Marzo 2009

ECONOMIA E POLITICA

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La sfida dell’euro

Martin Feldstein

Docente Università di Harvard

 
 

Dieci anni dopo. L’Unione monetaria non finirà vittima della crisi economica, ma per l’euro sarà un test più severo di tutti quelli che ha dovuto fronteggiare finora.

 

L’Unione economica e monetaria (Uem) e l’euro celebrano il loro decimo compleanno. La moneta unica europea è stata introdotta senza grandi ostacoli, e da allora si è ben comportata, con la Banca centrale europea intenta ad adempiere a quello che è il suo unico mandato: tenere sotto controllo l’inflazione.
Ma la crisi economica di questi tempi potrebbe rappresentare un test impegnativo per la capacità dell’euro di sopravvivere alle crescenti turbolenze. La crisi potrebbe rafforzare le istituzioni create dall’Uem, ma potrebbe anche creare molteplici rischi, di cui i Paesi membri devono essere consapevoli, se vogliono evitarli.                                              
Il problema principale è che la situazione economica dei singoli Paesi membri dell’Uem può avere sviluppi diversissimi, al punto che alcuni leader politici nazionali potrebbero essere tentati di stabilire che il loro Paese avrebbe da guadagnare adottando una serie di politiche differenti da quelle degli altri partner. Le attuali differenze nei tassi d’interesse dei titoli di Stato dei Paesi dell’Eurozona dimostrano che i mercati finanziari considerano una spaccatura come una possibilità reale. I titoli di Stato decennali in Grecia e in Irlanda, ad esempio, ormai rendono un punto percentuale in più dei corrispettivi tedeschi, e in Italia sono quasi altrettanto alti.
Naturalmente, nella storia non mancano esempi di unioni monetarie andate in pezzi o di Stati con una valuta unica che scelgono di adottare monete nazionali. Anche se ragioni tecniche e giuridiche rendono più difficile uno scenario del genere per un Paese dell’Uem,
non sembrano esservi dubbi sul fatto che un Paese potrebbe abbandonare l’euro, se davvero lo volesse.
La ragione più ovvia per ritirarsi dall’Unione economica e monetaria è il desiderio di sottrarsi alla politica monetaria “a misura unica” imposta dall’euro. Un Paese che da qualche anno vede arrancare la sua economia, e che teme che queste difficoltà possano farsi croniche, potrebbe essere tentato di uscire dall’euro per alleviare le condizioni monetarie e svalutare la propria divisa. Non è detto che sia una cosa economicamente sensata, ma un Paese alle prese con un forte calo dell’attività potrebbe benissimo prendere
una decisione del genere.
Il Patto di stabilità e crescita, che impone limiti ai deficit di bilancio dei membri dell’Eurozona,è un’altra delle ragioni che potrebbero spingere un Paese ad abbandonare l’Uem. In un periodo di grave difficoltà economica, un Paese potrebbe scegliere di portare avanti una classica politica keynesiana, stimolando l’economia con una politica di investimenti su larga scala, finanziata con il deficit. Anche se il Patto di stabilità e crescita può essere sufficientemente elastico da consentire l’accumularsi di un certo deficit se c’è necessità di stimolare l’economia, un Paese po trebbe sentirsi impossibilitato ad agire nella
misura voluta.
L’attuale crisi finanziaria solleva ancora un altro problema: la mancanza di un chiaro“prestatore di ultima istanza”. Resta da vedere se e quanto la Banca centrale europea
sarà disponibile a fornire alle Banche centrali nazionali il volume di euro necessario per svolgere appieno questo ruolo. Se un Paese vede i suoi istituti di credito fallire perché la Banca centrale non è in grado di prestar loro denaro in misura sufficiente, potrebbe scegliere di uscire dall’euro in modo da consentire alla sua Banca centrale di fornire tutta la valuta locale che giudica necessaria.
L’attuale crisi, inoltre, ha rilanciato il dibattito sulla necessità per l’Unione europea di avere un’autorità fiscale. A prescindere dalla logica di questa proposta, essa aprirebbe la porta a una ridistribuzione del reddito molto più accentuata. I Paesi ad alto reddito potrebbero giudicarla una ragione sufficiente per uscire.
Gli esponenti politici magari non vogliono abbandonare la moneta unica, ma potrebbero scegliere di farlo come strategia per cercare di convincere altri Paesi ad accettare di cambiare politica. Un Paese convinto che la politica monetaria o di bilancio sia troppo rigida potrebbe minacciare di uscire se non si cambiasse rotta.

Albrecht Dürer,
“Ritratto del banchiere Jakob Muffei”, 1526. Staatliche Museum, Berlino. - Archivio BPP
Albrecht Dürer, “Ritratto del banchiere Jakob Muffei”, 1526. Staatliche Museum, Berlino. - Archivio BPP


È un rischio chiaramente molto concreto se il Paese in questione è la Germania o la Francia. Ma anche se fosse uno degli Stati più piccoli potrebbe rappresentare una minaccia seria, dal momento che potrebbe essere visto come l’inizio della fine. Tutti i Paesi, dunque, sia quelli di maggiori dimensioni sia quelli piccoli, possono ventilare questa minaccia, nella speranza che sia sufficiente a spingere i loro partner dell’Uem ad accettare il cambio di rotta voluto. Il rischio, ovviamente,è che gli altri Paesi non si lascino intimidire. Il Paese che ha pronunciato la minaccia a quel punto dovrebbe scegliere se accettare un’umiliante sconfitta, e rimanere nell’Europa unita, oppure tener duro per pure ragioni di principio, e andarsene via.
Tutto questo parte dal presupposto che i leader politici scelgano di cambiare linea soltanto quando pensano che questo sia nell’interesse di lungo periodo della loro nazione. Ma c’è anche il rischio che qualche politico agisca solo ed esclusivamente nell’interesse personale, cogliendo la crisi economica come occasione per farsi eleggere, con la promessa di far uscire il Paese dall’euro, o dicendo che minacceranno di farlo se gli altri Paesi membri non accetteranno le correzioni di rotta proposte.
Tutti questi rischi non significano che l’Unione monetaria finirà senz’altro vittima della grave crisi economica in corso. Ma quel che è certo è che questa crisi rappresenterà per l’euro un test più severo di tutti quelli che ha dovuto fronteggiare nei suoi primi dieci anni di vita.

   
   
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