Giugno 2007

futuro dell’unione

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Il coraggio della sfida
Albert Morel  
 
 

 

 

Senza un disegno planetario,
l’Europa può
soltanto difendersi e rinchiudersi
sempre più nei propri problemi interni o in confini sempre più difficili da superare.

 

Ogni anno, si può dire, porta con sé nuovi membri dell’Unione europea. Ogni anno, nonostante le enormi difficoltà, si intensifica il livello di omogeneizzazione tra Paesi europei. Allo stesso modo si va realizzando una maggiore integrazione grazie a trasferimenti significativi di aiuti strutturali. Ogni anno, simultaneamente, forme di nazionalismo resistono a questa politica, incapace di andare abbastanza veloce e abbastanza lontano, perché i nuovi Paesi hanno un ruolo di secondo piano nel commercio europeo e mondiale. E perché il divario tra loro e il vecchio cuore dell’Occidente europeo cresce continuamente.
Quest’opera di solidarietà è necessaria e incontestabile, ma, nello stesso tempo, indebolisce sempre di più un’Europa dove molte decisioni devono essere prese all’unanimità. Da tempo, e in particolare dal Trattato di Nizza, i cui esiti si possono definire soltanto mediocri, emerge sempre più palese la necessità di rafforzare le istituzioni dell’Unione. Il rifiuto francese al progetto di Costituzione è stato una decisione di estrema gravità. Non era motivato da ragioni propriamente europee e amministrative: la convinzione principale di chi ha votato “no” era che, dopotutto, le esigenze dell’economia di mercato e quelle della giustizia sociale erano del tutto incompatibili, e che una scelta era indispensabile.

L’opposizione all’economia di un mercato internazionalizzato poteva essere guidata soltanto da uno Stato forte che si poggiasse su un settore pubblico solido. Doveva esserci, con tutta probabilità, una convinzione ancora più profonda poiché, quando si contrapponevano queste dichiarazioni all’esempio così lampante delle socialdemocrazie occidentali che da cinquant’anni si adoperano per l’apertura al mercato e per la redistribuzione, i sostenitori del “no” rifiutavano di credere a questa analisi, consideravano le socialdemocrazie tappe del trionfo del capitalismo: un rifiuto globale, che doveva essere mantenuto in ogni circostanza. Ciò rivela quanto era profondo il malcontento nei confronti dell’Europa.
Giungiamo così ad una conclusione facile da trarre: l’Europa è spossata. La sinistra italiana, o meglio, le sinistre italiane, se stanno al governo, non si sentono a proprio agio, e la Gran Bretagna mette in discussione i laburisti, nonostante i loro successi economici, a causa del ruolo nelle «guerre esportate dagli americani». In effetti, soltanto la Germania offre di sé un’immagine positiva dopo tanti anni difficili, sebbene a costo di un’assenza di scelta politica, punto debole e nello stesso tempo punto di forza della sua grande coalizione.
Allora: quali sono gli scenari futuri possibili per l’Unione?
Il primo contempla un proseguimento della tendenza attuale, che tuttavia rallenterà a causa delle difficoltà che caratterizzeranno l’integrazione, difficoltà dovute al crescente scarto tra nuovi e vecchi membri dell’Ue. Nel complesso, la transizione dei Paesi ex-comunisti dall’Est europeo all’Ovest non è stata un successo: è stato pagato un prezzo sociale elevato e ha portato al potere dirigenti e partiti che erano ben lontani dal condividere gli ideali democratici europei. In particolare, come non si può essere delusi dalla situazione attuale della Polonia, che è agli antipodi della Polonia di “Solidarnosc” ed è colpita da continui scandali? E la situazione dell’Ungheria non è affatto migliore. Ovunque le disuguaglianze sociali sono notevoli e le condizioni di vita precarie, ad eccezione di una piccola élite, di un piccolo gruppo dirigente che dispone di un gran numero di risorse.
La seconda risposta è che l’integrazione europea ha già conosciuto momenti di arretramento. L’Europa, indebolendo lo Stato-nazione, non ha creato una coscienza nazionale alternativa; al contrario, il più forte movimento di opinione nato nel Vecchio Continente negli ultimi vent’anni è stato il radicalizzarsi pressoché ovunque della reazione nazionale populista che ha rafforzato le due ali politiche estreme. Sono in molti a pensare che questa evoluzione sia normale, e la sua portata farà svanire la presunzione irrealistica di fare dell’Europa un concorrente degli Stati Uniti d’America.
La terza soluzione consiste nel dare all’Unione europea un nuovo scopo: allontanarla dagli obiettivi immediati e stretti che la paralizzano e fare dell’Europa una protagonista politica di primo piano sulla scena mondiale. Questa posizione generale assume sempre più la forma di un progetto preciso: fare in modo che l’Ue si impegni nei confronti di alcuni Paesi arabi (e musulmani), che dimostri che è possibile che tra il mondo islamico e l’Occidente si instaurino rapporti diversi da quelli conflittuali creati dagli Stati Uniti. Meno ambiziosamente, si potrebbe chiedere che l’Europa dia una svolta decisa alla propria posizione in Africa, creando le condizioni necessarie alla lotta contro le malattie, la corruzione, la fame e l’assenza di progetti.
Senza un “disegno planetario”, indipendente da ogni politica propria degli Stati Uniti, ma senza entrare in conflitto con essa, l’Europa può soltanto difendersi e rinchiudersi sempre più nei propri problemi interni o in confini sempre più difficili da superare. Di fronte ad un’evoluzione positiva e rapida, le forze anti-europee finirebbero probabilmente per perdere terreno.
Ma chi può decidere, in una tale situazione e al cospetto di problemi così importanti, l’ampliamento dei campi d’azione? Può essere soltanto il Parlamento, di concerto con la Commissione, a proporre simili iniziative. Si affermerebbe in questo modo anche una dinamica democratica, ora ancora troppo debole. In questo modo, si darebbe vita a un grande dibattito in tutti i Paesi, con l’obiettivo di concedere maggiore capacità decisionale all’Europa. E la Francia, così ostile verso un’Europa identificata da un’economia esclusivamente di mercato, sarebbe probabilmente tra i sostenitori più convinti di tali decisioni.

 

   
   
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