Marzo 2009

PRIMA DEL CRAC DEL 1929

Indietro

Apocalisse 1907

Ugo Ferrari
Gian Antonio Ravizza

 

 
 

Crisi globale. L’uragano perfetto del 1907 lasciò dietro di sé un panorama di macerie. Wall Street e il giovane capitalismo americano erano a pezzi.

 

La Knickerbocker Trust Company era un’istituzione celebre nell’America della “Gilded Age”, l’Età dell’Oro del primo Novecento. In quegli anni ruggenti, caratterizzati da uno sviluppo economico veloce, molte famiglie del ceto medio newyorkese avevano affidato i propri risparmi alla prestigiosa società finanziaria con sede all’angolo fra la Quinta Avenue e la Trentaquattresima Strada, di fronte all’Hotel Waldorf Astoria. E come non fidarsi? Al vertice di quella società c’era Charles Tracy Barney, sposato con una Whitney (quelli del Museo), membro di trentatré Consigli di amministrazione di colossi industriali, finanziatore in proprio della costruzione del metrò di Manhattan: un Grande Gatsby dell’establishment americano. Con un’economia che cresceva a ritmi del sette per cento annuo, tra il 1896 e il 1906 il Prodotto interno lordo degli Stati Uniti era raddoppiato, e i rendimenti offerti ai risparmiatori erano molto generosi. Si apriva sotto i migliori auspici il “secolo americano”. Ma l’irresistibile ascesa della nuova potenza mondiale non sarebbe avvenuta senza scossoni.
Poco più di cento anni fa – è stato scritto – il grande panico del 1907 fu la prima crisi “globale” del Novecento. Nel solo mese di ottobre l’indice azionario di Wall Street perse il 37 per cento del suo valore, in tutta l’America folle di risparmiatori diedero l’assalto agli sportelli delle banche fra scene di violenza e di disperazione, il sistema del credito rimase paralizzato per parecchie settimane. Il 14 novembre, quando la moglie Lily trovò il cadavere di Charles Barney ai piedi del letto, con la mano che ancora stringeva il revolver fumante che aveva puntato alla tempia, sul loro appartamento di Park Avenue calava il sipario dopo l’ultimo atto della tragedia. Ormai la Knickerbocker non esisteva più. La crisi aveva travolto un sistema di potere, e avrebbe imposto riforme profonde nei mercati finanziari. La “tempesta perfetta” di quell’anno ebbe per protagonisti alcuni giganti della storia, da Theodore Roosevelt al banchiere J. Pierpont Morgan. L’eco di quegli avvenimenti non si è mai eclissata. La proverbiale superstizione degli investitori chiamò in causa la “maledizione del 1907” quando Wall Street subì un altro dei peggiori crolli della sua storia, il 19 ottobre 1987, con una caduta del 23 per cento dell’indice Standard & Poor’s 500.

Una drammatica
immagine della Borsa di New York durante il crac del 1929. - Archivio BPP
Una drammatica immagine della Borsa di New York durante il crac del 1929. - Archivio BPP

Due economisti americani, Robert Bruner e Sean Carr, hanno recentemente pubblicato un saggio sul crac del 1907 (The Panic of1907: Lessons Learned from the Market’s Perfect Storm) per studiare le analogie con la situazione odierna. Già nel 1908 il finanziere Henry Clews nelle sue memorie indicava tre cause principali del disastro dell’anno precedente che ci suonano familiari: l’eccesso di investimenti nel settore immobiliare; il credito facile; le manipolazioni dell’alta finanza. Le voci che nel sistema bancario americano si nascondeste qualcosa di marcio iniziarono a diffondersi ai primi di ottobre 1907. Due speculatori senza scrupoli, Augustus Heinze e Charles Morse, avevano tentato la scalata a una società di estrazione del rame ed erano finiti in bancarotta. Ben presto si scoprì che dietro di loro si nascondeva la Knickerbocker di Barney.
Per non smentire la superstizione, il venerdì 17 ottobre le indiscrezioni divennero un boato e i sospetti si trasformarono in terrore. Diciottomila clienti della società finanziaria assaltarono la sede principale sulla Fifth Avenue e le tre filiali sulla Broadway, ad Harlem e nel Bronx. In poche ore svuotarono le casseforti della Knickerbocker di otto milioni di dollari in contanti, una somma ingente per quell’epoca. Il 21 ottobre Barney fu costretto a dimettersi, ma era già troppo tardi per arrestare la spirale isterica. La gente sapeva che il credito è un sistema di vasi comunicanti, nell’intreccio di rapporti fra le banche il crac di un finanziere può trascinare altri nel precipizio. Si formarono code di risparmiatori su tutti i marciapiedi di Wall Street, ogni istituto di credito venne assediato dai depositanti che volevano ritirare i propri soldi. Anche la Borsa era in collasso. Il 23 ottobre il Wall StreetJournal scriveva: «Dal punto di vista del mercato azionario l’aspetto di gran lunga più pericoloso è l’allarme del pubblico». Da New York il panico dilagò in tutti gli Stati Uniti. In pochi giorni i ritiri di contante dalle banche raggiunsero i 350 milioni di dollari di allora.

Un operaio si riposa in una fabbrica di botti, alla periferia di una città dell’Oklahoma. La foto risale all’estate del 1930. - Archivio BPP
Un operaio si riposa in una fabbrica di botti, alla periferia di una città dell’Oklahoma. La foto risale all’estate del 1930. - Archivio BPP

I costi delle cassette di sicurezza schizzarono alle stelle perché la gente le usava per mettere al sicuro le banconote. In alcuni Stati il denaro liquido sparì del tutto: i Governatori della California, dell’Oregon e del Nevada imposero d’autorità una settimana di vacanza perché le banche potessero star chiuse... in attesa di un qualche miracolo! Altri Stati, (South Dakota, Indiana, Oklahoma, Iowa), vararono leggi locali che consentivano a ciascun cliente di ritirare dalle banche solo dieci dollari al giorno. A metà novembre, lo stesso ministero del Tesoro americano aveva virtualmente esaurito le riserve in dollari, nel vano tentativo di combattere la crisi. L’America si ammalò di quella che gli economisti definiscono con un termine evocativo “l’anoressia del credito”: per la diffidenza generalizzata, nessuno fece più prestiti, e nessuno li chiese, e il mercato interbancario si prosciugò. Il “perfect storm”, la madre di tutti gli uragani, si estese all’economia reale (che già aveva subìto forti danni l’anno precedente: il terremoto di San Francisco del 1906 aveva raso al suolo una delle città più dinamiche del Paese, e il costo della ricostruzione era pesante). Il panico finanziario ebbe ripercussioni immediate sulla produzione industriale, che arretrò dell’11 per cento. I fallimenti di imprese nel solo mese di novembre aumentarono del 46 per cento. Si moltiplicarono i licenziamenti di massa e l’indice di disoccupazione balzò dal 2,8 all’8 per cento. Il quotidiano FinancialChronicle scrisse: «Non è esagerato affermare che la paralisi industriale e la prostrazione dell’attività sono le peggiori mai sperimentate da quando esiste questa Nazione». Decenni dopo, il Premio Nobel per l’Economia Milton Friedman analizzerà il 1907 come una prova generale del 1929, il crac che innescò la Grande Depressione mondiale. In mezzo al caos e allo smarrimento di centodue anni fa, una persona mantenne i nervi saldi. Era l’uomo a cui tutti si rivolsero in cerca di una risposta. J.P. Morgan, fondatore e capo assoluto dell’omonima banca, era un gigante della finanza internazionale capace di combinare “sulla parola” alleanze industriali e contratti intercontinentali. I suoi ammiratori lo chiamavano Jupiter, cioè Giove, il primo tra gli dèi dell’Olimpo. Altri preferivano chiamarlo “The Shark”, lo Squalo. Il giudizio morale in quel momento non contava. Superpotenza giovane, gli Stati Uniti nel 1907 ancora non avevano istituito una Banca centrale. Gli strumenti di regolazione dei mercati finanziari erano rudimentali. Il Governo federale aveva scarse competenze sull’economia, era impotente per arginare il panico. Il 24 ottobre, mentre Wall Street era ferma per assoluta mancanza di contrattazioni e l’onda di paura attraversava gli oceani, coinvolgendo l’Europa e l’Asia, tutti i broker della Borsa newyorkese affluivano in pellegrinaggio al quartier generale della J.P. Morgan, per chiedere consiglio al grande banchiere.«Mr. Morgan – gli sussurrò il decano dei broker – dovremo chiudere lo Stock Exchange». Intendeva dire: a tempo indeterminato. Morgan rispose, secco: «Lo chiuderemo come tutti i giorni all’orario canonico. Le tre del pomeriggio, non un secondo prima». E si mise a riempire assegni, lui di persona, per ciascuno dei broker. Perché avessero liquidità sufficiente e il denaro tornasse a scorrere nello Stock Exchange.
A quel punto si fece vivo il magnate John Rockefeller con un messaggio lapidario: – Se è Morgan a guidare le operazioni di salvataggio del sistema, Rockefeller gli farà avere 50 milioni di dollari dal suo patrimonio personale in poche ore –. Morgan telegrafò istruzioni anche ai partner della City di Londra, spiegando che era in pericolo la finanza mondiale. Ai suoi ordini salpò dall’Inghilterra il bastimento Lusitania con un carico unico nella storia: il più grande quantitativo di lingotti d’oro mai trasportato attraverso l’Atlantico. La psicosi di massa dileguò. L’America era salva. Ma l’uragano perfetto del 1907 lasciò dietro di sé un panorama di macerie. La credibilità di Wall Street, la stabilità del giovane capitalismo americano, erano a pezzi. A trarre la lezione del disastro fu Ted Roosevelt: uomo di stirpe aristocratica, venne eletto però sull’onda di un forte movimento progressista. Prima ancora del crac del 1907, la società civile ribolliva di insofferenze verso un capitalismo senza regole, quale era, ad esempio, quello dei Baroni Ladri, o dei trust delle ferrovie e del petrolio. Roosevelt afferrò l’opportunità offerta dallo shock economico. Ne fece le spese lo stesso Morgan: dopotutto, il salvatore della patria era anche il regista supremo delle intese oligopolistiche, il campione dei conflitti d’interesse. Il banchiere venne convocato dalle Commissioni di indagine del Congresso, e sottoposto a interrogatori lunghi e aggressivi. Morirà a Roma il 31 marzo 1913, all’età di settantacinque anni, avvilito e fiaccato dalla battaglia politica. La diagnosi di Roosevelt e del Congresso era chiara: bisognava far pulizia di un sistema finanziario opaco e senza regole, dove i potentati bancari potevano portare alla rovina milioni di risparmiatori.

Nello stesso anno della morte di Morgan, il 22 dicembre 1913 il Congresso istituì la Federal Reserve, Banca centrale degli Stati Uniti. Un quarto di secolo dopo, quando allo shock del 1907 si sarà aggiunto quello del 1929, il Congresso approvò la legge Glass-Steagall, nel 1933. Era una pietra miliare nella storia della finanza mondiale. Quella legge creava una Grande Muraglia fra il mestiere della banca commerciale (che raccoglie depositi e fa prestiti) e quello della banca d’affari (che acquista partecipazioni azionarie nell’industria, e opera in Borsa assumendo rischi in proprio). Quella divisione fu voluta per tutelare il risparmiatore, e per impedire i conflitti di interesse in cui la banca non è soltanto un intermediario del credito, ma è anche impegnata attivamente nella speculazione, e coinvolge ignari depositanti in investimenti ad alto rischio. Il ricordo del 1907 e del 1929 non è durato in eterno. Nel 1999, sotto l’influsso del neo-liberismo, la legge Glass-Steagall è stata abrogata, la Grande Muraglia è caduta, i banchieri sono tornati a fare cento mestieri talvolta contraddittori. Sui mercati l’innovazione tecnologica ha generato strumenti finanziari sempre più complessi, come i derivati. È emersa anche una “disintermediazione”: il credito si reperisce in tante forme, emettendo titoli e vendendoli direttamente in Borsa, senza bussare alla porta dei banchieri. Son cresciuti nuovi attori potenti. Gli hedge funds o le società di private equità muovono capitali talvolta superiori alle banche. La crisi recente dei mutui insolventi ha messo sotto i riflettori la Federal Reserve. C’è chi la accusa di lassismo. E c’è chi teme che i suoi poteri siano ormai inadeguati per controllare i nuovi Baroni Ladri. In Inghilterra il crac della banca Northern Rock ha replicato le scene del 1907: le code dei risparmiatori agli sportelli. Richard Lambert, ex direttore del Financial Times e ora direttore generale della Confindustria del Regno Unito, osservando le scene di panico davanti alle agenzie bancarie nel centro di Londra, ha commentato: «È il tipo di spettacolo che ai nostri giorni credevi potesse accadere solo in una repubblica delle banane».
Era l’Inghilterra di qualche mese fa!

Da “Il grande crollo”

Poi venne il ‘29 (John Kenneth Galbraith)

Nell’autunno del 1929 la Borsa di New York, quasi con la sua attuale struttura, compiva 112 anni. Nel corso della sua vita aveva visto giorni difficili. Il 18 settembre 1873 la ditta Jay Cooke & C. era fallita e, come conseguenza più o meno diretta, nelle settimane successive erano fallite altre 57 commissionarie. Il 23 ottobre 1907 il tasso per prorogare i crediti concessi aveva raggiunto il 125 per cento nell’ondata di panico di quell’anno.

Nell’agosto del 1931, i clienti infuriati presidiano la sede della United States National Bank di Los Angeles. - Archivio BPP
Nell’agosto del 1931, i clienti infuriati presidiano la sede della United States National Bank di Los Angeles. - Archivio BPP

Il 16 settembre 1920 (i mesi autunnali sono la stagione morta di Wall Street), una bomba esplose di fronte alla porta attigua a quella della Morgan, uccidendo trenta persone e ferendone un centinaio. Una caratteristica comune a tutti questi guai era costituita dal fatto che, essendosi già verificati, appartenevano al passato. Il momento peggiore era ragionevolmente riconoscibile come tale. La caratteristica peculiare del grande disastro del ’29 era che il peggio continuava a peggiorare… Il lunedì, 28 ottobre, fu il primo giorno in cui incominciò a rivelarsi questo processo alterno di massima tensione e di crollo all’infinito. Fu un’altra terribile giornata. La quantità scambiata fu enorme, sebbene inferiore al giovedì precedente: nove milioni e un quarto, contro quasi tredici. Ma le perdite furono di gran lunga più gravi. Gli industriali dell’indice New York Times scesero di 49 punti nella giornata. La General Electric perse 48 punti, la Westinghouse 34, la Tel & Tel 34. La Steel scese di 18 punti. In effetti, il declino verificatosi in questo solo giorno fu superiore a quello di tutta la precedente settimana di panico… Il martedì, 29 ottobre, fu la giornata più rovinosa della storia del mercato azionario newyorkese, anzi forse la più rovinosa giornata della storia delle Borse… Le vendite si iniziarono appena aperto il mercato, su scala enorme, e nella prima mezz’ora mantennero un ritmo da 33 milioni al giorno. Le falle, che i banchieri volevano tappare, si allargarono. Ripetutamente e in molti comparti si accumulò una pletora di ordini di vendita, ma non si presentò alcun compratore… Gli industriali dell’indice New York Times avevano perso 43 punti, cancellando così ogni progresso conseguito nei dodici meravigliosi mesi precedenti... Ma il peggio in quella terribile giornata era capitato agli investment trust. Non soltanto avevano subìto una falcidia, ma era diventato evidente che potevano ridursi praticamente
a zero. La Goldman Sachs Trading Corporation aveva chiuso a 60 la sera prima. Durante la giornata era scesa a 35 e aveva chiuso a quel livello, a poco più di metà del livello precedente. La Blue Ridge, sua discendente diretta, su cui ora agiva in senso inverso il
magico principio della leva, aveva avuto una sorte molto peggiore. Ai primi di settembre era stata venduta a 24. Il mattino del 29 ottobre essa aveva aperto a 10 ed era immediatamente precipitata a 3. Si era ripresa più tardi; ma altri investment trust si erano trovati in condizioni peggiori, addirittura non si era riusciti a vendere le loro azioni.
La peggiore giornata di Wall Street alla fine si concluse. Anche questa volta le luci rimasero accese tutta la notte. I membri della Borsa, i loro impiegati e dipendenti
stavano giungendo al limite delle proprie forze per la tensione e la fatica. In tali condizioni si trovarono di fronte alla necessità di registrare e sistemare la maggior quantità di transazioni che si fosse mai presentata. Tutto ciò, senza nessuna certezza che le cose sarebbero andate meglio. In un ufficio un impiegato svenne per la spossatezza, fu rianimato e messo di nuovo al lavoro. Nella prima settimana erano stati sacrificati gli innocenti. Durante questa seconda settimana, stando alle prove, furono i benestanti e i ricchi a subire un’azione di livellamento paragonabile per vastità e subitaneità a quella diretta oltre un decennio prima da Lenin.

 

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2009