Marzo 2008

Prospettive
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Pericolo contagio
Mario Deaglio
Docente Politecnico di Torino
 
 

 

 

 

 

 

È necessario uno “scatto politico”
a livello mondiale, europeo e dei
singoli Paesi. Senza questo scatto, è
sconsolatamente facile prevedere un’economia
mondiale alla
deriva.

 

Un giorno le Borse europee e asiatiche potrebbero correggere un poco i pessimi risultati del giorno precedente, ma una vera inversione di tendenza pare più una chimera che una speranza fondata.
Le cadute dei listini, che si susseguono dall’inizio dell’anno a ritmo sempre più intenso e accelerato, sono il risultato di una crisi del sistema. In discussione ci sono almeno tre punti fermi che riguardano la struttura entro la quale si sono mosse le varie componenti dell’economia mondiale da almeno vent’anni e in alcuni caso da almeno mezzo secolo.

Il primo punto posto in discussione è la capacità del dollaro di continuare ad essere il solo punto di riferimento di un sistema finanziario mondiale sempre più variegato e articolato (e che del dollaro fa un uso ancora prevalente, ma sicuramente decrescente); il secondo è la capacità dell’economia americana di fare ancora da traino all’economia mondiale, dal momento che, nell’ultimo quinquennio, più della metà della produzione aggiuntiva del pianeta proviene dall’Asia orientale e sud-orientale, e meno di un quinto dagli Stati Uniti; il terzo punto è l’effettiva possibilità dei mercati finanziari di operare scelte economiche efficienti, di essere, come vogliono i sostenitori più accaniti dei loro meriti, il principale o unico meccanismo regolatore dell’economia del pianeta.
Questi interrogativi di lungo periodo costituiscono lo sfondo contro cui si staglia la recessione dell’economia degli Stati Uniti, ormai pressoché inevitabile, anche perché affrontata troppo tardi, e con mezzi inadeguati, dal governo di quel Paese. Si può però forse ancora evitare che questo pilastro, con il suo indebolimento, faccia franare come un castello di carte il complesso dell’economia mondiale; bisogna far sì che la probabile contrazione dell’economia americana non provochi da un lato l’arresto dell’espansione della Germania, il Paese europeo che maggiormente dipende dal mercato americano – esportando così la recessione all’Europa – e dall’altro freni sensibilmente le economie asiatiche, mettendo in ginocchio la crescita mondiale.
Per quanto riguarda l’Italia, è appena il caso di ricordare che, proprio nel giorno in cui sembrava essersi sfaldata la maggioranza del governo di centro-sinistra, la caduta delle Borse ha sfaldato l’impianto di base della legge finanziaria, allora ancora fresca d’inchiostro; già autorevoli proiezioni avevano ridimensionato la crescita prevista dell’economia italiana, ora sappiamo che potrebbe non crescere affatto. Minore crescita significa gettito fiscale inferiore al previsto, e per conseguenza, necessità di modificare l’intero assetto dei conti pubblici. Queste modifiche dovrebbero, peraltro, essere effettuate nel generale interesse del Paese e c’è da sperare che facciano premio sui giochi politici.
Per l’Italia e per l’Europa, il tempo per far qualcosa si misura in pochi mesi – probabilmente da tre a sei – dopo di che la recessione potrebbe installarsi in tutte le maggiori economie del mondo e rimanervi non si sa per quanto.

In queste condizioni non aiuta il proposito della Banca centrale europea di essere pronta ad alzare il costo del denaro, mentre l’esigenza di evitare una recessione consiglierebbe di abbassarlo, anche in presenza di un’inflazione importata. La Banca centrale europea guarda con attenzione ossessiva all’albero dell’inflazione e non si accorge che tutta la foresta è in movimento. Fa onestamente il proprio mestiere di governo dei flussi monetari, ma non sta mostrando vere doti di leadership (che non le competono, ma sarebbero necessarie in questi frangenti).
Le cose, insomma, non si aggiusteranno tanto facilmente da sé, come credono molti ottimisti di professione. È invece necessario uno “scatto politico” a livello mondiale, europeo e dei singoli Paesi. Senza questo scatto, è sconsolatamente facile prevedere un’economia mondiale alla deriva.

 

   
   
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