Giugno 2008

La forza della ricerca

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Disco verde alla curiosità
Theodor W. Hänsch Premio Nobel per la Fisica
 
 

 

 

 

È d’importanza
vitale offrire ai
nostri ricercatori migliori e più creativi la libertà di seguire la
propria curiosità
e il proprio istinto.

 

L’Europa è un buon posto dove fare ricerca. E vincere un Premio Nobel è un motivo sufficientemente valido per riflettere sull’importanza dell’istruzione, dell’eccellenza, della creatività e dell’innovazione per l’ambiente imprenditoriale nel quale ci troviamo ad agire.
Io sono fondamentalmente un ricercatore puro, ma mi piace anche inventare e mettere alla prova ognuna delle scoperte che faccio nel corso delle mie ricerche, per vedere se potrebbero avere qualche applicazione pratica. D’altra parte, il futuro delle moderne nazioni industriali non può consistere nel produrre frigoriferi e lavatrici. Abbiamo bisogno di nuove idee, coraggio e capitali di ventura. Le nostre Università devono tornare a consentire ai talenti migliori di favorire la propria creatività e prendere l’iniziativa per realizzare scoperte rivoluzionarie. I giovani studenti e i giovani ricercatori devono poter avere le migliori opportunità, proprio come le ho avute io negli Stati Uniti.
L’odierna economia globalizzata può essere paragonata al mondo dello sport: soltanto il migliore può vincere. In un contesto simile, le menti creative e innovative diventano più importanti del capitale. Questo spiega perché da tempo infuri una lotta all’ultimo sangue per aggiudicarsi gli elementi più brillanti.

Purtroppo, in Europa produciamo un numero troppo basso di ingegneri e di scienziati. E non siamo sufficientemente attraenti per i migliori da garantirci di poter rimanere nelle prime posizioni in futuro. In questo momento, in Germania, ci sono migliaia di posti di ingegneri vacanti perché non ci sono persone abbastanza qualificate per ricoprirli. Sono cifre che cresceranno drammaticamente negli anni a venire.

Le Università di élite americane non hanno alcun problema ad attirare i migliori talenti europei, potendo offrire salari di gran lunga superiori ai nostri. Un ulteriore incentivo a varcare l’oceano è dato dalla libertà dall’opprimente intreccio di lacci e regolamenti burocratici che tanto spesso soffoca la creatività e l’iniziativa, dalle nostre parti.
Tuttavia, in diversi Paesi europei le cose stanno cominciando a cambiare in modo radicale. Siamo finalmente consapevoli dell’importanza di creare almeno una manciata di Università d’eccellenza, capaci di tener testa alla concorrenza internazionale. Università nelle quali individui dotati e disposti a darsi da fare possano sentirsi a loro agio. Università i cui diplomati possano sentirsi a tal punto orgogliosi dei propri risultati accademici da elargire in seguito donazioni private a supporto della loro alma mater.
Infatti, mentre le nostre Università tornano a chiedere ricerca e insegnamento di alto livello, i fondi a disposizione non sono neanche lontanamente sufficienti a trasformarle in una Harvard o in una Stanford. Le grandi Università americane si appoggiano a Fondazioni gigantesche, e spendono per ogni studente dieci volte di più di quello che spendiamo noi, condizionati come siamo da anni di tagli alle spese e di aumento del numero degli studenti.
La gente spesso mi chiede perché, dopo sedici anni in California, abbia rinunciato alla mia cattedra a Stanford e sia tornato in Germania. La ragione principale è che sono stato nominato direttore dell’Istituto Max Plance per l’ottica quantistica, centro che nel campo della ricerca pura gode di una posizione di primo piano a livello mondiale. A Stanford la vita era scandita da libertà, competizione e gioia del risultato. Garantire ricerche di altissimo livello era il solo modo per attirare i colossali finanziamenti necessari per coprire le spese generali dell’Università, portando dunque un contributo vitale al budget dell’ateneo. Allo stesso modo, un insegnamento di altissimo livello era il solo modo per giustificare le rette elevatissime a carico degli studenti. Solo un numero molto ridotto dei migliori studenti del Paese veniva ammesso al nostro programma di dottorato. Perfezionare idee vecchie non interessava: quello che voleva la gente erano idee rivoluzionarie, idee capaci, potenzialmente, di innescare veri e propri mutamenti di paradigma.
E nonostante tutto questo, c’era un ampio spazio per un’infantile giocosità e per ricerche stimolate dalla pura e semplice curiosità. Durante le sue spiritose conferenze pubbliche, Arthur Schawlow (vincitore del Nobel per la Fisica nel 1981) amava tirar fuori una pistola laser in plastica colorata, dove il suo tecnico aveva inserito un vero laser, azionato da una lampada per i flash. Poi gonfiava un palloncino trasparente, all’interno del quale ne appariva un secondo, azzurro e a forma di Topolino. «È terribile, non è vero? I topi si infilano dappertutto», scherzava Schawlow. Poi premeva il grilletto: si vedeva un lampo di luce rossa, e il palloncino interno esplodeva con uno schiocco sonoro, mentre il palloncino esterno, quello trasparente, rimaneva intatto.

È un esperimento che dimostra che il laser trasforma la luce in qualcosa che oltre a poter vedere possiamo utilizzare, e utilizzare in posti che non possiamo toccare, come la retina dell’occhio. Le operazioni con il laser, da allora, hanno salvato innumerevoli pazienti dalla cecità provocata dal distacco della retina. Schawlow spiegò in seguito che quando inventò il laser non aveva mai nemmeno sentito parlare di questa malattia dell’occhio. E se avesse cercato di trovare una cura, certo non si sarebbe preoccupato di andare a studiare l’emissione fotonica stimolata, considerata all’epoca un fenomeno piuttosto arcano.
Pur con tutte le tentazioni commerciali, la ricerca pura – la scoperta di conoscenze nuove – deve rimanere in cima alla lista delle priorità per qualsiasi Università di ricerca. La ricerca pura ci offre una comprensione più chiara del mondo e ci aiuta ad affrontare meglio tutti i problemi che la vita ci mette di fronte. La ricerca scientifica getta i semi delle tecnologie del futuro e allena menti giovani e curiose ad esplorare e conquistare il nuovo e l’ignoto.
Tutti noi possiamo citare una serie di problemi pressanti che necessitano di una soluzione: fermare i cambiamenti climatici, ad esempio, attingere a nuove fonti di energia, prevenire e curare le malattie, creare nuovi materiali…
A volte, però, concentrare la ricerca unicamente sulla soluzione di un problema specifico può non essere una buona idea. In molti casi, le conoscenze e gli strumenti esistenti non saranno mai in grado di gestire le sfide direttamente. Grandi quantità di finanziamenti per la ricerca in passato sono state sperperate semplicemente perché indirizzate su obiettivi troppo ristretti e limitati.
Alcuni anni fa, l’opinione pubblica americana guardava con sufficienza alla pratica nota come curiosity-driven research, vale a dire la ricerca determinata dalla curiosità di sapere. Ora, però, i ricercatori sono tornati mestamente a fare affidamento su questa forza che da tempi immemorabili fa da traino all’evoluzione umana.
È d’importanza vitale offrire ai nostri ricercatori migliori e più creativi la libertà di seguire la propria curiosità e il proprio istinto. E allo stesso modo, è necessario dedicare molta più attenzione a coltivare e incoraggiare nelle nostre scuole la naturale curiosità dei giovani. Sarà percorrendo questa strada, molto probabilmente, che l’Europa potrà veder brillare con molta più forza la luce dell’innovazione.

 

   
   
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