista anche della crisi che stiamo vivendo, è sempre stata al centro della mia attenzione e mi porta a dire che essa è indispensabile per lo sviluppo ordinato dei sistemi e dei mercati finanziari, ma che per svolgere positivamente questa funzione deve essere costruita e utilizzata in termini virtuosi, cioè per soddisfare sempre meglio le esigenze finanziarie degli operatori economici. Quando viene invece solo utilizzata per eludere le norme legali, fiscali e di vigilanza, e diventa strumento di autoreferenzialità degli operatori finanziari, il rischio è grande e può scatenare quello che abbiamo tutti sotto gli occhi.

Prima di passare ad alcuni aspetti particolari
toccati nel suo libro, una domanda preliminare: quali sono, a suo avviso, le principali differenze tra la crisi del 1929 e l’attuale?

Confrontare la crisi attuale con quella del 1929-‘32 può essere un interessante esercizio teorico che riguarda gli storici dell’economia e della finanza, ma dal punto di vista pratico e operativo insegna ben poco. Sono infatti profondamente diverse le cause delle due crisi, diversi gli strumenti adottati per combatterle e i risultati dell’utilizzazione di tali strumenti, ma soprattutto sono assai differenti i contesti economici sociali in cui le due crisi si sono sviluppate. Oggi siamo in un mondo globalizzato, le cifre in ballo sono da capogiro, la presenza e la capacità di intervento degli Stati sono moltiplicate, i protagonisti della scena economica e finanziaria mondiale sono cambiati e più numerosi, le capacità di assorbimento di fenomeni come recessione e disoccupazione sono molto maggiori, e così via. In questo scenario, per uscire dalla crisi, occorrono quindi strumenti profondamente diversi da quelli che si cercò di usare ottant’anni fa.

Spostiamo ora il focus dell’attenzione su due profili che stanno facendo molto discutere: il ritorno in forze dello Stato e il ridimensionamento dello strapotere dei manager. Come si pone lei rispetto a queste due tendenze in atto?

Quanto al prepotente ritorno dello Stato nell’economia e soprattutto nel capitale delle banche, si tratta di un fatto assolutamente inatteso, che si inserisce in un trend che vedeva gradatamente ma quasi completamente lo Stato uscire dal capitale bancario in quasi tutti i Paesi del mondo. Mentre questa uscita, come del resto l’entrata che l’aveva preceduta, era il frutto di una nuova ideologia economica e di un nuovo credo politico, ciò che è accaduto in questi mesi non ha nulla di ideologico e politico. Esso è soltanto (si fa così per dire) il frutto di uno spinto pragmatismo, che ha preferito l’azione immediata alla sua elaborazione teorica. Del resto, i tempi richiesti per affrontare i problemi erano ristrettissimi e non avrebbero tollerato alcun dibattito ideologico e politico. Non si tratta quindi di una svolta nella credenza nei riguardi di un determinato tipo di sistema economico e finanziario, ma di un terribile incidente di percorso destinato a essere sanato per far sì che si ritorni, mutatis mutandis , al punto in cui eravamo arrivati dopo anni di lenta ma progressiva evoluzione teorica e pratica. Quanto invece al ridimensionamento dei
manager e a quello delle loro rimunerazioni e incentivazioni, essi sono soltanto benvenuti.
Una classe di manager avidi e assai poco interessati alle conseguenze che le loro azioni sconsiderate avrebbero potuto produrre sull’economia e sulla società è stata spazzata via. Ai nuovi arrivati, che si spera siano diversi dalle persone che hanno sostituito, sono stati ridimensionati i compensi, le incentivazioni sono state determinate in modo da tenere conto dei rischi della loro attività e dei nuovi obiettivi che sono stati loro assegnati e che riguardano orizzonti molto più lunghi di quelli considerati nel passato.
I comportamenti dei manager sono determinanti per il successo delle banche, e in verità anche delle altre imprese, e sono largamente responsabili anche delle loro crisi. Le scelte in argomento per gli azionisti e gli amministratori sono conseguentemente molto delicate. È lì che si vedrà la loro accortezza e si giocheranno le sorti delle loro aziende.

Per concludere, nonostante il cupo pessimismo
con cui si è aperto il 2009 si riesce da questo viaggio a trarre un messaggio di speranza per i nostri lettori?

L’esame di ciò che è accaduto in quest’ultimo anno e mezzo non è in effetti particolarmente esaltante. La cosa non deve tuttavia indurre al pessimismo, che è uno degli stati d’animo peggiori, capace solo di creare ulteriori problemi o di aggravare quelli che già ci sono. In questo momento occorre essere i più freddi e i più razionali possibili. Si devono analizzare attentamente le cause delle catastrofi alle quali abbiamo assistito e di quelle che potrebbero ancora venire. Capirle significa non ripetere gli errori che ci hanno portato a questo punto. Capirle significa anche individuare, in un panorama generalmente negativo, le opportunità che qui e là si celano e che possono essere sfruttate per uscire vincenti nella battaglia per la sopravvivenza e lo sviluppo. È peraltro proprio nelle crisi che possono nascere le innovazioni capaci di assicurare l’ordinato sviluppo anche economico dell’umanità. Certo l’uscita dal tunnel non sarà rapidissima, ma diversi esperti cominciano a pensare che il secondo semestre del 2009 potrebbe vedere il risveglio della locomotiva americana e che nel 2010 potrebbe seguire anche l’Europa e con essa l’Italia. Affinché le banche, che si sono trovate ad un passo dal fallimento, ritornino in buona salute, permettendo così allo Stato di rientrare negli investimenti effettuati nel loro capitale, occorrerà invece più tempo. Anche se è difficile fare previsioni, che comunque non possono avere validità generale riguardando diversamente i singoli casi considerati, ci vorranno infatti fra tre e cinque anni.

Nato a Biella nel 1939, Roberto Ruozi si è laureato con 110 e lode all’Università Commerciale “Luigi Bocconi” nel 1961, dove è stato Rettore dal 1995 al 2000 e professore di Economia degli Intermediari Finanziari fino al 2002. Ha insegnato
nelle Università di Ancona, Siena, Parma, Parigi (Sorbona) e al Politecnico di Milano.
Attualmente è Professore emerito dell’Università Bocconi. Autore di numerose pubblicazioni su problematiche bancarie e finanziarie, ricopre importanti incarichi amministrativi in Società quotate e non quotate.

 

 

   
   
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