Giugno 2008

Scavi clandestini e recuperi di opere d’arte

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I grandi predatori
T.C. - S.B.
 
 

 

 

Poco dopo,
nell’isola
di Schinoussa,
nelle Cicladi,
il mercante inglese trascorre tre
giorni e tre notti
a bruciare
documenti...

 

L’organizzazione era quasi perfetta. Robin Symes, britannico, per non meno di trent’anni uno tra i massimi mercanti internazionali dell’archeologia scavata clandestinamente, disponeva di ben trentanove depositi, nei quali conservava diciassettemila reperti, che la magistratura inglese ha valutato 125 milioni di sterline (corrispondenti a 165 milioni di euro, cioè 330 miliardi delle nostre vecchie lire), e che per oltre sei decimi provenivano da bacini archeologici del nostro Paese. I depositi erano sparsi tra Londra, Ginevra e New York.
In quelli britannici, che gli investigatori italiani hanno potuto esplorare, insieme con i colleghi inglesi, i reperti sono diciassettemila. Ed è chiaro che ora assume una rilevanza eccezionale la catalogazione di ciascun oggetto, per stabilirne la provenienza, e subito dopo per avviare le procedure di rivendicazione da parte dell’Italia.
È tempo, per noi, di colpi grossi. Uno fu fatto quando venne alla luce il gran deposito di Giacomo Medici, al Porto Franco di Ginevra: emersero oltre tremila pezzi archeologici e poco più di mille foto; Medici venne condannato in primo grado a dieci anni di galera e a 10 milioni di euro come provvisionale allo Stato per i danni inferti al patrimonio culturale.
Un altro si ebbe quando si scoprì il centro di raccolta si reperti di Gianfranco Becchina, a Basilea: settemila oggetti, che la Svizzera non ha finora trasmesso, e migliaia di documenti; Becchina non è stato ancora processato.
Quello londinese è dunque il terzo importante deposito dei cosiddetti “predatori dell’arte perduta” che i nostri cacciatori di mercanti di frodo riescono a perlustrare in un relativamente breve giro di tempo. Robin Symes è stato uno dei tre maggiori fornitori del Getty Museum, che, ricordiamo, da costui acquistò per 18 milioni di dollari, nel 1988, la Venere di Morgantina, che farà ritorno nel nostro Paese nel 2010, e lo stupendo Vaso di Eufronio, dal nome del vasaio che lo modellò, decorato dal Pittore della Fonderia con una coppia di maschere di Dioniso e di un satiro, finalmente recuperato dall’Italia. Ma è stato anche colui che ha dovuto consegnare ai nostri investigatori la Maschera d’avorio, vale a dire il più grande oggetto crisoelefantino (cioè in oro e in avorio) del mondo, ritenuto «certamente commissione di un imperatore romano». Il gran predatore lo aveva ottenuto pagando dieci milioni di dollari, e avrebbe potuto venderlo per una somma almeno cinque volte superiore.
Gli specialisti italiani hanno potuto studiare fino a questo momento soltanto una parte dei reperti che Symes aveva già acquistato, ma non ancora venduto ai maggiori musei del mondo e ai più disinvolti collezionisti privati, presenti al di qua e al di là dell’Atlantico. Ma non hanno potuto esplorare, purtroppo, il suo archivio, per ragioni che sono state così ricostruite: nel 1999 muore il suo socio e compagno, Cristo Michaelides; esala l’ultimo respiro all’ospedale di Orvieto, dov’era stato ricoverato in seguito a una caduta dalle scale in una villa di Terni, affittata da Leon Levy e da Shelby White: una delle coppie più ricche degli Stati Uniti, collezionisti di grande fama (lui oggi non c’è più, lei poco tempo fa ha acconsentito a restituire dieci importantissimi vasi al nostro Paese, e ha finanziato la nuova ala greco-romana del Metropolitan Museum). E poco dopo, nell’isola di Schinoussa, nelle Cicladi, dove Symes e Cristo possedevano una villa, il mercante inglese trascorre «tre giorni e tre notti a bruciare documenti», secondo quanto hanno certificato alcuni testimoni.

A Schinoussa, però, vengono ritrovati 995 reperti archeologici (di cui 610 greco-romani), e, in diciassette album, ben 2.191 fotografie di autentici capolavori. Per alcuni critici, si tratterebbe di reperti magnifici, il meglio del meglio di quanto acquistato clandestinamente dai tombaroli, tutti venduti dalla premiata ditta Symes-Michaelides. Tra questi pezzi, c’erano anche la celeberrima Artemide marciante, che per fortuna è stata già recuperata dai nostri carabinieri; un marmo di Zeus in trono, ripescato in mare e acquistato dal Getty Museum; la scultura di un giovane, localizzata poi nel Museo di Cleveland; la Kore arcaica restituita nel 2007 dal Getty alla Grecia.
Attualmente Symes (settant’anni, due figli) non commercia più. È anche finito in carcere. La metà dei suoi beni è stata attribuita agli eredi del suo antico socio. Ha dichiarato bancarotta. La legge britannica vieta ai curatori di un fallimento la vendita di oggetti di dubbia provenienza, e anche per questo l’expertise italiana è importante, perché può portare ad ulteriori sviluppi non soltanto nelle indagini, ma anche nelle attribuzioni dei reperti alle presumibili aree di provenienza.
Le attenzioni, ora, sono rivolte anche ad alcuni collezionisti che sono stati in contatto permanente con Symes. Per esempio, il re del rame boliviano, come viene chiamato il collezionista Jorge Ortiz, ha acquistato in un paio di anni diciannove reperti archeologici una volta custoditi nei depositi del mercante britannico. Ortiz vive in Svizzera da gran tempo. Forse sarà complicato, ma non impossibile, dare un’occhiata a quest’altro tesoro. Per saperne di più.

 

   
   
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