Giugno 2008

Il nuovo mostro

Indietro
Agflazione
Mario Deaglio Docente Università di Torino
 
 

 

 

 

 

 

Con l’Opec del grano, dobbiamo
prepararci
a un futuro in cui
i generi alimentari costeranno più
cari: finisce il cibo a buon mercato.

 

In economia, è difficile che i mali vengano da soli. Con fatica ci eravamo abituati all’idea che gli Stati Uniti potessero andare in recessione, ed ecco comparire la stagflazione, terribile mescolanza di inflazione e di stagnazione.
Non basta, però; perché è arrivata l’agflazione, ossia l’inflazione derivante dal settore agricolo, che tocca soprattutto i cereali e che ha ingaggiato una nobile gara con il petrolio a chi destabilizza di più il nostro modo di vita: l’indice dell’Economist, espresso in dollari, mostra che il prezzo medio (all’ingrosso) delle materie prime alimentari è cresciuto del 61 per cento negli ultimi dodici mesi, contro un aumento del prezzo del petrolio, sempre in dollari, di gran lunga superiore a quella percentuale.
Accanto alle preoccupazioni a lungo termine per le riserve petrolifere, occorre collocare così anche le preoccupazioni per le scorte dei cereali (in particolare frumento, mais e soia): non è sicuramente un buon segno che la Fao, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di agricoltura, di alimentazione e di sussidi contro le carestie, abbia deciso di razionare gli aiuti ai 37 Paesi che attualmente soffrono una crisi alimentare.
A differenza di quanto succede al petrolio, però, l’aumento dei prezzi dei cereali deriva prima di tutto da un fatto positivo: alcuni miliardi di esseri umani oggi mangiano meglio e di più. Gli incrementi sono sensibili soprattutto in Cina e nell’Asia sud-orientale, e derivano non già dall’insuccesso bensì dal successo di politiche economiche e industriali che riguardano quasi la metà della popolazione del pianeta.
All’aumento della domanda alimentare di chi esce dal reddito di sopravvivenza si deve aggiungere poi l’aumento della popolazione: quasi 70 milioni di persone all’anno, ossia più dell’equivalente della popolazione italiana.

Accanto all’aumento di domanda, negli ultimi anni è intervenuta una certa riduzione dell’offerta, in quanto una parte dei terreni tradizionalmente coltivata a cereali per l’alimentazione è stata convertita alla coltivazione di cereali destinati alla produzione di biocarburanti. Infine, non vanno trascurate le instabilità climatiche che hanno colpito soprattutto l’Australia, con siccità “bibliche” negli ultimi due anni, e più recentemente in Cina, con nevicate e gelate senza uguali negli ultimi cinquant’anni, che hanno compromesso i raccolti del 2008.
Spesso non ci rendiamo conto che il prezzo dei cereali è la chiave di volta del prezzo di gran parte dell’alimentazione: non influenza, infatti, soltanto la farina, e quindi il pane e la pasta. I cereali sono anche l’elemento-base per la preparazione dei mangimi di cui si nutrono alcuni miliardi di capi di bestiame allevati. Con il nutrimento più caro, diventa più costosa anche la carne di ogni genere, dai bovini fino ai polli; e di qui l’aumento dei prezzi si estende alla filiera del latte, e comprende il burro, i formaggi e le uova. Insomma, quasi tutta la nostra alimentazione ne è toccata.
Non si tratta tanto di cercare colpe, come fanno allegramente i mezzi di informazione, attribuendole largamente al settore commerciale, bensì di individuare rimedi. E soprattutto di domandarsi se l’attuale economia di mercato disponga di meccanismi sufficienti per fornire i cereali aggiuntivi. E la risposta è positiva, con qualche riserva, nel breve periodo; ma è molto più incerta nel periodo medio-lungo.
Nel breve periodo, infatti, con l’unica incognita del clima, nulla vieta di cambiare in favore dei cereali, divenuti più redditizi, il mix produttivo degli agricoltori di tutto il mondo. Questi cambiamenti sono già in corso e quest’anno ci potrebbe essere un aumento della produzione intorno al 6 per cento, una crescita eccezionale per questo genere di mercato; un simile movimento sarà indubbiamente favorito dall’eliminazione dei residui limiti alla coltivazione dei cereali nei Paesi più ricchi, imposti in passato da autorità che temevano il fenomeno contrario, ossia che il prezzo risultasse troppo basso e quindi – direttamente o indirettamente – favorivano la conversione dei cereali ad altre coltivazioni.
Non si possono, tuttavia, escludere nuove situazioni di difficoltà grave in singoli Paesi nel corso dei prossimi mesi, con impennate dei prezzi che daranno luogo a varie forme di controllo che hanno già determinato ostacoli all’esportazione: nel timore di non averne abbastanza per il proprio mercato interno, India, Cina, Russia, Argentina e Kazakhstan hanno introdotto, o aumentato, le imposte sulle esportazioni dei cereali, e l’Ucraina ha addirittura sospeso le esportazioni. Nei Paesi più poveri e con un forte deficit alimentare le difficoltà si potrebbero tradurre in razionamenti.
Nel medio-lungo periodo, però, occorre domandarsi se la reazione spontanea dei mercati possa risultare sufficiente, di fronte a una domanda che non smetterà di aumentare fortemente. È possibile che, per soddisfare la prossima crescita di domanda, sia indispensabile passare a varietà di cereali con rese ancora maggiori di quelle attuali; tali varietà sono, nella grande maggioranza, del tipo ogm (organismi geneticamente modificati), e si apre così un ulteriore grave dilemma, che non coinvolge soltanto situazioni di mercato, ma anche convinzioni di tipo etico.
La seconda difficoltà è data dal comportamento dei principali Paesi produttori ed esportatori, i quali sono fortemente tentati di concertare la loro azione sui mercati, creando una “Opec del grano”, come l’ha definita la Russia, quinto esportatore mondiale. I produttori tenderanno, cioè, a garantirsi il consolidamento e l’ulteriore crescita dei prezzi ora raggiunti.
Dobbiamo quindi prepararci a un futuro in cui i generi alimentari costeranno più cari: finisce, come ha osservato di recente l’Economist, «il cibo a buon mercato». Il cibo a buon mercato, però, era direttamente collegato alla democrazia: gli americani che giunsero in Italia nella Seconda guerra mondiale portarono libere elezioni e milioni di tonnellate di farina in regalo per alcuni anni.
In Italia, naturalmente, la democrazia si è consolidata: ma che cosa succederà in altri Paesi, soprattutto in quelli dove l’esperienza di cibo a buon mercato e di democrazia è molto più recente? Se la farina diventerà più cara, ci saranno ancora elezioni libere?

 

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2008