Marzo 2009

ECONOMIA E POLITICA

Indietro

Ripensiamo il capitalismo

Eric Maskin

Premio Nobel per l’Economia

 
 

Quel pacchetto ha creato il rischio di far credere alle istituzioni finanziarie che in futuro potranno essere salvate ancora dal governo.

 

Il problema di fondo è come venir fuori dalla crisi. Secondo me, i passi fatti vanno nella direzione giusta. Il piano del governo americano era quanto mai necessario, per l’evidente motivo che i mercati creditizi, se lasciati a se stessi, sarebbero ripartiti troppo lentamente, per di più con costi sociali enormi. Anche i tagli ai tassi d’interesse erano indispensabili per accelerare il flusso del credito.
Per quel che riguarda le ricadute di Wall Street su Main Street, vale a dire sull’economia reale, c’è senz’altro motivo di preoccupazione per la disoccupazione e per i pignoramenti cui assisteremo nel corso del 2009. Per questo motivo saranno necessari incentivi fiscali e investimenti nel settore delle infrastrutture, che ridurranno gli effetti della crisi finanziaria a un paio di anni. In tempi di recessione è più che sensato avere un debito pubblico.
La domanda è: quale capitalismo emergerà da una crisi di questa portata? Certamente, non esisterà più il mito che tutti i mercati funzionino perfettamente. Alcuni di essi funzionano abbastanza bene da soli, altri invece no. Il credito è uno di questi. Ci sarà un recupero delle teorie di John Maynard Keynes, citato in questi tempi come un nemico del capitalismo. Ma le sue misure lo salvarono dalla grande crisi del 1929 e degli anni immediatamente seguenti. Per le regole del mercato del credito, vorrei vedere una veloce e adeguata capitalizzazione delle banche e modalità precise per la concessione del credito stesso. Di fatto, si tratta di recuperare il buonsenso, quello che si è perso negli ultimi anni, quando le banche hanno concesso mutui senza nemmeno verificare se il debitore avesse un lavoro e fosse in grado di onorare le scadenze.


Va poi chiarito un altro problema, posto dalla lettera aperta al segretario del Tesoro americano, nella quale duecento economisti hanno sostenuto che il pacchetto da 700 miliardi di dollari può aver creato un pericoloso precedente. In realtà, il vero problema di quel pacchetto è stata la sua vaghezza, perché non vi erano precisate le modalità d’intervento nei confronti delle banche statunitensi, non le si costringeva ad usare i capitali pubblici per erogare prestiti, e infine ha creato il rischio morale di far credere alle istituzioni finanziarie che in futuro potranno essere salvate ancora dal governo. Quel pacchetto deve essere messo in pratica gradualmente e con attenzione. Tuttavia, la maggior parte degli economisti ha concordato sul fatto che fosse necessario. C’è stato, è vero, qualcuno che era convinto che lasciar fallire le banche che si erano messe in una situazione insostenibile sarebbe stato salutare per il sistema finanziario. I fallimenti sono senza dubbio un ingrediente importante del capitalismo. Ma in questo caso l’effetto a catena di un sistema di bancarotte bancarie avrebbe immediatamente paralizzato l’economia.
E per concludere, una domanda ricorrente in questi ultimi tempi: prevenire un’altra crisi significa dare maggior potere a istituzioni internazionali, come ad esempio il Fondo monetario? La mia risposta è inequivocabile: io credo nel coordinamento fra i governi, ma non credo che si debba dare ad istituzioni internazionali la responsabilità di correggere mercati che sfuggono di mano: incontrerebbero la resistenza ferma di non pochi governi nazionali; né credo che si debbano allargare troppo i gruppi designati ad affrontare le crisi, come il G8, perché non sarebbero più in grado di agire rapidamente.

“There is no disagreement that we need action by our government, a recovery plan that will help to jumpstart the economy”

Barack Obama, gennaio 2009

With all due respect Mr. President, that is not true

Dalla “Lettera al Congresso” di duecento economisti aderenti al Cato Institute di San Francisco.
Dalla “Lettera al Congresso” di duecento economisti aderenti al Cato Institute di San Francisco.


“Con tutto il dovuto rispetto, Signor Presidente, non è vero che tutti gli economisti adesso sono keynesiani e che tutti appoggiano un grosso incremento del peso del governo, non crediamo che più spesa pubblica sia un modo per migliorare la performance economica. Più spesa pubblica durante le presidenze Hoover e Roosevelt non ha tirato fuori dalla Grande Depressione l’economia Usa negli Anni ‘30. Più spesa pubblica non ha risolto il decennio perduto del Giappone negli Anni ‘90. Quindi è un trionfo della speranza sull’esperienza credere che più spesa pubblica aiuti gli Usa oggi. Per migliorare l’economia, i legislatori dovrebbero concentrarsi sulle riforme che tolgono gli ostacoli al lavoro, ai risparmi, agli investimenti e alla produzione. Livelli di tasse inferiori e una riduzione del peso del governo sono i modi migliori di usare la politica fiscale per spingere la crescita”...

 

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2009