Giugno 2008

Il mondo a quattro strati

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Le sfide e gli attori
Di. Mab. Psicologo israeliano, Premio Nobel per l’Economia
 
 

 

 

 

Le decisioni
sui nostri futuri
consumi spesso non tengono conto dell’eventualità che i nostri gusti in futuro possano cambiare.

 

La divisione del mondo tra un Nord ricco e un Sud povero è stata per lungo tempo un assioma per economisti e uomini di governo. Dagli anni Cinquanta agli Ottanta del secolo scorso, al Nord c’era l’80 per cento del Pil globale, ma meno di un quarto della popolazione. Per il Sud, cifre invertite. Uno schema che ora è diventato obsoleto. Il processo dinamico della globalizzazione ha generato livelli mai visti di sviluppo e di interdipendenza. Ma se non ha più senso la vecchia separazione, altre ne sono emerse, al punto che oggi il mondo appare suddiviso in quattro aree comunicanti.
La prima comprende Stati Uniti, Europa, Canada, Giappone e Australia, con una parte del Sud-Est asiatico, con circa un miliardo di persone, e con un reddito pro-capite che va dai 79mila dollari del Lussemburgo ai 16mila della Corea del Sud. Per decenni, questi Paesi hanno dominato l’economia mondiale, ma in questi ultimi anni la loro supremazia appare minacciata da un secondo gruppo di economie.

Questi Paesi emergenti – chiamiamoli i “Globalizzati” – sono un secondo gruppo a reddito medio-basso, incluse Cina e India, con una crescita del reddito pro-capite del 3,5 per cento medio annuo e tre miliardi e 200 milioni di abitanti, pari a circa la metà della popolazione mondiale. I loro tassi di espansione economica sono talmente sostenuti, da metterli nelle condizioni di sostituire i tradizionali Paesi ricchi come vero motore dell’economia mondiale. I Globalizzati sono Paesi con caratteristiche di partenza molto diverse – per dimensioni, geografia, storia, cultura – ma uniti dalla capacità di essersi pienamente integrati nell’economia planetaria e di saper usare la globalizzazione come leva per potenziare il loro sviluppo.
Un terzo gruppo è formato da una cinquantina di Paesi a medio reddito, con un miliardo 100 milioni di abitanti, che controllano buona parte delle risorse naturali cruciali per la crescita mondiale, tra cui il 60 per cento delle riserve petrolifere. Si tratta di nazioni che vivono sostanzialmente di rendita, ma che non sono state in grado di trasformare le rendite derivanti dalle loro ricchezze in un’espansione economica dinamica.
L’ultimo gruppo è quello degli Stati più poveri, con poco più di un miliardo di abitanti, per la maggior parte dislocati nell’Africa subsahariana. Le loro economie sono in ristagno o in declino, isolate dalla globalizzazione e con serissimi problemi di sviluppo.

Il nuovo mondo a quattro strati presenta tre sfide-chiave. Innanzitutto, l’urgenza di intensificare gli sforzi per far sì che il quarto gruppo non resti così tanto indietro. Questo significa sostanzialmente nuove politiche economiche e aiuti che siano nello stesso tempo più generosi e più efficaci.
Consideriamo che gli aiuti allo sviluppo sono certamente saliti, raggiungendo 107 miliardi di dollari l’anno (ultimi dati, 2005), ma che gran parte dell’aumento è dovuto a situazioni specifiche, come il condono del debito all’Iraq e all’Afghanistan. Gli aiuti allo sviluppo per l’Africa, invece, sono scesi da 49 dollari pro-capite nel 1980 a 38 dollari nel 2005. Le vere necessità per l’avanzamento dei Paesi arretrati in realtà non vengono affrontate, nonostante la conclamata retorica della crescita degli aiuti.
In secondo luogo, le grandi potenze tradizionali devono far posto all’avanzata dei Globalizzati, a cominciare dalla Cina e dall’India, riformando l’ordine internazionale. I Paesi ricchi continueranno ad avere un ruolo centrale, ma il potere economico sempre più influente dei Globalizzati dovrà essere accompagnato da una maggiore voce in capitolo nelle grandi questioni politiche. Molti dei Paesi leader sembrano impreparati a questa sfida, che comunque deve essere affrontata in tempi brevissimi.
Infine, anche se i Globalizzati hanno fatto uscire milioni di persone dalla povertà, questo non si è tradotto in una maggiore uguaglianza nel mondo, perché proprio nelle “star” come la Cina e l’India la maggiore ricchezza ha fatto aumentare anche le disuguaglianze. Che si tratti delle regioni costiere rispetto a quelle interne, oppure delle città rispetto alle aree rurali, questi Paesi devono necessariamente risolvere le crescenti disparità sociali, se non vogliono correre il rischio – reale e non teorico – di vedere frenata la loro espansione economica.
Se l’obiettivo generale è quello di rendere il mondo più equo, allora le tradizionali leve dello sviluppo come il commercio, gli investimenti, gli aiuti, l’immigrazione dovranno essere rafforzate in modo esteso e coerente, riformando le istituzioni multilaterali.
In questo modo si contribuirà a migliorare la capacità di affrontare le sfide globali e le prospettive di costruzione di un mondo più giusto. Altrimenti, si dovrà dire addio alle vecchie divisioni soltanto per averne di nuove.

 

   
   
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