Dicembre 2007

identità nazionali e valenza etnica

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Addio
sogno multiculturale
Francis Fukuyama Docente J. Hopkins University
 
 

 

 

 

Il liberalismo
non può essere
basato sui diritti
dei gruppi, perché
non tutti i gruppi
sostengono i valori liberali, che
riguardano
l’eguale dignità
e il valore delle
singole persone.

 

Le moderne società liberali in Europa e in Nord America tendono ad avere identità deboli; molti celebrano il loro pluralismo e il loro multiculturalismo sostenendo che la loro identità in effetti è non avere identità. Il fatto è che l’identità nazionale continua ad esistere in tutte le democrazie liberali, anche se con caratteri differenti in Nord America rispetto ai Paesi dell’Unione europea.
Secondo Seymour Martin Lipset (sociologo statunitense, autore di numerosi saggi sui probemi della stratificazione, della mobilità sociale e della partecipazione politica, N.d.R.), l’identità americana è stata sempre di natura politica, essendo gli Stati Uniti nati da una rivoluzione contro l’autorità statale, con alla base cinque valori fondanti: uguaglianza, libertà (o antistatalismo), individualismo, populismo e laissez-faire. L’identità americana ha le sue radici anche nelle diverse tradizioni etniche, in particolare in quella che Samuel Huntington definisce la cultura “anglo-protestante”, dalla quale derivano la famosa etica protestante del lavoro, l’inclinazione all’associazionismo volontario e il moralismo in politica. Questi aspetti-chiave della cultura americana all’inizio del XXI secolo sono stati distinti dalle loro origini etniche, divenendo patrimonio della maggioranza dei nuovi americani.
In Europa, dopo la Seconda guerra mondiale, ci fu un forte impegno nella creazione di un’identità europea “post-nazionale”, ma ancora pochi pensano a sé come genericamente europei. Col rifiuto della Costituzione europea nei referendum in Francia e in Olanda nel 2005, i cittadini hanno segnalato alle élites di non esser pronti a rinunciare allo Stato e alla sovranità nazionale.

Le vecchie identità nazionali europee continuano a sussistere e la popolazione osserva tuttora un forte senso di cosa implichi l’essere inglese, francese o italiano, anche se non è politicamente corretto affermare troppo fortemente tali identità. Le identità nazionali in Europa, comparate a quelle nelle Americhe, rimangono più fondate sugli aspetti etnici. La maggior parte dei Paesi europei tende a concepire il multiculturalismo come una cornice nella quale far coesistere culture differenti, piuttosto che un meccanismo di transizione per integrare i nuovi arrivati nella cultura dominante.
Quali che siano state le cause esatte, il fallimento europeo nel tentativo di creare una migliore integrazione dei musulmani è una bomba a orologeria che ha già contribuito al terrorismo, che certamente provocherà una più decisa reazione dei gruppi populisti e che può persino minacciare la stessa democrazia europea. La soluzione di tale problema richiede cambiamenti nel comportamento delle minoranze immigrate e dei loro discendenti, ma anche in quello dei membri delle comunità nazionali dominanti.
Il primo versante della soluzione è riconoscere che il vecchio modello multiculturale non è stato un grande successo in Paesi come l’Olanda e la Gran Bretagna, e che è necessario sostituirlo con tentativi più energici per integrare le popolazioni non-occidentali in una comune cultura liberale. Il vecchio modello multiculturale era basato sul riconoscimento dei gruppi e dei loro diritti.
A causa di un malinteso senso di rispetto per le differenze – e talvolta per sensi di colpa post-coloniali – è stata ceduta alle comunità culturali un’eccessiva autorità nel fissare regole di comportamento per i loro membri.
Il liberalismo non può essere basato sui diritti dei gruppi, perché non tutti i gruppi sostengono valori liberali. La civiltà dell’Illuminismo europeo, di cui la democrazia contemporanea è l’erede, non può essere culturalmente neutrale, dal momento che le società liberali hanno valori propri che riguardano l’eguale dignità e valore dei singoli. Le culture che non accettano queste premesse non meritano uguale protezione in una democrazia liberale. I membri delle comunità immigrate e i loro discendenti meritano di essere trattati su un piano di parità come individui, non come membri di comunità culturali. Non c’è ragione perché una ragazza musulmana sia trattata differentemente da una cristiana o da un’ebrea rispetto alla legge, comunque la pensino i suoi parenti.
Il multiculturalismo, per come fu originariamente concepito in Canada, negli Stati Uniti e in Europa, era in un certo senso un “gioco alla fine della storia”: la diversità culturale era vista come un tipo di ornamento al pluralismo liberale, che avrebbe provveduto di cibo etnico, di vestiti coloratissimi e di tracce di tradizioni storiche distintive società spesso considerate confusamente conformiste e omogenee. La diversità culturale era qualcosa da praticare largamente nella sfera privata, dove non avrebbe condotto ad alcuna seria violazione dei diritti individuali, né avrebbe minato l’ordine sociale essenzialmente liberale.
Per contro, oggi alcune comunità musulmane stanno avanzando richieste per diritti di gruppo che semplicemente non possono essere adattati ai princìpi liberali di uguaglianza individuale. Tali richieste includono esenzioni speciali dalla legislazione familiare valida per chiunque altro nella società, il diritto di escludere i non-musulmani da alcuni particolari eventi pubblici o il diritto di opporsi alla libertà di parola in nome dell’offesa religiosa (come nel caso delle vignette danesi). In taluni casi estremi, le comunità musulmane hanno persino espresso l’ambizione di sfidare il carattere laico dell’ordine politico nel suo insieme. Tipologie simili di diritto di gruppo intaccano i diritti di altri individui nella società e sospingono l’autonomia culturale ben oltre la sfera privata.
Chiedere ai musulmani di rinunciare ai diritti di gruppo è molto più difficile in Europa che negli Stati Uniti, perché molti Paesi europei hanno tradizioni corporative. L’esistenza di scuole cristiane ed ebree finanziate dallo Stato in molti Paesi europei rende difficile argomentare in via di principio contro un sistema scolastico supportato dallo Stato per i musulmani. Queste isole di corporativismo pongono importanti precedenti per le comunità musulmane e risultano d’ostacolo al mantenimento di un muro di separazione fra religione e Stato. Se l’Europa deve stabilire il principio liberale di un pluralismo fondato sugli individui, allora deve affrontare il problema di tali istituzioni corporative ereditate dal passato.
Le modalità con cui l’identità nazionale continua ad essere intesa e vissuta talvolta costituiscono una barriera per i nuovi arrivati, che non condividono l’etnia e la religione delle popolazioni originarie. Questo senso di appartenenza a un luogo e a una storia dovrebbe non essere cancellato, ma reso quanto più aperto possibile ai nuovi cittadini.
A dispetto delle sue origini assolutamente differenti, l’America può avere qualcosa da insegnare agli europei nel loro tentativo di costruire forme post-etniche di cittadinanza e appartenenza nazionale. La vita americana è piena di cerimonie para-religiose e rituali, intese a celebrare le istituzioni politiche democratiche del Paese, laddove invece gli europei hanno largamente de-ritualizzato la loro vita politica. Queste cerimonie sono invece importanti per l’assimilazione dei nuovi immigrati.
Inoltre, in gran parte dell’Europa una combinazione di regole rigide nel mondo del lavoro e di benefit generosi spiega come gli immigrati non vengano in cerca di lavoro, ma di welfare. Molti europei affermano che il meno generoso welfare state statunitense privi i poveri di dignità. È invece vero il contrario: la dignità si sviluppa grazie al lavoro e al contributo che attraverso il proprio lavoro una persona dà al resto della società. In diverse comunità musulmane in Europa, circa metà della popolazione sopravvive grazie al welfare, il che contribuisce direttamente a indurre un senso di alienazione e disperazione.
Il dilemma dell’immigrazione e dell’identità converge con il problema più vasto della mancanza di valori della post-modernità. L’insorgere del relativismo ha reso più difficile per i post-moderni affermare valori positivi, compresi anche quei valori di base condivisi che agli immigrati è chiesto di fare propri come condizione per la cittadinanza. Al di là delle celebrazioni della diversità e della tolleranza, i post-moderni trovano difficile accordarsi sulla sostanza di un bene comune cui aspirare unitariamente.
L’immigrazione ci costringe in maniera particolarmente stringente a porci la domanda: “Chi siamo?”. Se le società post-moderne debbono muoversi verso una più seria discussione sull’identità, avranno bisogno di portare alla luce le virtù positive che definiscono cosa vuol dire essere membri di una società più vasta. In caso contrario, rischiano di essere sopraffatte da chi è più sicuro della propria identità.

 

   
   
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