Marzo 2008

Frontiere del sud
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Aspettando la rivoluzione
B.S. - D.M.B.
 
 

 

 

 

Ma la politica
nazionale saprà fare la propria parte cruciale,
rinunciando alla tentazione del
vecchio scambio politico?

 

Si parla un giorno sì e l’altro pure di “modernizzazione del Paese”, con promesse rinnovate a getto continuo, senza che sia mai sciolto il nodo gordiano che attanaglia l’Italia, cioè il nodo della “liberazione del Sud”, preliminare allo sviluppo del territorio meridionale italiano che ancora oggi rappresenta la più estesa area depressa dell’Unione europea.
Che dal Mezzogiorno sia necessario partire per bonificare il Paese ce lo ricorda in particolare la Commissione Parlamentare Antimafia, riferendosi al fenomeno della ‘ndrangheta in Calabria, con una relazione approvata all’unanimità. A leggerla, si rimane agghiacciati. L’economia della regione quasi del tutto in pugno alle cosiddette ‘ndrine, dal moderno porto per containers di Gioia Tauro agli infiniti lavori e appalti dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria.
In una parola, tutte le opere pubbliche sono controllate dai cartelli del crimine; i finanziamenti europei sono largamente condizionati; il buco nero della sanità è un gigantesco business, in nome del quale si può uccidere (omicidio Fortugno), basato sul degrado delle strutture pubbliche e il controllo delle cliniche private, finanziate con i soldi di tutti. Come dimostrano anche indagini giudiziarie in corso, la politica è debole e trasversalmente infiltrata dal crimine organizzato, e il trasformismo è pratica diffusa. Ma la Commissione lamenta anche il silenzio del mondo imprenditoriale sulle pratiche estorsive.
Si dirà che la Calabria è un caso estremo. E lo è. Ma fenomeni dello stesso tipo sono diffusi anche in due grandi e popolose regioni come la Campania e la Sicilia, e registrano metastasi ricorrenti in diverse aree della stessa Puglia. Per un esempio sotto i nostri occhi, basta ricordare la degradante vicenda dei rifiuti. Una classe politica, alla quale erano state affidate molte speranze di rinnovamento, ha fatto affondare la società nella spazzatura, essendo incapace di risolvere il problema e di evitare il controllo della camorra sul grande “affare rifiuti”.

E la camorra si fa gioco dell’irresponsabile fondamentalismo verde e del pazzesco comportamento di sindaci e parroci culturalmente arretrati e luddisticamente ingaggiati, sempre mobilitati per il no. Per tacere, poi, del solito buco della sanità e delle opere pubbliche. Anche in questi delicati e rilevanti settori la società civile è quanto mai silente.
E un quadro altrettanto scoraggiante emerge dalla Sicilia. Una recente indagine della Fondazione Rocco Chinnici ha stimato in almeno un miliardo di euro il valore medio annuo del “pizzo” estorto alle imprese dell’isola tra il 2002 e il 2006. Quasi tutti pagano (70-80 per cento delle imprese), con tariffe graduate a seconda del settore (per un super-store, anche 27.000 euro al mese!). Ma almeno qui gli imprenditori stanno facendo sentire la propria voce.

Occorre riconoscere che le classi politiche locali e regionali, al di là degli schieramenti, non ce la fanno da sole. Ci vuole un aiuto dal Centro, cioè dal Governo. Ma nella storia del Mezzogiorno è stato sempre difficile per la classe politica nazionale rinunciare allo scambio tra la massa di consensi portati dal Sud e la mano libera lasciata alla politica locale sull’uso delle risorse pubbliche. È questa la torbidissima acqua che alimenta clientelismo, corruzione e criminalità.
Non si può governare il Mezzogiorno senza una migliore politica locale. È stato scritto che occorrerebbe una sorta di “Maastricht per i governi locali”, che avrebbe un impatto forte sul Sud: per portare avanti un federalismo coerente che responsabilizzi la classe politica locale per il reperimento fiscale delle risorse; per legare poi l’inevitabile quota di redistribuzione a valori definiti a livello nazionale da un’agenzia indipendente per il costo e l’efficienza dei servizi, con premi e sanzioni; ma anche per ridurre drasticamente la manomorta della politica sulla sanità e sui servizi pubblici locali, per eliminare le Province e per disboscare la selva delle società partecipate.
E si è aggiunto che una particolare Maastricht per il Sud ci vorrebbe poi per l’uso dei fondi europei (100 miliardi di euro per i prossimi sette anni). Qui si tratterebbe di frenare la deriva dissipatrice in mille rivoli di queste risorse da parte delle Regioni. Per rafforzare il ruolo di indirizzo, di valutazione e di controllo dal Centro; per convogliare i fondi in pochi grandi assi, quali l’ordine pubblico e la lotta alla criminalità organizzata, le infrastrutture essenziali (materiali e immateriali) e lo sviluppo delle città. E anche in questo caso, non dare a tutti a pie’ di lista, ma innescare una concorrenza efficace tra territori con premi e sanzioni per favorire la buona progettualità e l’emergenza di una diffusa classe politica locale più responsabile.
Le forze sociali, a far luogo dal mondo imprenditoriale e del lavoro, potrebbero fare molto dal Centro: rinunciare a incentivi e trasferimenti – inutili per l’innovazione e fonte di corruzione – a favore di nuovi e più efficaci forme di produzione di beni collettivi; impegnarsi di più nella formazione di una coscienza civica adeguata tra i propri rappresentati e in azioni più coerenti ed esigenti di stimolo e controllo nei riguardi delle classi politiche locali. Ma la politica nazionale saprà fare la propria parte cruciale, rinunciando alla tentazione del vecchio scambio politico? Cioè: ci sarà mai una radicale rivoluzione pacifica e risolutrice per l’annoso (e del tutto dimenticato) coacervo di problemi del Sud?

 

   
   
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