Marzo 2009

L’EUROPA UTILE

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Un paradosso
alla Fifth Avenue

Mario Pinzauti

 

 
 

L’euro attrae ora l’interesse di Paesi fino a tempi recenti diffidenti se non ostili nei suoi confronti, e in qualche parte del mondo sta diventando anche il protagonista di una sorta di trend monetario.

 

Con l’aria che tira, con tanta gente che ha appena perso il posto di lavoro o rischia di perderlo nei prossimi mesi, con la Commissione europea e la Banca centrale europea che prevedono una crisi lunga e difficile, non era certamente il caso di organizzare festeggiamenti in grande stile, con il Colosseo, l’Arco di Trionfo, la Porta di Brandeburgo
e altri monumenti simbolo della storia e della gloria d’Europa illuminati a giorno e grandi kermesse popolari.
Sarebbe invece stata appropriata, anche doverosa, una pubblica dichiarazione attraverso comunicati, manifesti, articoli, avvisi sui giornali, spot televisivi per ricordare ai 323 milioni di abitanti dei 16 Paesi di Eurolandia che essi hanno il privilegio di risiedere in una zona dove la catastrofe globale che aggredisce il mondo non può essere evitata e provoca danni anche notevoli e tuttavia in misura inferiore, molto inferiore rispetto a quelli che si verificano altrove e non distrugge i meccanismi che, se usati al meglio, senza risparmio di idee e di energie e mettendo nel conto la necessità di qualche serio sacrificio, potranno rendere possibile la ripresa.
Purtroppo, però, questo appello alla fiducia popolare è mancato. O meglio ha avuto le gambe corte. È stato espresso, salutato, qualche volta perfino applaudito nelle stanze degli addetti ai lavori delle istituzioni dell’Unione e di qualche governo nazionale, ma al di fuori di esse pochi hanno avuto modo di apprenderlo e apprezzarlo, anche se l’attualità stessa gli dava la dimensione e il significato di importante notizia. Il primo gennaio 2009 si celebravano infatti i primi dieci anni dell’euro, dello scudo economico che ha già difeso centinaia di milioni di persone da molte crisi internazionali– quelle seguite all’undici settembre e all’inizio della guerra in Iraq, ad esempio – e ora offre loro qualche risorsa in più rispetto ad altri popoli per superare la grande depressione che genera allarme in tutto il mondo.
Perché c’è stata e ancora continua a esserci questa celebrazione in sordina? Perché in questo momento in cui lo sconforto risparmia pochi e rischia di diventare un ostacolo alle iniziative di governi nazionali e istituzioni internazionali per uscire dalla crisi si è fatto uso tanto parsimonioso di una notizia – l’esistenza e il valore dello scudo chiamato euro – che pure contiene tanti elementi di rassicurazione e d’incoraggiamento?
Tenteremo di dare una risposta tra poco. Prima però ci sembra giusto mettere subito in chiaro che l’euro gli applausi che finora almeno non ha avuto dalle istituzioni europee e dai governi nazionali dell’Unione se li è tuttavia ampiamente meritati sul campo. Partito in undici Paesi il 1° gennaio 1999, con le carte di credito, gli assegni e tutte le operazioni bancarie che non richiedono l’impiego di denaro contante, oggi, dopo l’ingresso della Slovacchia, è moneta unica circolante in sedici Paesi popolati da 323 milioni di persone e attende altre adesioni in un prossimo avvenire. Danimarca, Svezia, Islanda (quest’ultima non fa parte, com’è noto, dell’Unione europea) sono impegnate in una manovra di avvicinamento. Si pensa che lo stesso potrebbe far presto l’Ungheria, dove senza la copertura protettiva dell’euro la crisi internazionale sta colpendo con particolare durezza.

Nello Wrona
Nello Wrona


Questa tendenza, secondo alcuni economisti, sembra guadagnare terreno anche in Gran Bretagna, che pure è il più euroscettico dei ventisette Paesi dell’Unione europea.
In un recentissimo sondaggio, il settantuno per cento dei cittadini britannici interpellati si è dichiarato decisamente avversario dell’euro.
Almeno nelle prese di posizione ufficiali mostra di pensarla così anche Gordon Brown, il Primo ministro, che tagliando corto sull’argomento ha dichiarato poche settimane fa: «La sterlina continuerà ad esistere quest’anno, l’anno prossimo e quello dopo ancora». Non tutti, nel governo e tra l’opinione pubblica del Regno Unito, la vedono però in questo modo. Uscendo allo scoperto, il ministro per le attività produttive, Peter Mandelson, ha recentemente confermato prese di posizioni pro-euro già espresse nel passato, dicendo: «Resto convinto che l’adesione alla moneta unica debba essere il nostro obiettivo». Opinioni analoghe sono state dichiarate dal quotidiano The Indipendent. E molti altri, nel Regno Unito, sono probabilmente dello stesso avviso. Se no, non avrebbe senso il seguente giudizio reso noto alla fine del 2008 dal Presidente della Commissione europea, Barroso: «La Gran Bretagna è più vicina che mai all’adesione all’euro». Il crollo della sterlina nel cambio con la moneta unica dell’Unione, il vero e proprio assaltodi Londra da parte di turisti prove nienti dai Paesi di Eurolandia in occasione delle feste e dei saldi aggiungono d’altra parte l’eloquenza dei fatti a quella delle parole. Anche oltre i confini di Eurolandia, perfino nelle terre dell’euroscetticismo la moneta unica è sempre più popolare. Perché complessivamente resta forte.
In un documento approvato a larga maggioranza dal Parlamento europeo alla fine dello scorso novembre si legge che «l’euro è stato un successo da molti punti di vista», anche se, si aggiunge, si «poteva ottenere di più». È vero. Di più, ad esempio, come ha ricordato poco tempo fa il Presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, si sarebbe ottenuto se fossero state attuate le riforme strutturali che erano state progettate, ad esempio quella dei servizi, da cui si sarebbe, tra l’altro, ricavato più coordinamento ed efficienza nel settore bancario. I risultati raggiunti sono tuttavia enormi e fanno dell’euro uno scudo che ha offerto fino a un recente passato e, sia pure in diversa misura, offre anche oggi difese economiche uniche al mondo. Tra gli anni Settanta e la metà degli anni Novanta vari Paesi europei, tra cui l’Italia, per cause interne ed esterne subirono veri e propri terremoti nei cambi delle loro valute e li pagarono con continui saliscendi nell’inflazione e nelle quotazioni dei prezzi, con pesanti conseguenze negative negli investimenti e nell’occupazione.
All’interno di Eurolandia oggi circola una valuta sola che assicura una complessiva stabilità dell’economia, contiene quasi ovunque l’inflazione, i tassi d’interesse e il rialzo dei prezzi, dando così vita a un muro su cui le turbolenze esogene, come quelle provocate dallo shock lasciato dall’attentato dell’undici settembre, dall’aumento del prezzo del petrolio, dalla guerra in Iraq e, più recentemente, dalla crisi iniziata con il crollo dei “sub prime” americani provocano danni minori di quelli avvertiti in altre parti del mondo, compresi i Paesi europei (come la Gran Bretagna e l’Ungheria) che fanno parte dell’Unione ma non dell’area euro. Questa situazione, che fino a tempi recenti ha favorito, sempre in Eurolandia, la crescita degli investimenti e dell’occupazione (ora in frenata o in regresso ma con numeri minori rispetto a quelli di altre parti del mondo), ha fatto e fa ancora dell’euro la moneta internazionalmente più forte. Oltre che la più diffusa e, per molti Paesi,
la più sicura valuta di riserva. Con questi requisiti l’euro è servito e serve egregiamente a incrementare gli scambi commerciali intereuropei e anche tra i Paesi dell’Unione e il resto del mondo.
Dunque, nel suo genere, un gioiello, certamente il più importante atto dell’Europa utile, quella che è impegnata per migliorare le condizioni di vita dei cittadini. Anche se da subito, già dal gennaio 1999, poi con più insistenza dal 2002, quando entrarono in circolazione banconote e monete, questi successi non hanno salvato l’euro da rilievi critici pesanti. Politici che volevano distrarre l’attenzione popolare dalle loro responsabilità, piccoli e grandi speculatori, cittadini poco o male informati sui fatti hanno indicato e in una certa misura continuano a indicare nell’euro il principale fattore dei notevoli rialzi dei prezzi registratisi per un buon numero di prodotti, soprattutto alimentari.Effettivamente il conto per la pizza o la cena al ristorante è in molti casi pressoché raddoppiato e i prezzi del pane,
della pasta, delle verdure hanno iniziato un’escalation che non è ancora conclusa. E il fatto che, come notano alcuni euroentusiasti, nel frattempo siano diminuiti i prezzi dei computer, di quasi tutti gli elettrodomestici, di un certo tipo di automobili e che i quotidiani siano aumentati solo del tre per cento all’anno non basta ad assicurare la serenità nei bilanci familiari, dato che il computer lo si può far durare anche un paio d’anni, il giornale si può comprarlo in società con un amico o un parente, o leggerlo su Internet, mentre la pizza al ristorante è una consuetudine settimanale e il pane, la pasta, la verdura si mangiano tutti i giorni. Per cui il complessivo sensibile aumento del costo della vita è innegabile.
Si può però dimostrare che esso non è addebitabile all’euro o che la moneta unica ha influito sui rialzi in minima parte. All’inizio, già nel 1999, o nel 2002, quando furono messe in circolazione le banconote e le monete, la speculazione ha colpito duramente. In Austria, per parecchi mesi dopo l’adozione della moneta unica da parte di questo Paese, in molti centri di montagna negozianti, albergatori e proprietari dei ristoranti equipararono un euro a 10 scellini anziché ai 13,7603 stabiliti dal cambio ufficiale, con una perdita, per il cliente, di circa un terzo del valore.
Casi simili si ebbero anche in Italia. Secondo l’Istat, la conversione lire-euro nel nostro Paese fu attuata correttamente ma, secondo istituti di ricerca indipendenti, per generi alimentari, altri prodotti di largo consumo e locali pubblici (quali le famose pizzerie!) l’euro fu calcolato 1.000 lire, anziché 1.936,27 come stabilito dal cambio ufficiale e i clienti si trovarono di fronte a prezzi raddoppiati da negozianti ed esercenti poco onesti. Molto di più tuttavia, allora e dopo, fino a oggi, hanno influito sul carovita fattori che niente avevano a che fare con la moneta unica: gli effetti internazionali della globalizzazione, l’aumento in tutto il mondo dei prezzi delle materie prime, anzitutto il petrolio, le impennate subite su tutti i mercati dai generi di prima necessità, quali il grano e il mais, i cali nella
produzione di diversi generi accompagnati da altri interventi speculativi.
E alla fine gli studiosi che hanno affrontato con serietà e obiettività il problema si sono trovati di fronte a risultati che tagliano la testa al toro. Questi risultati provano infatti che i rincari avutisi nei Paesi di Eurolandia non superano quelli registratisi nei Paesi dove la moneta corrente non è l’euro. Per cui l’euro merita l’assoluzione. I rincari sono stati e sono effetto di un trend internazionale. Non c’entra o c’entra pochissimo l’euro: che, dove circola, ha garantito e ancora complessivamente garantisce comunque una stabilità altrove precaria o inesistente.
Ma se così è, perché è stata imposta la sordina alla notizia euro mentre era resa di stretta attualità dal decennale, proprio dunque nel momento in cui la sua diffusione e amplificazione potrebbero favorire la semina tra i cittadini di un minimo d’ottimismo nel futuro? È una domanda che, per la verità, vale per tutti i prodigi dell’Europa utile, dalle etichette che garantiscono la qualità del prodotto alimentare alle norme antinquinamento delle acque e dell’atmosfera fino alle cinture di sicurezza delle auto. Questo e tanto altro è targato Europa,Europa utile. Ma la gran parte dei cittadini non lo sa o non ne prende nota, soprattutto perché l’Europa ben poco ha fatto e continua a fare per diffondere la conoscenza dei suoi meriti.

Rosa Pugliese
Rosa Pugliese


Lo stesso avviene per la moneta unica. Un’inchiesta del CNR di qualche tempo aveva il seguente, azzeccatissimo titolo: “L’euro conviene. Ma nessuno lo sa”. Si direbbe che l’Europa manchi di spirito mercantile.
Non s’impegna per vendere, vale a dire per fare apprezzare nella giusta misura i suoi prodotti migliori, quelli dell’Europa utile da cui potrebbe facilmente ricavare un rapporto di fiducia e di stima con i cittadini mentre si sgola, si affanna, cumulando insuccessi uno dietro l’altro per propagandare le sue sterili iniziative di politica internazionale. Meno male che almeno i più importanti tra i prodotti che l’Europa utile non sa vendere o vende male alla fine, grazie ai successi che ottengono, riescono a trovarsi da soli una diffusa e distinta clientela. Sta accadendo anche per l’euro, che dieci anni dopo la sua nascita sta attraendo l’interesse di un sempre maggior numero di Paesi fino a tempi recenti diffidenti se non ostili nei suoi confronti e in qualche parte del mondo sta addirittura diventando il protagonista di una sorta di trend monetario. Nel suo libro Il paradosso dell’euro, uscito l’estate scorsa, l’economista Lorenzo Bini Smaghi, membro del Comitato Esecutivo della Banca centrale europea, ha raccontato che negli Stati Uniti un buon numero di attori, attrici e modelle pretende, contrattualmente, il pagamento in euro delle proprie prestazioni, mentre nella Quinta Strada
di New York, nei negozi della grande, storica opulenza, da “Tiffany” in giù, da qualche tempo si fa presente ai clienti che si preferisce il pagamento nella moneta unica europea.

   
   
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