Giugno 2008

Finanza globale, risparmiatore locale

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Tre stelle polari
per il risparmio italiano
Filippo Cucuccio  
 
 

 

 

 

Con la crudezza delle cifre,
le statistiche
mostrano come gli italiani sembrino aver voltato le spalle al risparmio in questo scorcio del nuovo secolo: nel 2007 il 51% degli italiani non ha risparmiato!

 

Sono almeno due le chiavi di lettura che quest’anno offre l’esame del Rapporto sul risparmio e sui risparmiatori in Italia, giunto alla sua venticinquesima edizione 1.
La prima chiave interpretativa è legata a questo scorrere del tempo scandito dal ritmo di problematiche e nodi economici che in questo quarto di secolo si sono presentati, consolidati, dissolti per poi ricomporsi in un gioco continuo di speranze e attese deluse.
Basta sfogliare i titoli delle copertine delle diverse edizioni per cogliere varietà di enfasi e sottolineature tipiche di un particolare ciclo congiunturale e/o di uno specifico problema strutturale. Infatti, anche volendosi limitare all’ultimo decennio, si va da un risparmiatore “fai da te” per passare a un risparmiatore che cerca fiducia, che si confessa, e che è divenuto previdente; per poi giungere al tema dei risparmiatori vecchi e giovani e a quello di apparente contrapposizione di quest’anno: “Finanza globale, risparmiatore locale”.

In realtà, come viene puntualizzato nel saggio di presentazione del Rapporto, «sembra che poco sia cambiato nello scenario del risparmio e dei risparmiatori in Italia» 2. Infatti, così come 25 anni fa, «la ricerca della sicurezza, le incertezze sulla pensione, l’amore per il mattone e la scarsa educazione economico-finanziaria» costituiscono ancora gli elementi più significativi dello scenario offerto da questa indagine.

Ma non solo. In un’ottica di raffronto internazionale, così come un quarto di secolo prima, emerge la persistenza di differenze nei dati nazionali del risparmio, indicatore inconfutabile del «permanere di diversità strutturali tra Paese e Paese»: diversità che concernono elementi socio-economici, quali il sistema di welfare state, la mobilità sociale, la coesione delle comunità, il grado di educazione finanziaria, ecc.
In definitiva, un’affascinante chiave di lettura retrospettiva che offre ampi spazi di riflessione socio-economica per comprendere come era l’Italia del risparmio e come si è modificata su questo versante non solo in un ambito ristretto, ma anche in quello dilatato a comparazioni internazionali.

C’è, poi, una seconda chiave di lettura che emerge nitidamente anche quest’anno dall’analisi del Rapporto, una chiave di lettura attenta a cogliere i valori che sembrano guidare il risparmiatore nei suoi rapporti con i fenomeni economico-finanziari e nelle sue interazioni con le istituzioni che ne costituiscono i protagonisti essenziali.
In questo percorso ricognitivo il primo valore in cui ci si imbatte è lo stesso risparmio. Dalla percezione del risparmio come valore in sé consegue che l’attitudine al risparmio viene tuttora considerata una virtù proprio in anni in cui la capacità di risparmio non registra dei picchi esaltanti. Anzi, le evidenze statistiche mostrano con la crudezza delle cifre come gli italiani sembrino aver voltato le spalle al risparmio in questo scorcio del nuovo secolo (nel 2007 il 51% degli italiani non ha risparmiato!). Ma le interviste che supportano l’indagine del Rapporto mostrano con altrettanta chiarezza come i motivi di questa defezione dal popolo dei risparmiatori siano la carenza di risorse e non certo una libera volontà: per di più – sottolineano gli studiosi autori del saggio iniziale – «continua ad aumentare il riconoscimento del risparmio come valore» 3.
La seconda tappa del percorso valoriale porta alla fiducia che continuano a riscuotere le imprese del credito rispetto ad altri potenziali protagonisti del mondo finanziario 4. Si tratta di un patrimonio intangibile di incommensurabile importanza che caratterizza gli atteggiamenti dei risparmiatori e che si può individuare sotto numerose prospettive: a cominciare dal rapporto con la cosiddetta banca di famiglia, ossia il punto di riferimento principale per lo svolgimento delle proprie operazioni creditizie e per l’acquisizione di informazioni, suggerimenti e consigli. Anche se – va subito aggiunto per onestà di analisi – questa fiducia è zavorrata da alcune negatività sulle quali le stesse banche dovrebbero soffermarsi con maggiore attenzione per evitare il manifestarsi di pericolose derive tendenziali.
Qui il riferimento d’obbligo è a una sorta di frustrazione che caratterizza le risposte dell’indagine su una pluralità di versanti: dal fenomeno delle aggregazioni bancarie a quello dell’aumentata presenza di banche straniere in Italia, fenomeni considerati scarsamente influenti in termini di beneficio concorrenziale e di miglioramento qualitativo per la clientela; per poi passare al radicato convincimento che l’offerta di molti dei prodotti finanziari sia condizionata dal significativo tasso di profittabilità per le banche più che da un reale beneficio per i consumatori; per finire al delicato capitolo dei reclami, ove si scopre che molto spesso ci si astiene dal presentarli («tanto non si otterrà alcuna soddisfazione»).
Sono tutti questi elementi di potenziale criticità che, almeno per ora, apparentemente non minano la soddisfazione complessiva percepita dalla clientela nei rapporti con la banca di famiglia, né la fiducia che questa riscuote quanto a capacità di offrire un’adeguata consulenza per le scelte di impiego del risparmio.

Il viaggio di ricognizione registra, infine, una terza tappa, dedicata ad un valore forse appannato, o che esce comunque sminuito anche da questa edizione del Rapporto: l’educazione finanziaria. In realtà, non può non colpire negativamente la pochezza del tempo che la maggioranza degli intervistati confessa di dedicare all’acquisizione di informazioni utili per decidere sul come investire i propri risparmi. Tanto che nell’analisi dedicata a questo aspetto amaramente si sottolinea che «la finanza personale e gli investimenti sembrano essere temi che continuano a non accendere l’interesse della media degli italiani» 5.
La curiosità spinge ad aprire un breve spazio di riflessione antropologico-economica per descrivere i tratti caratteristici del profilo di quella minoranza che invece si sottrae a questo diffuso disinteresse informativo: maschio, residente nel Nord (e decisamente più nel Nord-Ovest che nel Nord-Est), nel Sud e Isole, appartenente alle categorie dei dirigenti/funzionari e imprenditori/professionisti, collocato in fasce di reddito medio, medio/alto, dotato di cultura universitaria. Quanto all’età – e questo è un dato su cui varrebbe spendere una considerazione più attenta da parte degli operatori economico-finanziari – il maggiore interesse all’acquisizione di informazioni si registra nell’area dei cinquantenni (50-59 anni).
Sempre sul versante dell’educazione finanziaria un secondo aspetto significativo è legato alle fonti di consultazione per l’ottenimento di informazioni. Qui sono sicuramente importanti le evidenze statistiche del 2007, ma ancor di più lo sono i raffronti che si possono stabilire disponendo di un orizzonte temporale più ampio (2001-2007) con uno “zoccolo duro” rappresentato dalle banche, quale fonte primaria ; mentre si segnala un ridimensionamento di ruolo dei giornali e della televisione a cui fa riscontro la crescita di centralità di Internet.
Un discorso a parte meritano i promotori finanziari, il cui ruolo è comunque significativo nel processo decisionale del risparmiatore e suscettibile di ulteriori mutamenti in positivo/negativo alla luce della recente normativa MIFID (Markets in Financial Instruments Directive: una nuova disciplina dei mercati, dei servizi e degli strumenti finanziari mirata a rafforzare la tutela del risparmiatore, N.d.R.) che ha anche previsto l’attività di promotori finanziari indipendenti.
Ad ogni modo, ciò che appare incontrovertibile è il lungo percorso da compiere verso gli obiettivi di una conoscenza consapevole e diffusa dei prodotti finanziari, nonché di un accesso massiccio e diversificato a fonti di informazioni, entrambi elementi indispensabili per un livello accettabile e generalizzato di educazione finanziaria.
Il risparmio, la fiducia nelle banche, la spinta a migliorare la propria conoscenza finanziaria sono, in definitiva, le tre stelle polari che accompagnano il risparmiatore locale in questo scenario di finanza globale e i tre valori base messi in evidenza da questa seconda chiave di lettura del Rapporto. L’intensità della loro luce non è, comunque, condizione sufficiente a illuminare il cammino verso un grado di maturità di scelte e di civiltà finanziaria che pongano l’Italia alla pari dei principali competitors europei.
Occorre, infatti, un serio impegno istituzionale di sistema che vada al di là delle espressioni di volontà dei singoli, affiancandone gli intenti e gli sforzi a proseguire un cammino probante e irto di difficoltà. Alla classe politica italiana tocca, quindi, l’arduo compito di trarre le dovute conseguenze dall’analisi dei punti di forza e di debolezza del mercato del risparmio per elaborare un modello di sviluppo civile ed economico solido e duraturo per la società italiana di questa prima parte del secolo XXI.

 

   
   
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