Giugno 2007

Cinquant’anni di Europa

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Mezzo secolo non è bastato
D.M.B.  
 
 

 

 

 

 

Mezzo secolo fa, il Trattato di Roma, il processo di unificazione più ambizioso del dopoguerra. E oggi? Oggi l’Europa è un’area del mondo ricca, pacifica, con benessere diffuso, dove la tutela dei diritti dell’uomo e dei diritti del lavoro è garantita a tutti. Il Trattato, istitutivo della Comunità economica europea, si basava sui principi della cooperazione, dell’integrazione economica e agricola tra Paesi; grazie alla solidarietà economica e alla perequazione dei fondi, la crescita è stata garantita anche alle aree depresse, come Spagna e Irlanda. Questo meccanismo virtuoso ha delle eccezioni, come il Sud d’Italia: colpa, comunque, non dell’Europa, ma delle scelte politiche del Bel Paese, che hanno perpetuato il dualismo contro il quale pure si erano battuti gli spiriti grandi – e solitari – della cultura e della civiltà meridionale.

L’Europa è un’area di libero scambio di beni, ma non ancora del tutto integrata: esistono forti asimmetrie fiscali, i mercati finanziari sono ancora molto frammentati: queste carenze nel medio periodo possono consolidare il divario di crescita tra aree del Vecchio Continente, rendendolo permanente. Con la nascita della moneta unica, nel 2002, il commercio con l’estero è diminuito, consolidando il commercio intra-area, mentre la politica monetaria comune ha avvantaggiato l’intrapresa finanziata con il credito. Tuttavia, i tassi d’inflazione nazionali nell’ultimo decennio divergono marcatamente, grazie ai diversi meccanismi concorrenziali e di struttura del mercato che caratterizzano i Paesi membri. L’arroccamento nelle posizioni di tutela a oltranza di rendite di posizione, di diritti a cui non corrispondono doveri, e di benefici insostenibili, contribuiscono ad ampliare e a consolidare il divario. La concorrenza asiatica fa il resto.
Il nostro è il Paese che ha meno riformato, ristrutturato, corretto i propri difetti. Ma non possiamo indugiare oltre. L’euro ci ha consentito una stabilità che mai avremmo potuto conseguire da soli; ha eliminato il rischio di cambio, ha azzerato i costi di transazione, ha stabilizzato i valori, ha imposto un rigore alla spesa pubblica. Ma – anche – l’assenza di un governo del rapporto con le altre monete ha mitigato i benefici per la nostra economia, fortemente votata all’export. Il Trattato di Roma ha fondato la crescita sulla creazione di un’area chiusa di scambi, controlli e garanzie, ma è venuta meno l’unione di intenti in settori strategici come la difesa, l’energia, i trasporti, la fiscalità. Fatta l’Europa dei commerci, ora è necessario gettare le basi per una vera integrazione politica, perché essa possa sopravvivere ai suoi fondatori.

 

   
   
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