Marzo 2009

 

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Contro le turbolenze

Joaquín Almunia

 

 
 

 

 

 

 

 

Più o meno dieci anni fa abbiamo preso la decisione storica di far decollare l’Unione economica e monetaria, e l’euro è nato il primo gennaio 1999. L’edificio che abbiamo costruito è grande, solido e ammirevole. Oggi l’euro è condiviso dalla maggioranza dei Paesi e da più di 320 milioni di abitanti, formando in questo modo il più grande mercato del mondo sviluppato. È un risultato ineguagliato negli ultimi decenni.
Tutto ciò dovrebbe essere particolarmente apprezzato in questi tempi perturbati, tra aumento dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari e le turbolenze finanziarie. Conosco, e comprendo, la preoccupazione dei consumatori rispetto all’impatto dei prezzi mondiali sui prodotti di tutti i giorni. Ma si può immaginare – perché abbiamo vissuto shock con effetti analoghi negli anni Settanta e Ottanta – quale sarebbe stato l’impatto della moltiplicazione fino a sei volte del petrolio, in dollari, dal 2002 fino a poche settimane fa, prima della regressione del costo dell’oro nero, e le conseguenze di queste turbolenze sulle nostre vecchie valute, se non avessimo avuto l’euro!
L’euro è un successo innegabile; non si esagera se lo si ripete con forza. E, sicuramente, la divisa comune è qui per restare. Ma il funzionamento dell’edificio dell’Unione economica e monetaria può e deve essere migliorato per raccogliere pienamente i frutti in materia di crescita economica, di competitività e di una maggiore e migliore occupazione nei settori del futuro.
In larga parte, ciò richiede un più grande coordinamento e maggiore sorveglianza, non soltanto delle nostre politiche di bilancio, ma anche di quelle economiche in un senso più ampio. Rivoluzionario?
Nuovi poteri per la Commissione, come ho potuto leggere in alcune reazioni alle nostre idee?

Per le strade di San Francisco.
Per le strade di San Francisco. Michela Grande


No. Si tratta piuttosto di un ritorno alle origini, al Trattato di Maastricht adottato dai capi di Stato e di Governo dell’Unione europea nel 1992, che prevede all’articolo 99 che «gli Stati membri considerino le loro politiche economiche come una questione d’interesse comune e le coordinino». Basta accusare l’euro di tutti i mali immaginari! Riconosciamo piuttosto i vantaggi in materia di riduzione dell’inflazione e dei tassi d’interesse, dell’eliminazione dei costi e del rischio di cambio, dell’integrazione e migliore efficacia dei mercati, e della riduzione della bolletta petrolifera. Occorre una volontà politica più forte per riuscire ad arrivare ad un vero miglioramento della situazione e ad un bilancio in pareggio in tutti i Paesi dell’area euro. In particolare, l’Italia ha fatto notevoli progressi nel rispettare le norme del Patto di stabilità e di crescita, riducendo lo scorso anno il disavanzo nuovamente al di sotto del limite del 3 per cento del Prodotto interno lordo e invertendo la tendenza all’aumento del debito degli ultimi anni. Ma in momenti di crisi planetaria come quella che ci riguarda è necessario continuare con determinazione con il consolidamento fiscale per accelerare la riduzione del debito, che rappresenta ancora più del 100 per cento del Pil, e per rompere così definitivamente il vecchio circolo vizioso disavanzo-debito. A titolo di esempio dei benefici immediati di una simile strategia, basta vedere quanto sta avvenendo in Belgio, un Paese che soltanto cinque anni fa aveva un debito oltre il 100 per cento e spese per interessi oltre il 5 per cento del Pil. Avendo raggiunto e mantenuto il bilancio in pareggio in questi ultimi anni, Bruxelles è riuscita a ridurre sia il debito sia le spese per interessi di circa un quarto. Si tratta di una riduzione che se rapportata al Prodotto interno lordo dell’Italia significherebbe circa 20 miliardi di euro risparmiati ogni anno in spese per interessi. Un ammontare paragonabile a quello di una manovra finanziaria, disponibile “gratuitamente” ogni anno per altre iniziative che potrebbero favorire lo sviluppo dell’Italia. E un ammontare crescente nel tempo in linea con la riduzione del debito pubblico. Che in Italia non può accelerare, neanche in momenti critici diffusi nel Vecchio Continente e nel mondo.

   
   
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