Marzo 2009

ECONOMIA E POLITICA MONETARIA

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Rischio anoressia

Mario Deaglio

Docente Politecnico di Torino

 
 

Il possibile emergere della deflazione appare inquietante e le ricette devono essere create sul momento, sperando di non sbagliare o di non sbagliare troppo.

 

Nelle sue più recenti previsioni sull’economia mondiale, frettolosamente e ampiamente riviste al ribasso di fronte al rapido estendersi della contrazione produttiva e del ribasso delle Borse, il Fondo monetario internazionale ha tracciato uno scenario in cui l’inflazione nei Paesi avanzati scenderà a livelli inferiori all’1,5 per cento.
Siccome si considera che un aumento medio dei prezzi dell’1,5-2 per cento sia da considerarsi“fisiologico”, ossia causato dall’aumento della qualità dei prodotti, tali previsioni implicano la forte possibilità che nel 2009, dopo oltre settant’anni, i Paesi più importanti del mondo vengano a trovarsi, tutti insieme, in una condizione di “deflazione”.
Ai profani la deflazione dice poco e non sembra poi così cattiva; dopotutto, non è il contrario dell’inflazione? E se l’inflazione consiste in un aumento generalizzato, non momentaneo e sufficientemente elevato dei prezzi, la deflazione non è forse la loro diminuzione? E prezzi che scendono non sono in ogni caso preferibili, per il comune cittadino, rispetto a prezzi che salgono troppo?
Le cose, purtroppo, non stanno così, e non sono così semplici. La deflazione è qualcosa di ben più importante di un semplice indicatore statistico e non è semplicemente il contrario dell’inflazione. Di fronte alla prospettiva di prezzi che continuano a calare, i consumatori rinviano gli acquisti, contando di comprare successivamente a un prezzo inferiore, e così le imprese vanno in crisi; e di fronte alla prospettiva di denaro che rende sempre meno i risparmiatori tengono liquide le proprie risorse finanziarie o confinano i loro impieghi al breve periodo. Dietro i prezzi che scendono ci sono quindi soldi che ristagnano, imprese che chiudono, progetti di sviluppo che vengono messi nel cassetto, programmi aziendali e individuali che vengono archiviati, insomma un’economia e una società che si deteriorano. La deflazione è uno spegnersi delle iniziative e un irrigidirsi nella routine, un rinviare a domani ciò che si potrebbe fare oggi; una morte lenta, dunque.
Se l’inflazione penalizza i creditori e riduce i debiti, la deflazione, al contrario, rende questi debiti sempre più pesanti perché il debitore deve restituire, in termini reali, una somma superiore a quella presa in prestito, ossia una somma con la quale, ai nuovi e più bassi prezzi, si comprano più beni e servizi di prima; sotto il peso di questi debiti, non solo l’economia ma l’intero tessuto sociale geme e si avvita su se stesso. Inoltre, i prezzi calanti di alcune componenti del capitale nazionale distruggono rapidamente ricchezza: per esempio, viene stimato che la forte riduzione nel prezzo delle abitazioni negli Stati Uniti e la caduta dei mercati azionari in tutto il mondo possanoaver distrutto, nel corso del 2008, dai 40 ai 50 mila miliardi di dollari, una cifra grosso modo equivalente al prodotto lordo mondiale.

Nello Wrona
Nello Wrona

Questa diagnosi dovrebbe probabilmente essere già sufficiente a scuotere il cittadino non esperto di economia. Bisogna purtroppo aggiungere che, mentre le terapie contro l’inflazione abbondano e mentre l’armamentario della politica economica è zeppo di strumenti per raffreddare un’economia in cui i prezzi sono surriscaldati, le terapie contro la deflazione sono molto più difficili e i loro risultati molto più incerti.
La politica monetaria, infatti, come dicevano i vecchi economisti, è come una corda: la puoi tirare, ma non spingere. Neanche se dai il denaro gratuitamente, come fece la Banca del Giappone negli anni Novanta, e come sta facendo la Federal Reserve negli Stati Uniti, con tassi di riferimento nettamente inferiori all’inflazione, sei sicuro che qualcuno lo voglia prendere a prestito. Contro la deflazione, insomma, non solo non esiste un vero vaccino, ossia una cura preventiva, ma non c’è neppure un convincente programma, universalmente valido, quando i sintomi si sono già manifestati. Per questo, nel cupo e agitato finale del 2008, un anno bisestile che resterà segnato in rosso nella storia monetaria come momento di svolta radicale nella storia del capitalismo, il possibile emergere della deflazione appare particolarmente inquietante e le ricette devono essere create sul momento, sperando di non sbagliare, o, per lo meno, di non sbagliare troppo.
La via migliore da seguire potrebbe essere quella indicata già nel febbraio 2008 dal Direttore generale del Fondo monetario internazionale,Dominique Strauss-Kahn, e meglio precisata in successivi documenti della stessa organizzazione. Strauss-Kahn propone un coordinamento internazionale non solamente delle politiche monetarie, ma anche delle politiche fiscali: tutti i Paesi avanzati dovrebbero subito allentare il peso del fisco, accettando temporaneamente un incremento del deficit, in modo tale da sostenere il consumo privato in una fase critica.
Per i Paesi dell’euro questo significa, come ha detto il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi parlando alla Giornata del risparmio, sfruttare i margini del Patto di Stabilità (o forse, si può aggiungere, avere il coraggio di allentarlo un po’).
Il successo di queste politiche è di solito maggiore quando vengono tagliate le imposte con regole generali, evitando quindi provvedimenti specifici a favore di categorie particolari. Si potrebbe, per esempio, detassare lo scaglione più basso dell’Irpef (o dei suoi equivalenti in altri Paesi), il che implicherebbe un beneficio massimo per le fasce di cittadini con i redditi più bassi ed effetti via via decrescenti su tutto l’insieme dei redditi. Questa politica, però, non deve implicare una “finanza allegra”.

Nello Wrona

Secondo quanto sostiene Strauss-Kahn, “coordinamento internazionale” significa infatti che tutti i Paesi devono effettuare le riduzioni nello stesso tempo, non nella stessa misura; e che la misura deve essere tale da non cadere nel “malanno” opposto, creando inflazione, e quindi deve tenere in conto le capacità produttive inutilizzate di ogni Stato e anche il deficit già esistente.
In questo senso, la possibilità di manovra dell’Italia è poca e l’economia italiana dovrà far conto più sull’effetto che gli stimoli fiscali altrui possono avere sulle sue esportazioni, rispetto a quello che potrebbero avere gli stimoli fiscali interni.
Il poco, però, è meglio di niente; e sicuramente è meglio di una deflazione assassina.

   
   
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