Marzo 2009

 

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Peggio del ‘29?

Mabel

 

 
 

 

 

 

 

 

Molti osservatori hanno sostenuto che «questa volta non si è verificato un ‘29». Altri hanno paragonato la crisi attuale a quella che proprio nel ‘29 innescò la Grande Depressione. Per altri ancora il paragone non regge. Dicono, questi ultimi: – Un’intera generazione è cresciuta con tre incubi: la terza guerra mondiale, le bombe nucleari e il ‘29.
Ma quella attuale è una crisi ancora più grande, anche se gli effetti sono meno dirompenti, per i cittadini americani e del mondo, rispetto a ottant’anni fa –. Insomma, Charlie Chaplin oggi non avrebbe alcuno stimolo creativo per scrivere “Monsieur Verdoux”. Il cortocircuito che ha portato all’esplosione della tempesta ha una causa precisa: da una quindicina di anni si è impedito che questa crisi venisse in superficie, applicando all’economia sempre più ammalata un vero e proprio accanimento terapeutico, e dunque aggravando e ingigantendo il malanno del paziente, pur di tenerlo in vita. In termini nudi e crudi: è stata la politica seguita da Alan Greenspan, l’ex presidente della Federal Reserve, a truccare le carte: egli era considerato un “resuscettologo”, nel senso che con tempestive iniezioni di liquidità riusciva a impedire il collasso. Ma comportandosi in questo modo, cioè facendo in modo che l’atterraggio fosse morbido, ha finito con l’avvelenare i pozzi; e ha ingenerato, anche a livello politico, un’aspettativa molto simile alla celebre battuta
di John Maynard Keynes sulla necessità di prevedere i comportamenti dei giocatori di Borsa per decidere come operare con successo, al di là dei parametri fondamentali delle aziende quotate.

Nello Wrona
Nello Wrona

Di fatto, si tratta di una self fullfilling prophecy, una profezia che si autorealizza, che ha spinto ad esportare anche nel resto del mondo comportamenti e prodotti finanziari indecenti, con il sostegno di teorie molto ben congegnate, ma fondate su un’attesa di crescita economica tendente all’infinito. Negli Stati Uniti, dopo aver salvato Fannie & Freddie per evitare la catastrofe del settore immobiliare, e la compagnia di assicurazioni Aig, che è la più grande e ramificata del mondo, si sono gettati sul piatto miliardi di dollari per scongiurare il fallimento a catena del sistema creditizio. Mossa saggia? Si riflette: dalla Grande Depressione si venne fuori inventando un nuovo modello capitalistico, il New Deal, grazie alla decisione di mettere attorno a un tavolo le migliori intelligenze economiche dell’epoca. Il presidente Franklin Delano Roosevelt si prese anche l’accusa di filocomunismo, perché qualcuno di quegli economisti aveva troppa indulgenza verso il modello socialista. Ma quel progetto ha retto per una settantina di anni, ha reso grande l’America e ha anche sconfitto il comunismo. Negli ultimi vent’anni, però, non c’è stata la capacità di reinventarsi. Il problema, ora, è se si passerà dalla scelta di provvedimenti da pronto soccorso a un vero e proprio nuovo modello di capitalismo.
Il pronto soccorso può funzionare certamente in prima battuta. Ma le conseguenze di un forte aumento della base monetaria potrebbero essere molto gravi per l’economia americana e del resto del mondo. Nel senso che potrebbero indebolire fortemente il dollaro, con un temporaneo rilancio interno dei consumi, ma anche – necessariamente– con una forte stretta fiscale.

Nello Wrona
Nello Wrona


Fra l’altro, lascia perplessi constatare che proprio coloro i quali hanno consentito che l’enorme bolla monetaria si gonfiasse sono stati gli stessi che sono intervenuti nel tentativo di sanarla. La domanda ultima è: il governo americano come finanzierà nel breve periodo i megafinanziamenti, visto che ha un rapporto fra debito e Prodotto interno lordo peggiore di quello italiano?
Per l’Europa, ogni domanda sui rapporti con gli Stati Uniti rimane per il momento senza una risposta definitiva. Certo, gli Usa, fin dai tempi della guerra di Corea, hanno scaricato sul resto del mondo un onere rilevante, anche perché il resto del mondo lo ha accettato, continuando a investire in dollari.
Allora, è la fine di un mondo? È così. E c’è da augurarsi soprattutto che si tratti della fine di quel mondo avido, ingordo, che in taluni momenti non ha saputo espellere nemmeno gli imbroglioni (e i veri e propri banditi) che contribuivano a devastare ogni minimo rapporto con i risparmiatori di tutto il pianeta (il caso del presidente del Nasdaq e della rapina di 50 miliardi di dollari insegna), e che ha consentito a troppi manager di realizzare guadagni astronomici attraversostock option e bonus da loro stessi
inventati, legati a risultati illusori senza sopportare il rischio dell’imprenditore, con la complicità di organi di controllo e di revisori da loro scelti e incaricati. Con smisurate quanto indegne crescite di poteri e di autoreferenzialità.

   
   
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