Giugno 2007

dopo gli “shock” di fiducia

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Il risparmio?
Non è più una vocazione
Filippo Cucuccio  
 
 

 

 

Il Rapporto
fotografa
la seria difficoltà di un italiano su due a praticare una vocazione
per la quale fino
a qualche tempo
fa il nostro Paese si distingueva
in positivo in tutto
il mondo.

 

Anche quest’anno un’attenta lettura del Rapporto curato da BNL-Centro Einaudi con il supporto della Doxa non solo si rivela una fonte particolarmente ricca di dati, in grado, quindi, di fotografare nel dettaglio gli aspetti congiunturali del risparmio e le dinamiche delle sue componenti; ma in più questo documento si conferma come un’autorevole testimonianza degli atteggiamenti chiave del risparmiatore italiano e delle criticità che si frappongono nel nostro Paese ad uno sviluppo più deciso della cultura finanziaria 1.
Ed è proprio l’ampiezza e la complessità delle informazioni acquisite che rendono preferibile scegliere in alternativa ad una sintesi del Rapporto la riflessione su alcuni degli aspetti giudicati di maggior spessore concettuale e di più rilevante impatto sui comportamenti individuali.
Si può allora iniziare questa ricognizione da un primo dato, non proprio rassicurante, che emerge dalle interviste effettuate 2: nel 2006 il 49% degli italiani non ha risparmiato. Si tratta di una rilevazione che seppure attenua i picchi negativi registrati l’anno precedente e ancor prima nel 2000 (rispettivamente con il 51% e il 50%) continua a fotografare la seria difficoltà di un italiano su due a praticare una “vocazione” per la quale fino a qualche tempo fa il nostro Paese si distingueva in positivo nelle classifiche internazionali.
Se, invece, si preferisce guardare al bicchiere “mezzo pieno” dell’Italia che risparmia, si riscontra che alla radice di questa vocazione un ruolo predominante è svolto dal motivo keynesiano del fronteggiare gli eventi imprevisti (47%), seguito dall’acquisto/ristrutturazione della casa (29%); mentre più indietro nella lista delle cause che spingono a risparmiare si collocano l’integrazione della pensione (11%), l’assistenza medica nella vecchiaia e le spese per l’istruzione (7%).
Da questo primo quadro di evidenze statistiche se da un lato si ha la conferma che in Italia il risparmio rappresenta molto meno che in passato una virtù assoluta, dall’altro risulta altrettanto verificato che il mancato risparmio non deriva da una libera scelta, ma da una condizione obbligata dalle circostanze.
Un secondo aspetto non banale che l’esame di questa edizione del Rapporto pone in primo piano concerne il rapporto tra il risparmiatore, in quanto consumatore di prodotti finanziari, e gli intermediari finanziari. Un rapporto caratterizzato da una razionale avversione al rischio e da un’acuita esigenza di sicurezza messe in evidenza dal risparmiatore3. Caratteristica, inoltre, dove ancora una volta la banca di famiglia svolge una funzione centrale, sia come soggetto principale di riferimento nell’esecuzione delle operazioni di routine, sia nella qualità di interlocutore privilegiato nell’acquisizione di informazioni finanziarie e nell’erogazione di interventi di consulenza e assistenza. A riguardo le evidenze statistiche non lasciano dubbi con gli elevati livelli di fiducia riscontrati nell’assolvimento del ruolo di informatore e consulente nella gestione del risparmio familiare.
Una battuta d’arresto sembrerebbe invece profilarsi – e qui si passa ad un terzo ordine di considerazioni – nell’utilizzo del remote banking; anzi, una vera e propria flessione si registra nell’ambito dell’Internet banking circa la quota di quanti effettuano con questo strumento operazioni di tipo dispositivo. Alla base di questo andamento vi sono probabilmente due atteggiamenti concorrenti e complementari : dal lato degli intermediari un rallentamento nei comportamenti finalizzati alla sollecitazione e alla promozione dei canali telematici; dal lato della clientela il riaffermarsi della necessità di un rapporto fiduciario corroborato da un contatto personale con l’intermediario finanziario. Entrambe queste ragioni conducono, comunque, ad una criticità già osservata negli anni passati circa la necessità ormai indifferibile per gli intermediari di avviare una seria riflessione sulla strategia di differenziazione dei canali distributivi con l’elaborazione di adeguate e coerenti politiche di marketing.
C’è anche un quarto elemento di valutazione da non dimenticare nel tratteggiare il profilo comportamentale del risparmiatore italiano, un elemento sul quale il Rapporto 2006 si sofferma lungamente 4: lo scarso interesse mostrato per gli argomenti d’informazione e analisi finanziaria (basti ricordare che l’area del profondo disinteresse si colloca tra il 54% e il 55%!).
In questo senso, purtroppo, la conferma del disinteresse giunge anche dai risultati di un altro indicatore: la quantità di tempo dedicata all’acquisizione e all’analisi delle informazioni utili per orientarsi nella gestione del risparmio. Significativamente solo poco meno del 13% degli italiani destina alle informazioni qualificate sugli investimenti più di un’ora a settimana; mentre poco meno del 50% (quindi quasi 1 italiano su 2) dichiara candidamente di non dedicarvi alcun tempo.
Se, dunque, è pur vero che il risparmiatore italiano confessa di essere stato seriamente colpito nella sua fiducia verso gli intermediari finanziari dagli scandali che a ripetizione hanno caratterizzato le vicende economiche del nostro Paese negli ultimi anni, è egualmente certo che egli non è stato capace di assumere comportamenti proattivi. Sia provando a cambiare gli operatori ai quali rivolgersi, sia soprattutto consacrando più tempo all’informazione e alla cura del proprio risparmio.
In questa ottica non può che preoccupare il continuo declino della televisione e dei giornali quali fonti di approvvigionamento informativo per dei risparmiatori che sembrano, in definitiva, quasi totalmente alieni dalla ricerca di fonti informative adeguate; mentre, secondo le valutazioni espresse nel Rapporto, «dovrebbero essere presi per mano e seguire un vero e proprio percorso scolastico per diventare finanziariamente indipendenti» 5.
Da quest’ultima considerazione deriva senza alcun dubbio che la strada per una cultura finanziaria consapevole in Italia si profila lunga e irta di difficoltà 6, nonostante che il titolo (forse un po’ ottimista) di quest’anno del Rapporto induca a delineare la figura di un risparmiatore non più “fai da te” come in passato, ma in grado di esprimere delle scelte. Ma forse in questo caso, più che una constatazione, si intendeva esprimere un auspicio di cui ci si augura potranno valutarsi gli effetti già nella prossima edizione, che taglierà il traguardo dei venticinque anni, un periodo congruo perché si verifichino delle variazioni in melius normalmente legate al volgere di una generazione.

 

   
   
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