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Le nostre sono società post-religiose. E il
modo in cui costruiscono i propri valori
rappresenta il nocciolo cruciale per due celebri
pensatori dell’università di Chicago:
Allan Bloom e Leo Strauss. Quest’ultimo la
definisce la «crisi della modernità». La questione è se esista o meno un modo di stabilire
dei valori tramite la ragione senza tornare
alla religione. La sua tesi centrale è che la
filosofia politica classica – i greci e la loro
enfasi sul “diritto naturale”, oppure la natura
decifrata dalla ragione come fonte di
valori – sia stata respinta dalla filosofia moderna
in maniera troppo frettolosa.
Occorre inquadrare la questione su due
fronti: problema filosofico e problema politico
pratico. L’uno e l’altro possono essere
correlati, ma non necessariamente. Il
profondo problema filosofico è se si possa
far ripartire la filosofia occidentale da Heidegger
e Nietzsche e affermare che la ragione
consente di fondare valori positivi: in altre
parole, che si può dimostrare la verità di
certe idee. Il problema pratico è se si possa
generare un sistema di valori che serviranno
politicamente a finalità liberali integratrici.
Questo è complicato, perché vogliamo che
questi valori siano positivi e abbiano un significato,
ma non possono servire come
motivazione per escludere certi gruppi dalla
società. Può darsi che riusciremo ad ottenere
una cosa senza l’altra. Per esempio, il successo dell’esperimento politico americano si basa sull’aver creato un sistema di valori“positivi” che hanno agito da base all’identità
nazionale, ma che erano anche accessibili
a persone non bianche, non cristiane,
né in qualche modo legate per vie di“sangue e terra” ai fondatori anglosassoni
protestanti del Paese.
Questi valori sono l’essenza del credo americano:
l’individualismo, il lavoro come valore,
la libertà di movimento e la sovranità popolare.
Samuel Huntington (scomparso di
recente, il politologo americano è famoso
per la sua visione di uno scontro tra civiltà
in atto dopo la Guerra Fredda, oggetto di
un celebre saggio del 1996, N.d.R.) li definiva«valori angloprotestanti», ma oggi essi
sono stati divelti dalle antiche radici. Questi
valori possono essere condivisi da chiunque,
qualunque sia l’appartenenza etnica o la
provenienza. E funzionano bene, come soluzione
pratica al problema dei valori positivi.
E ci si può chiedere: se le definizioni positive
della libertà, cioè le scelte per una vita
soddisfacente, generano spaccature in un
mondo plurale, perché non tornare a un sistema
come quello del Medio Evo, quando
diversi valori si applicavano alle differenti
giurisdizioni, ciascuna col proprio Volksgeist,
ovvero lo spirito specifico di un popolo?
Non è una soluzione. Oggi viviamo in immense
comunità nazionali lanciate verso la
globalizzazione, dove occorre mettere in atto
senso di civiltà, ponderazione e democrazia.
È impossibile costruire federazioni di
miliardi di singole comunità egocentriche.
Quanto all’America, si può dire che abbia
un Geist ma non disponga di un Volk, nel
senso che il suo stile di vita è condiviso da
razze e culture diverse. Prima di giudicarla,è di questo che occorre tener conto.
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