Dicembre 2007

La capitale morale d’italia

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Milano bella da scoprire
Egidio Sterpa
 
 

 

 

 

 

Altroché se è
bella Milano, quando il cielo
è manzoniano
e da una finestra alta sui tetti vedi
il Monte Rosa
e la chiostra delle Alpi.

 

Chi dice che Milano non è città da godere? Quel che c’è da vedere e trarne piacere non è davvero poco a Milano. Non ci sono solo il Duomo, la Scala, il Castello Sforzesco, Sant’Ambrogio, Sant’Eustorgio e cento altri monumenti. Non è soltanto la città degli affari e della moda. Ben altro c’è di gran valore culturale, artistico, e anche ambientale.
Non sono milanese doc, come almeno i quattro quinti dei cittadini ambrosiani, ma vivo da più di quarant’anni a Milano.

La milanesità l’ho vissuta intensamente, è diventata parte di me. Perché Milano ti cattura e persino ti plasma, ha una capacità incomparabile di assorbire e amalgamare, imprimendo in chi viene a viverci i suoi caratteri. È un meraviglioso crogiolo, luogo d’incontro e fusione come nessun altro.
Di questa città ho assimilato umori, sensibilità, valori, modi di pensare e di vivere. Per scelta, oltre che per quotidiana pratica di vita. Quarant’anni di esistenza nei giornali ambrosiani (Corriere della Sera, Corriere Lombardo, Il Giornale), di frequentazioni del mondo intellettuale (qualche nome: Montanelli, Piovene, Buzzati, Spadolini, Rumi, Veronesi), di quello accademico (Lazzati, Finzi, Bausola, Monti, quattro magnifici rettori e non pochi altri cattedratici), di tante intelligenze dei diversi settori (ne cito alcuni, come mi vengono in mente: prìncipi della Chiesa come Montini e Giovanni Colombo, editori come Bompiani, Mondadori, Rizzoli, artisti come Messina, uomini di teatro come Remigio Paone, uomini del creare e del fare come Du Chène de Vère, Confalonieri, Romiti, politici e amministratori come Bucalossi, Malagodi, Martora, Tognoli, Albertini), insomma, dopo tanti incontri, relazioni, contatti, contiguità, amicizie, alcuni tutt’altro che episodici, la milanesità m’è entrata nei sentimenti, quasi nelle vertebre.


Conosco di Milano, soprattutto del suo cuore storico, ogni strada, ogni palazzo, ogni angolo. Me la sono goduta, per esempio, nelle settimane d’agosto, ch’è il periodo migliore per apprezzarne la bellezza. Sì, la bellezza. Quando la città è quasi vuota non c’è niente di più piacevole che andarsene dentro la vecchia Milano a passeggio, cercando l’ombra di quelle strade strette ai fianchi di via Manzoni, Montenapoleone, via Sant’Andrea, via Bigli, dalle parti di Brera, via Fiori Chiari, Fiori Oscuri, o verso piazza San Sepolcro, via Cappuccio, via Sant’Orsola, piazza Mentana, luoghi alteri della Milano aristocratica e borghese, o verso Sant’Ambrogio e l’ex convento bramantesco dove Padre Gemelli portò l’Università Cattolica.
Il silenzio e la solitudine aiutano a scoprire i pregi di un’urbanistica e di un’architettura che sono uniche, con quegli antichi palazzi che contengono splendidi cortili con mirabili giardini e raccontano la storia della città. È la Milano che piacque a Stendhal e catturò persino quel difficile di Montale, poeta ligure malmostoso, che, sentendosi quasi in esilio nella sua via Bigli, arrivò a dire che Milano si può amare dimenticando che ci si vive per lavorare.
Ma sì, Milano è anche bella, oltre ad essere terra di lavoro. Umberto Saba, poeta triestino, le ha dedicato queste parole: «Fra le tue pietre e le tue nebbie faccio villeggiatura. Mi riposo in Piazza Duomo». Ad un altro poeta, il romano Giorgio Vigolo, piaceva «il rigido cielo grigio come un liquore forte, un’acquavite che morde». Nei Promessi Sposi del Manzoni c’è una massima magnifica: «Quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace». Altroché se è bella Milano, quando il cielo è manzoniano e da una finestra alta sui tetti vedi il Monte Rosa e la chiostra delle Alpi. Splende in tutta la sua storica bellezza la città, con quella grande, meravigliosa natura che le fa da cornice.

A me, venuto da Roma tant’anni fa, è capitato più volte quel che, con la sua tipica poeticità padana, scrisse Cesare Zavattini: «Milano è quando monto sul treno a Termini, pregusto il gesto che farò nell’avvolgermi meglio intorno al collo la sciarpa di cachemire sul piazzale dei tram».
Una città di «eleganza straordinaria», l’ha definita Gae Aulenti, grande architetto e persona di squisita cultura: «Città fatta – aggiunge – di un ordine naturale, perché si capisce che le cose si voleva farle belle e durature». Una piccola-grande metropoli con sette Università, chiese dov’è passata la storia, musei, pinacoteche (una per tutte: Brera), teatri, il Conservatorio, biblioteche, librerie grandi e ricche d’ogni titolo, caffè e ristoranti storici, un insieme di ambienti classici e cose preziose che ne testimoniano e ne esaltano storia e cultura.
Una città con una vitalità e uno spirito ineguagliabili. Con un grado di eticità, oltre che di operosità, intraprendenza e ingegnosità, certamente superiore ad ogni altra della nostra penisola. Montanelli diceva che alla storia d’Italia rimarrebbe ben poco se le si sottraesse quella di Milano. Indro l’ha amata molto Milano, le era grato per il successo che vi aveva ottenuto. E giustamente Milano l’ha ripagato con quel monumento in bronzo nei giardini di piazza Cavour.
Arbasino, con un’immagine da delicato e distinto scrittore qual è, ha paragonato Milano al “giardino dei ciliegi” di Cechov, «il podere più bello del mondo», che ha fatto innamorare e gola ai “grimpeurs” di tutti i tempi. Non soggiogabile, però. Ci hanno provato in molti, senza riuscirci. È stata sempre Milano a prevalere. Ci provò Bava Beccaris con le cannonate, che al contrario fecero da lievito al socialismo turatiano. Nonostante tutti i tentativi di dominio, Milano non ha mai perduto la sua specificità, la sua fortissima e insoffocabile identità.
Il primato culturale di Milano non è mai venuto meno. Nell’Ottocento c’era il salotto Maffei, frequentato da Manzoni, Cattaneo, Verdi, D’Azeglio, Emilio Praga, Tommaso Grossi, Carlo Tenca, per citarne alcuni. Nel Novecento, e tuttora, questo primato lo hanno presidiato e incarnato i giornali più autorevoli della penisola, editori nobili e solidamente avveniristici, giornalisti e scrittori di valore. Questa città è luogo di passaggio obbligato di artisti, scienziati, intelligenze numerose e varie. La società milanese ha un vigore intellettuale che bisogna viverci per sentirne la fortezza.
Tutte queste qualità e caratteristiche fanno quella che io nel mio Cara Milano chiamo “civiltà ambrosiana”. Che è il complesso degli aspetti culturali, sociali e anche emotivi, spontanei e organizzati, della collettività milanese. Di un lontano discorrere con Guido Piovene, scrittore di alto livello culturale, rammento questo giudizio: «Ogni città esprime una propria distinguibile civiltà. Milano è l’unica città italiana con una sua autentica vocazione europea, che risale addirittura al Settecento, e di quell’epoca conserva gran parte delle ragioni morali». Eccola, appunto, la civiltà ambrosiana.
E una città così, che contiene tanta cultura e una società tanto distinta, non è da godere, da visitare, da vedere, da girare, da ammirare? Ma chi dice che non è città per turisti?

 

   
   
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