Dicembre 2007

Noi e il dollaro

Indietro
Guerre di svalutazioni
B.S.  
 
 

 

 

 

I capitali
torneranno
a correre verso gli Stati Uniti, non appena i mercati avranno fiutato che l’America
sta invertendo
la rotta: ma
quando sarà
questo momento?

 

Gli industriali italiani (e, insieme con loro, quelli europei) protestano vivacemente con la Banca centrale europea perché l’euro è troppo forte. Alcuni governi li seguono anche acriticamente, e ingaggiano una sorta di braccio di ferro con la stessa Banca europea, facendo pressioni perché sia un po’ più permissiva. Il che significa: perché faccia scendere la moneta europea rispetto a quella americana. Ebbene, possiamo sbagliarci, ma siamo convinti che tutti, industriali e governi, dovranno aspettare abbastanza a lungo. Anzi, non è del tutto escluso che l’euro vada ancora più su. Ci sono specialisti del settore i quali sono disposti a giurare che, avendo la divisa europea “rotto” la magica soglia di 1,40 rispetto alla valuta americana, è ormai proiettata inesorabilmente verso quote ancora più elevate. Per esempio, prima o poi, anche verso quota 1,43. Dove poi, se la cosa può essere in qualche modo consolante, dovrebbe fermarsi. Ma non è proprio detto.
Gli industriali italiani ed europei dovranno convivere per molti mesi con un dollaro debole, e di conseguenza è meglio che ci facciano subito l’abitudine, invece di sognare una guerra a colpi di svalutazioni competitive fra gli Stati Uniti e l’Europa comunitaria. Cose del genere si verificavano ai tempi della lira (e abbiamo anche esagerato). Ma quella stagione si deve ritenere ormai definitivamente tramontata.

I motivi che inducono a ritenere che non ci sarà una guerra di svalutazioni competitive fra le due sponde dell’Atlantico sono numerosi. Fra i più importanti c’è il fatto che gli Stati Uniti, ad esempio, si trovano ad essere il centro della crisi dei prestiti subprime. Hanno fatto davvero molto male a lasciarla crescere, ma a questo punto possono soltanto cercare di gestirla senza danni, o con i minori danni possibili. E la strada più semplice per raggiungere questo obiettivo sembra essere quella di tenere bassi i tassi di interesse e di lasciare che il dollaro perda colpi rispetto all’euro.
D’altra parte, un giorno sì e uno no si legge che gli Stati Uniti sono avviati verso la recessione. Con ogni probabilità non è vero, ma sui mercati sono in molti a crederci. E nessuno al mondo può far risalire la moneta di un Paese che è ritenuto essere a pochi passi dal crepaccio della recessione. Ovviamente, neanche la Banca centrale europea.
Ma non si tratta soltanto di questo. Al di là delle ipotesi sulla recessione prossima ventura, rimane sicuramente il fatto che negli Stati Uniti è in corso (e non da oggi) una spaventosa frenata dell’economia. Nel 2004, cioè appena tre anni fa, l’America aveva conosciuto una crescita del proprio Prodotto interno lordo pari al 3,6 per cento: esattamente il doppio della crescita che in quello stesso anno aveva fatto registrare l’area dell’euro (1,8 per cento). Le proiezioni più aggiornate del 2007 dicono che gli Stati Uniti cresceranno a stento del 2 per cento, contro il 2,6 per cento dell’area euro.
Se all’interno di un’economia che in pratica sta correndo verso la crescita zero ci si mette anche la crisi bancaria-finanziaria dei prestiti subprime (con il relativo blocco delle varie operazioni di private equità, di acquisizione e di fusione, e via dicendo), è facile vedere che il rischio di finire senza scampo in recessione è molto forte (e questo infatti è oggi l’argomento-principe utilizzato dai “secessionisti”).
Ma tutto questo spiega anche perché nel giro di pochissimo tempo la Banca centrale americana, la Federal Reserve, sia passata dalla decisione di alzare progressivamente i tassi di interesse a quella di tagliare in maniera drastica il costo del denaro. E perché lasci intendere che potrebbero esserci ulteriori aggiustamenti, con nuovi tagli.
Pochissimi lo hanno notato, ma la risoluzione con la quale la Federal Reserve ha tagliato il costo del denaro di parecchi basis point è stata presa all’unanimità. E questo sebbene nel Comitato della Banca centrale americana siano presenti dei “duri e puri” che fino a qualche tempo fa soltanto avevano giurato che mai e poi mai avrebbero dato il proprio consenso al taglio del costo del denaro.
La verità, molto semplice, è che nessuno al di là dell’Atlantico vuole la recessione. E di conseguenza si andrà avanti così. Si taglieranno altri basis point e poi ci si metterà a studiare l’economia. Se ci si accorgerà che tutto questo non è stato ancora sufficiente, entro la primavera del 2008 la Federal Reserve è pronta a tagliare altri 50 basis point.
In ultima analisi, la decisione degli americani è che la loro economia deve ripartire, anche a costo di prenderla a spintoni. E la strada maestra per riuscire nell’impresa è appunto quella di tanto denaro a buon mercato e di un dollaro debole. Ecco perché l’Europa deve rassegnarsi. Impegnarsi in una guerra di svalutazioni competitive contro l’economia e contro la moneta più forti del mondo non avrebbe alcun senso e potrebbe procurare un’infinità di guai.
Ma allora, fino a quando gli europei saranno costretti a subire la concorrenza “sleale” del dollaro debole? La risposta è abbastanza semplice e si ricava da quanto è stato scritto nelle righe precedenti: fino al giorno in cui l’economia statunitense non sarà ripartita. A quel punto soltanto i capitali torneranno a correre verso gli Stati Uniti, e il dollaro tornerà ad apprezzarsi, per la felicità dei nostri imprenditori e dei nostri governanti. Anzi, con tutta probabilità il dollaro ripartirà verso l’alto un poco prima: non appena i mercati avranno fiutato che l’America sta invertendo la rotta. Ma quando sarà questo momento?
Oggi nessuno lo sa, anche perché nessuno sa quanto sia profonda ed estesa la crisi dei prestiti subprime. Ma puntare sull’estate 2008, o al massimo sull’autunno, per l’inversione di una rotta americana, potrebbe rivelarsi la mossa giusta. Nell’attesa, non resta che sopportare il dollaro debole e cercare altri mercati.

 

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2007