Settembre 2008

 

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Le Giravolte
AA.VV
 
 
 

 

 

 

Sette sono i giorni della creazione,
il numero dei
pianeti conosciuti nell’antichità,
sette i toni del canto gregoriano, le trombe
dell’Apocalisse,
i sigilli, le coppe, le scienze libere.

 

Il mio amico
Leonardo Sciascia

«L’intellettuale non deve ungere, ma dar fastidio». In questa frase c’è la personalità di Leonardo Sciascia. Mai disponibile al compromesso e all’opportunismo, sempre libertario, ma con la moderazione dell’intelligenza e del buonsenso, senza ostentazione, con la naturalezza che gli veniva dalla razionalità che era parte preponderante del suo carattere e della sua cultura.
Il suo ruolo di intellettuale fu sì quello del disturbatore, dell’incomodo, ma mai chiassoso né passionale, sempre riservato e composto. Il rigore e la severità dei giudizi gli si leggevano negli occhi più che sulla bocca. Quando non approvava, o era sdegnato, l’intransigenza gliela si leggeva nello sguardo. Una sola volta gli ho sentito dare del “cretino” ad un personaggio che non stimava e che era indubbiamente sia stolto che ignorante, e persino malvagio.
Era rigoroso, mai compiacente, ma non manicheo, anzi generoso, aperto al dialogo, alla comprensione. Aveva una concezione dei rapporti umani che gli veniva dalla sua cultura illuministica. È stato certamente lo scrittore italiano più sensibile al razionalismo cartesiano: la ragione era la fonte essenziale della sua ricerca della verità.
Culturalmente la sua seconda patria era la Francia, si recava infatti spesso a Parigi, dove aveva amici ed estimatori. Lo affascinava il pensiero degli enciclopedisti. Dai suoi soggiorni parigini tornava sempre con qualche testimonianza: un libro, un disegno, un vecchio documento, ritratti di personaggi storici e della cultura, che scovava nelle sue passeggiate a Saint Germain-des-Pres, Montmartre, la rive gauche, visitando librerie, mostre, gallerie d’arte. Di questa sua passione di raccoglitore di ricordi c’è traccia nel palazzo a due piani, che in passato era una centrale elettrica, che il Comune di Racalmuto, suo luogo di nascita, ha restaurato per farne la sede della “Fondazione Sciascia”, sorta per impulso soprattutto di un grande amico dello scrittore, Aldo Scimè, intellettuale di grande sensibilità culturale.
Del carattere di Sciascia, dei valori che erano la sua cultura, la sostanza dei suoi ideali, ci sono segni profondi in tutti i suoi scritti, soprattutto nei romanzi. Ne Il giorno della civetta, per esempio, fa dire al capomafia don Mariano, che si rivolge al tenente dei carabinieri Bellodi, recatosi ad arrestarlo: gli uomini si dividono in veri uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi e i quaquaraquà. Definizioni in cui ci sono, in fondo, la morale e il rigorismo di Sciascia, e che sono tutt’altro che un riconoscimento alla “virilità” della mafia, come qualche sciocco ha voluto intendere e sostenere. C’è invece la visione che egli aveva della natura umana: stimava uomini che non scendono a compromessi e con forte carattere. Era un puritano, ma non un moralista ipocrita.
Sciascia era fondamentalmente un giacobino, esemplare quasi assente nel mondo siciliano, dove, com’è noto, non arrivò la rivoluzione francese, non fu mai piantato l’albero della Libertà, vi si rifugiarono infatti i Borbone cacciati da Napoli.
A volergli dare una connotazione politica, si potrebbe dire che era un “liberal”. Non fu acquiescente con nessuno: non con i comunisti, dai cui lombi ideali pure veniva (amico di Macaluso e Guttuso, consigliere comunale del PCI a Palermo, carica da cui si dimise per dissensi profondi d’ordine morale), non mai con i detentori del potere, di destra o di sinistra che fossero.
Nella presentazione de Il giorno della civetta, che è del 1960, egli scrive: «La mafia è un sistema che in Sicilia contiene e muove gli interessi economici e di potere di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e sviluppa nel “vuoto” dello Stato (cioè quando lo Stato, con le sue leggi e le sue funzioni, è debole o manca), ma “dentro” lo Stato. La mafia, insomma, altro non è che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta».
No, il potere non era tra gli ideali di Sciascia. Da tutti i suoi scritti emerge la volontà di lotta al potere, politico o mafioso che sia. Emblematici sono soprattutto i romanzi Il contesto (1971) e Todo Modo (1974), nei quali c’è il forte impegno contro l’arroganza e il degrado di certa politica, anche di certa giustizia. Le sue armi più efficaci sono l’ironia e una straordinaria capacità corrosiva, esercitata con eleganza stilistica e un sotteso fine moralismo.

Sciascia morì il 20 novembre 1989. Aveva sessantotto anni. Lo conobbi negli anni Sessanta in uno dei miei viaggi in Sicilia come inviato speciale del Corriere della Sera. Me lo presentò Aldo Scimè, suo conterraneo e amico dall’adolescenza. Si creò tra noi un rapporto di cordialità, stima e amicizia. A lui debbo l’idea del mio libro I papi invisibili (Rusconi Editore, 1972), che gli dedicai con la citazione della frase «L’intellettuale non deve ungere...», con cui egli reagì alle accuse delle sinistre quando si dimise da consigliere comunale a Palermo. Fu lui a suggerirmi il titolo del libro in occasione di una lunga intervista che gli feci per il Corriere, che non fu l’ultima perché altre gliene feci per La Fiera Letteraria e poi per Il Giornale. In un libro edito da Laterza, Giorgio Amendola, il “migliorista” figlio del grande liberale Giovanni (famosa la sua frase «Quest’Italia non ci piace»), segnala una di queste interviste, che lo colpì. Me ne parlò, ricordo, in un incontro casuale a Montecitorio. Talune dichiarazioni di Sciascia, mi disse, gli erano molto piaciute.
Come ho già detto, quel che più mi colpì di Leonardo fu la sua cultura illuministica e quel suo razionalissimo giacobinismo, che erano certo l’humus della sua visione del mondo. Giacobinismo razionale, sì, che non aveva niente di estremismo e massimalismo. La ragione fu sempre la sua guida intellettuale, come si nota del resto in tutta la sua scrittura. Non a caso la sua narrazione ha sempre un taglio di ricerca, quasi di inchiesta.
Proprio così, la ragione fu la bussola che egli mai abbandonò. Fino a fargli assumere franche e ferme posizioni anticonformiste che gli costarono accuse ingenerose persino da vecchi amici della sinistra, che mai però lo indussero a ripensamenti di comodo. La sua caratura intellettuale e morale era di uno spessore poco comune nel mondo dei chierici della letteratura.
Rimane un capitolo esemplare la polemica che ebbe inizio col suo scritto sul Corriere del 10 gennaio 1987 intitolato “I professionisti dell’antimafia”. Se la prese con il Coordinamento antimafia, che definì «una frangia fanatica e stupida». Ne venne una reazione irosa e cattiva, come per esempio dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando, e non solo. Taluni tardivamente riconobbero poi d’aver sbagliato. Fu addirittura accusato di collusione con la mafia, lui che con i suoi scritti, più di chiunque altro, ne aveva segnalato efficacemente la dimensione criminale e la penetrazione sociale.
Di quella polemica va ricordato un intervento a sua difesa di Rossana Rossanda sul Manifesto, con il titolo “Un triste processo”. Fu uno dei pochi, forse l’unico a sinistra. Erano anni di irrazionalità irresponsabile. Di questo clima forsennato mi capitò spesso di parlare con lui. Alcuni nostri incontri avvenivano a Milano, nel piccolo albergo “Manzoni” di Via Santo Spirito, dove egli scendeva, facendovi in genere tappa nell’andata o nel ritorno da Parigi. Nella ville lumière, che amava, egli trovava evidentemente quella civiltà di sentimenti e rapporti umani che gli era congeniale.
Furono molti i nostri incontri a Palermo, a Milano, qualcuno anche a Roma. Mi rincresce di non avere avuto l’accortezza di tenere un diario di quelle nostre conversazioni. Ricordo una colazione con lui e Montanelli al ristorante milanese della “Bice”, che, dopo un lungo scambio di idee, finì con una visita di Leonardo a Il Giornale. Indro commentò con me: «Non è facile tirargli fuori le parole. Mi chiedo come faccia tu a tenere con lui tante lunghe conversazioni. È un uomo non facile, ma schietto».
Ci sono due sue espressioni che meritano d’essere citate: «Io credo nei siciliani che parlano poco, che non si agitano, che si rodono dentro: i poveri che si salutano con un gesto stanco, come da una lontananza di secoli»; «C’è stato un progressivo superamento dei miei orizzonti, e poco alla volta non mi sono più sentito siciliano, o meglio, non più solamente siciliano. Sono piuttosto uno scrittore italiano che conosce bene la realtà della Sicilia».
Era proprio così, lo Sciascia che ho conosciuto.

egidio sterpa

 

Nel Salento è sbocciata una Rosa

È in funzione da poco più di due anni, presso l’Ospedale Vito Fazzi di Lecce, il padiglione oncologico sede del primo nucleo della Rete Oncoematologica Salentina (ROSa).
Grazie agli sforzi congiunti dell’Associazione Salentina “Angela Serra” per la ricerca sul cancro e dell’Azienda Sanitaria di Lecce, nel 2005 è stato dato avvio ad un programma di potenziamento dei servizi per l’assistenza ai pazienti affetti da tumore che ha portato in pochissimo tempo alla creazione di un vero e proprio fiore all’occhiello della sanità pubblica pugliese, e che è rappresentato dalle Unità di Oncologia, Ematologia, Oncoematologia pediatrica, Radioterapia oncologica, Radiologia, Genetica, Biologia molecolare e Proteomica clinica operative presso il padiglione oncologico. Grazie a queste realizzazioni il Salento ha finalmente perduto il triste primato di esportare pazienti e speranze. Oggi, almeno per quanto riguarda la diagnosi e la cura dei tumori, la migrazione verso strutture sanitarie lontane dal Salento sembra essersi finalmente arrestata.

Come si è potuta verificare una simile rivoluzione, certamente culturale prima ancora che sanitaria? Grazie ad una “soffiata”: l’1 febbraio 2003 alcuni cittadini salentini informano Daniela Pastore, giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno, che a Modena veniva inaugurato un centro per la cura e la prevenzione dei tumori intitolato ad Angela Serra, giovane medico originario di Galatina. Si legge nell’articolo di Daniela Pastore: «“Se un chicco di grano non muore non porta frutto”. Nasce, forse, dalla prematura scomparsa di Angela Serra, il Centro oncologico modenese, punta di diamante per la cura e la ricerca sui tumori, che verrà inaugurato oggi nel Policlinico di Modena. A volere l’opera con tutte le sue forze, un altro salentino, il professor Massimo Federico, originario di Taviano, oncologo presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, da oltre trent’anni in Emilia. Speciale il chicco di grano che ha fatto germogliare il progetto: il desiderio di mantenere in vita il ricordo di Angela, che lì a Modena aveva studiato e cominciava a muovere i primi passi da medico. È nata così, nel 1987, per volontà del marito, e del gruppo più intimo di amici, tra cui Massimo Federico, l’associazione a lei dedicata».

Nel 1990, l’idea: realizzare a Modena un grande Centro Oncologico. Il progetto era ambizioso: c’era da mobilitare uomini e denaro. L’associazione ci credette, i modenesi cominciarono a contribuire. Partecipò con sofferta passione anche l’allora sindaco di Modena Pier Camillo Beccaria: un tumore lo consumava lentamente, ma lui continuava a governare, imperturbabile, fino alla fine. E si congedò dalla sua amata città con il seguente messaggio: «Non voglio fiori al mio funerale. Chiedo invece che i cittadini facciano una donazione all’Associazione “Angela Serra” per la realizzazione di un Centro Oncologico a Modena».

Sull’onda emotiva, che portò la città ad una risposta senza precedenti, il sogno cominciò a prendere vita. Nel 1995 un gruppo di professionisti coordinati da chi scrive realizzò il progetto sanitario del centro oncologico: l’Associazione “Angela Serra”, con 6 miliardi delle vecchie lire, costruì il grezzo della struttura, Università e Policlinico la completarono, contribuendo per un terzo a testa del costo complessivo. Detto, fatto. A Modena nacque un centro pilota in Italia nella cura dei tumori: 76 posti letto, un day hospital di duemila metri quadri che cura 250 pazienti al giorno, una sezione per i trapianti del midollo, uno staff medico impegnato a sviluppare le terapie più innovative.
Nel corso di un’intervista con l’intraprendente giornalista Daniela, chi scrive si lasciò andare alle seguenti considerazioni: «A Modena il nostro progetto è diventato realtà. E io mi chiedo: perché non a Lecce? Perché anche il Salento non si mobilita per realizzare un progetto simile? In fondo sono stati i modenesi a regalare a Modena questo gioiello. Ogni anno arrivano a Modena per farsi curare centinaia di salentini. Credo sia giunta l’ora di fare qualcosa per loro, e impegnarsi per abbattere l’emigrazione sanitaria. Penso all’Ospedale “Vito Fazzi”: ha le potenzialità per accogliere un centro oncologico d’avanguardia. Forse la spinta deve partire dalla gente, con una mobilitazione come quella che ha creato l’associazione a Modena».
Un progetto a cui hanno creduto le istituzioni modenesi, grandi sponsor, tra cui gli istituti bancari. Ma in cui ha creduto soprattutto la gente. L’intervista si concluse con un invito ai cittadini della mia terra d’origine: «Io sono pronto a mettere la mia esperienza professionale a servizio di questo progetto, spero davvero che la gente del Salento recepisca il messaggio e lo porti avanti con convinzione». E Daniela, pensando alla commozione con la quale i familiari di Angela Serra avevano assistito all’inaugurazione del nuovo centro, concluse così il proprio servizio: «Un’anima salentina continuerà a battere tra quelle mura».
Da quel toccante resoconto giornalistico apprezzato da decine e decine di lettori che si rivolsero alla redazione della Gazzetta del Mezzogiorno per dichiarare il loro incondizionato sostegno all’idea, nacque nel Salento una Sezione dell’Associazione “Angela Serra” con l’obiettivo di dare un contributo concreto alla nascita e allo sviluppo di un’efficiente Rete Oncologica.
Per raggiungere questo ambizioso risultato l’Associazione Salentina “Angela Serra” si è avvalsa della positiva esperienza fatta dall’Associazione che era stata fondata a Modena nel 1987 e che può essere sintetizzata nelle seguenti significative tappe:
Nell’estate del 1993, dopo quasi quattro anni di discussioni e approfondimenti, l’Associazione decide di avviare una campagna di sottoscrizione pubblica.

30 settembre 1994. Ai funerali di Pier Camillo Beccaria, già sindaco di Modena, prende avvio ufficialmente la campagna di sottoscrizione, finalizzata alla realizzazione di un centro provvisto dei necessari servizi di prevenzione, diagnosi e terapia dei tumori, e di adeguate risorse per il sostegno della ricerca in questo settore.
31 ottobre 1994. Nel primo mese vengono raccolti circa 155 milioni di lire; almeno mille cittadini offrono un contributo finanziario.
30 dicembre 1994. A tre mesi dall’inizio della campagna di sottoscrizione pubblica per la realizzazione del Centro Oncologico Modenese vengono raccolti contributi per 305.916.000 di lire.
30 marzo 1995. A sei mesi dall’inizio della campagna di sottoscrizione, i contributi ammontano a 670.000.000 di lire.
30 settembre 1995. A dodici mesi dall’inizio della campagna di sottoscrizione, vengono raccolti 1.329.000.000 di lire.
10 maggio 1996. L’Università degli Studi di Modena, l’Azienda Ospedaliera Policlinico di Modena e l’Associazione “Angela Serra” per la ricerca sul cancro firmano la convenzione per la costruzione del Centro Oncologico Modenese. Garante dell’accordo è Giuliano Barbolini, sindaco di Modena.

13 gennaio 1997. L’Associazione “Angela Serra” riceve dal governo un contributo di 2 miliardi di lire sui fondi dell’Otto per mille destinati a scopi d’interesse sociale e di carattere umanitario. Il contributo è da destinarsi al progetto di realizzazione del Centro Oncologico Modenese.
5 febbraio 1997. Consegna del progetto esecutivo del Centro Oncologico Modenese al Consiglio Direttivo dell’Associazione “Angela Serra”.
6 febbraio 1997. L’Associazione acquisisce il diritto di superficie del terreno che ospiterà il Centro Oncologico Modenese da parte dell’Azienda Policlinico.
27 febbraio 1997. L’Associazione presenta al Comune di Modena la richiesta di concessione edilizia.
20 giugno 1997. L’Associazione riceve dal Comune di Modena l’autorizzazione ad aprire il cantiere per iniziare i lavori del nuovo COM. Il cantiere apre nel mese di luglio.
28 febbraio 1999. Viene presentata al Comune di Modena la denuncia di fine lavori relativa all’edificio al grezzo del nuovo Centro Oncologico.
8 aprile 1999. Cerimonia di consegna dell’edificio al grezzo dedicato a Pier Camillo Beccaria da parte dell’Associazione “Angela Serra” all’Azienda Ospedaliera di Modena e all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. L’atto notarile viene firmato in data 01 aprile 1999 e il valore dell’immobile è di oltre 6.300.000.000.
Dicembre 2001. Entra in funzione il Centro Oncologico Modenese.
1 febbraio 2003. Inaugurazione del Centro Oncologico Modenese e intitolazione del Padiglione al sindaco Pier Camillo Beccaria.
E nel Salento? Nel giugno 2003 si apre una Sede dell’Associazione “Angela Serra” anche nel Salento e si lancia la campagna di sensibilizzazione dal titolo: “Una firma e un euro per realizzare un sogno”. In poco più di un anno, da giugno 2003 ad agosto 2004, sono state raccolte oltre 30.000 firme. A settembre 2005 viene lanciata la campagna “Migrazione Zero”, un progetto globale per debellare la piaga della migrazione sanitaria in oncologia e realizzare un’area di eccellenza che possa essere l’orgoglio dei Salentini.
La ROSa deve rappresentare il riferimento assistenziale, culturale e scientifico per la diagnosi accurata e tempestiva delle neoplasie, per il potenziamento della ricerca di base e clinica, per la prevenzione e per la migliore terapia dei tumori. Sicuramente un obiettivo di tale portata è arduo da raggiungere; tuttavia oggi solo un approccio globale al cancro può consentire di raggiungere quei livelli di qualità nella cura dei tumori che i cittadini giustamente rivendicano.
Attraverso la ROSa si potrà realizzare nel migliore dei modi quella Rete di servizi oncologici auspicata da tutti, e che potrà consentire a tutti i pazienti di curarsi a casa: centralizzazione dei servizi più complessi e decentramento delle attività assistenziali.
Una comunità di oltre 800.000 abitanti come quella salentina può, anzi, deve disporre di Servizi diagnostici dotati delle attrezzature più moderne e degli organici più qualificati per assicurare diagnosi accurate nel più breve tempo possibile. E lo stesso vale per la cura dei pazienti: i Centri di degenza, day hospital e ambulatoriali devono essere dimensionati sui reali bisogni assistenziali della popolazione, e distribuiti sul territorio in modo “intelligente”, per ottimizzare le risorse umane e tecnologiche e per minimizzare i disagi ai pazienti. Bisogna impegnarsi per assicurare ai cittadini residenti nel Salento gli stessi livelli assistenziali oggi a disposizione dei cittadini che risiedono nelle regioni del Centro-Nord Italia.
La ROSa intende diventare un “Comprehensive Cancer Center” con laboratori di ricerca, letti di degenza, servizi di day hospital e ambulatoriali, attività di prevenzione e centri di formazione e aggiornamento permanente del personale. Nel tempo la ROSa potrebbe richiedere al Ministero della Salute il riconoscimento come Istituto di Ricovero e Cura a carattere scientifico.
In conclusione, il processo per la realizzazione di un moderno centro idoneo alla ricerca e all’assistenza oncologica nell’area Jonico-Salentina ha avuto avvio ed è giunto ad una fase di non ritorno. In poco più di due anni le realizzazioni non sono state poche: potenziamento dell’Oncologia Medica e della Radioterapia, istituzione delle U.O. di Ematologia e di Oncoematologia pediatrica.
Di particolare rilievo anche il recente accordo con l’Università del Salento per l’attivazione all’interno del Padiglione Oncologico del Servizio di Proteomica clinica e l’attivazione del Registro Tumori, i cui primi dati sono attesi per i prossimi mesi, e la realizzazione del primo modulo del progetto accoglienza, con la creazione di una nuova Reception al Padiglione Oncologico. E il gruppo dirigente dell’Associazione Angela Serra non ha alcuna intenzioni di fermarsi prima di avere portato la ROSa in “serie A”. Il raggiungimento di questo ambizioso traguardo rappresenterà un elemento importante di progresso e di sviluppo della comunità salentina e consentirà a tutti di potere dire: «Chi soffre non dovrà più andare via... E ti prometto che verrà un giorno, tu guarirai ed avrai il mare intorno» (dalla canzone Se credi ai grandi sogni di Carlo Longo-Luigi Lotta, dedicata alla ROSa).


massimo federico
Docente di Oncologia Medica
Università di Modena e Reggio Emilia

 

   
   
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