Giugno 2007

cinquant’anni di europa

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Per una Ue più forte
Eugenio Frankel  
 
 

 

 

Ma la Bce teme un rialzo dei
prezzi del petrolio e nuove iniziative inflazionistiche dei governi: aumenti delle tariffe o,
in aggiunta oppure in alternativa,
aumenti dell’Iva.

 

I primi sei mesi di quest’anno sono stati ricchi di avvenimenti: il primo gennaio la Repubblica federale tedesca ha assunto la presidenza di turno del Consiglio dei ministri dell’Ue; a fine marzo si sono incontrati a Berlino i capi di Stato o di Governo dei 27 Paesi per celebrare solennemente il cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma; poco fa, il Consiglio europeo ha dibattuto su un possibile superamento di ogni fase di stallo e sul conseguente rilancio del disegno europeo.
L’insieme di questi avvenimenti ha avuto già un effetto positivo sulla lunga pausa di riflessione, che era iniziata dopo il duplice “no” francese e olandese ai referendum per la ratifica del progetto di Costituzione. Il dibattito è ora ripartito, e un nuovo senso di realismo sembra aleggiare sia tra la grande maggioranza degli Stati, (finora 18), che hanno già ratificato il trattato costituzionale, sia tra quelli che avevano manifestato il loro rigetto.
È certamente prematuro avanzare ipotesi di compromesso, ma quel che sembra al momento positivo è che gli uni e gli altri, quelli che hanno ratificato e quelli che hanno risposto negativamente, mostrano una certa disponibilità nel convenire che qualsiasi soluzione non possa certo ignorare il grande valore politico di una ratifica già realizzata con successo da parte di diciotto Paesi membri, e nemmeno ignorare che , in due referendum popolari, altrettanti Paesi abbiano risposto “no”.

Un sentiero per una compromesso dovrebbe essere reso possibile salvando la sostanza e modificando semmai la forma. Gli italiani sono stati al riguardo molto chiari enumerando tra l’altro alcune riforme ritenute da noi irrinunciabili: la creazione di un ministero degli Esteri, e di un presidente stabile del Consiglio europeo; l’estensione del voto a maggioranza qualificata; l’introduzione di meccanismi di democrazia diretta; infine il conferimento di forza giuridica vincolante alla Carta dei diritti.
Un elemento di incoraggiamento viene anche da alcuni sondaggi che sono stati condotti a livello europeo, e che dimostrerebbero che la gran parte dei giudizi critici sull’attuale costruzione europea riflette una domanda di più Europa, non di meno Europa.
In alcune recenti rilevazioni risulta che il 77 per cento degli intervistati appartenenti ai 27 Stati membri vogliono una politica di difesa e di sicurezza comune, e il 68 per cento una politica estera comune. E ancora: più del 50 per cento degli intervistati, con punte superiori al 75 per cento, hanno risposto di considerare che spettano all’Unione, più che agli Stati membri, la promozione della democrazia e della pace nel mondo, la protezione dell’ambiente, la continuità dell’approvvigionamento energetico, la prevenzione dei grandi problemi di salute, la crescita economica, la protezione dei diritti sociali e la lotta contro la disoccupazione.
In questa situazione di un nuovo inizio di dialogo, un’attenzione particolare viene dedicata alla proposta di approvazione dei Paesi membri di una dichiarazione sul futuro del Vecchio Continente. Si tratta di un documento altamente politico e necessariamente breve, che parte dalla constatazione dell’enorme valore ideale – e politico, appunto – della costruzione europea finora realizzata. Nessuno può disconoscere che c’è stato un profondo capovolgimento nella storia del Continente europeo.
All’indomani della fine di uno spaventoso conflitto mondiale partito proprio dall’Europa, alcuni uomini di grande visione e di altrettanto grande coraggio hanno ideato e realizzato un processo innovativo delle relazioni intra-europee basato sulla creazione di istituzioni comuni per esprimere l’interesse comune. Non si è trattato di annullare le sovranità nazionali, ma di mettere in campo una loro gestione condivisa, basata sul bene comune. Ed è stata questa grande intuizione a rendere possibile caratterizzare l’Europa con un sistema originale di valori, imperniato sulla centralità della persona umana. Sono questi i valori che identificano insieme con altri, o più di altri, l’appartenenza alla costruzione europea.

Il ricordo delle profonde motivazioni che sono state alla base di questo storico disegno è assolutamente necessario, soprattutto per le giovani generazioni, che hanno conosciuto soltanto il successo di questi valori, e non le spaventose tragedie che ne avevano costituito la ragione iniziale. Ma è evidente che se questo ricordo è necessario, non può essere tuttavia sufficiente di fronte alla realtà e ai problemi della società di oggi.
Si sostiene, infatti, che l’Europa abbia bisogno di una nuova motivazione. La realtà che ci circonda dimostra esplicitamente che non è necessario cercare una nuova motivazione; essa è già presente nella nostra vita quotidiana e si proietta con grande forza nel futuro. Il nostro tempo è caratterizzato da rapidi e anche radicali cambiamenti negli equilibri mondiali, da sfide globali che superano la capacità di qualunque Stato nazionale da solo, per potente che esso sia, di affrontarle con successo.
Le previsioni indicano che l’attuale graduatoria delle potenze economiche mondiali potrebbe essere profondamente modificata dalle nuove grandi potenze emergenti, quali la Cina, l’India, la Russia, il Brasile. Nel giro di due o tre decenni, nessun Paese europeo potrebbe, molto probabilmente essere presente nei primi posti di questa graduatoria. La stessa correzione di alcuni enormi squilibri finanziari, come quelli degli Stati Uniti, necessitano di una fattiva collaborazione internazionale.

 

   
   
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