Giugno 2007

EUROPA, CINQUANT’ANNI DOPO

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Pegaso o ircocervo
Aldo Bello  
 
 

Presto sarà necessario decidere se l’Europa incarni ancora la forza di un’idea politica, etica, culturale comune, oppure se la sua costruzione sia opportunistica, arida, e infine scettica…

 

La splendida cornice del Campidoglio romano, con i rintocchi della sua campana, la celebre “Patarina”, il 25 marzo di mezzo secolo fa rappresentò lo sfondo per la firma dei Trattati che diedero vita alla Comunità Economica Europea e all’Euratom da parte della Germania, della Francia, dell’Italia, dell’Olanda, del Belgio e del Lussemburgo. Il sogno antico di unificare il Vecchio Continente – si pensi alla “Giovane Europa” fondata da Giuseppe Mazzini nel 1834 – diventava una grande realtà. Una realtà economica, soprattutto, fondata sul libero mercato di merci e di capitali, e sul movimento interno delle persone; ma anche, nella prospettiva dei Paesi fondatori, una futuribile realtà politica e istituzionale.
Parziale, però; non priva di ambizioni e di resistenze. Nel 1954 il veto di Parigi aveva bloccato la nascita della Ced, la Comunità europea di difesa, che Alcide De Gasperi voleva non solo come una mera riorganizzazione sovranazionale di tipo militare. Inoltre, lo scenario internazionale, con la Guerra fredda che contrapponeva le democrazie occidentali al blocco dominato dall’Unione Sovietica, tagliava fuori la parte di Europa centro-orientale che faceva capo a Mosca. Quel respiro a “due polmoni”, che Giovanni Paolo II avrebbe poi auspicato con forza, era ancora un’utopia inimmaginabile.

Nel nostro Paese i Trattati di Roma incontrarono, al momento della loro ratifica in Parlamento, il voto contrario del Partito comunista di Togliatti, mentre le valutazioni dei socialisti di Nenni furono più articolate e si tradussero nella scelta dell’astensione. Come ha ricordato il presidente Napolitano, «quel voto fu ancora intriso di pregiudiziali ideologiche, che conducevano a previsioni catastrofiche sul fatale cammino, in seno alla nascente Comunità europea, delle forze monopolistiche e su un impatto devastante del processo di integrazione per parti fondamentali dell’economia e della società italiana».
Comunque, con quei Trattati prese il via il processo di Unione europea che, sia pure a zig zag, vede attualmente l’adesione di 27 Stati. Con le firme di quel fine marzo di cinquant’anni fa, i Sei Paesi fondatori, divisi storicamente, (e anche accanitamente contrapposti, come nel caso della Francia e della Germania), si mettevano alle spalle un’interminabile epoca di guerre, di orrori infiniti, di devastazioni di territori con milioni di vittime civili, di nazionalismi e di totalitarismi esasperati, per guardare a un’Europa “unita e libera”, come si era espresso nel 1941, dal confino di Ventotene, il “Manifesto” di Altiero Spinelli e di Ernesto Rossi.
Negli Stati Uniti, dove si era rifugiato, fu Jean Monnet a perseguire il sogno di un modello funzionale europeo, con l’introduzione di elementi di sovranazionalità in singoli settori produttivi che avrebbero trovato concreta attuazione con la Ceca, la Comunità economica del carbone e dell’acciaio. Ma saranno tre grandi leader cattolici, Konrad Adenauer, Robert Schuman e Alcide De Gasperi, insieme con un liberale di antica tradizione filo-europea, l’allora ministro degli Esteri Gaetano Martino, a dare con grande realismo una dimensione più politica al progetto continentale. Nel 1955, a Messina, proprio sotto la presidenza di Martino, una conferenza dei Sei Paesi, all’indomani del fallimento della Comunità europea di difesa, decideva di avviare una più ampia intesa doganale ed economica. Un diplomatico inglese presente a quella riunione aveva osservato, (ma guardando in modo particolare alla situazione del suo Paese): «Non ne verrà fuori nulla. E se venisse fuori qualcosa, non sarebbe nulla di buono».
Il tempo avrebbe ampiamente smentito questa previsione. Al Mec e all’Euratom fecero seguito l’insediamento a Bruxelles, nel gennaio 1958, della Commissione, e, in ottobre, la costituzione, a Lussemburgo, della Corte europea di giustizia. Fra l’altro, i Trattati indicavano tra gli obiettivi anche le elezioni dirette del Parlamento, l’introduzione della moneta unica e, in una prospettiva non remota, il varo di una Costituzione europea.
Dopo il 1989 e il crollo del Muro di Berlino e dell’ormai decrepita Cortina di ferro, si avviò il processo di allargamento dell’Ue ai Paesi dell’Europa centro-orientale. Nel frattempo altri partner, compreso il Regno Unito, si erano di volta in volta aggregati ai Paesi fondatori.
Tuttavia, la strada per passare da un’Unione tenuta insieme dall’economia, cioè dall’Europa dei mercati e dei mercanti, all’Unione politica istituzionale vera e propria sarà tutt’altro che agevole. La bocciatura del Trattato costituzionale da parte degli elettori francesi e olandesi, le riserve e anche le opposizioni che emergono in altri Stati, indicano che il processo può essere rallentato, e per qualche tempo anche arrestato. Ma, in ogni caso, non cancellato. Mezzo secolo fa, i Trattati diedero vita a un’Europa simile al mitico «è un po’ aquila, è un po’ cavallo, ma intanto vola, anche se non sempre alto». Ed è proprio questo, nel momento in cui i Sei sono diventati Ventisette, il problema del futuro prossimo: far volare l’ircocervo, perché strada facendo si trasformi in Pegaso.
Se, infatti, l’Europa è una comunanza di valori di civiltà, secondo la recente formula di Václav Havel, nella quale rientrano la libertà individuale, la democrazia, lo Stato di diritto, la società civile, i diritti e i doveri, ne consegue che la “casa europea” può e deve essere costruita non già prescindendo da essi, né distorcendoli, ma soltanto sulla loro base, e che in una comune politica europea ci si batta e ci si assuma la responsabilità per l’affermazione di questi valori, perché l’identità del Vecchio Continente non perda credito all’interno e oltre i confini europei. E se – come ha scritto il giuspubblicista tedesco Ernst-Wolfgang Bockenforde – le nazioni d’Europa dureranno ancora a lungo, anche nella loro forma e organizzazione politica, ma spogliate della pretesa di risolvere sovranamente, da sole, tutti i problemi dell’economia e della sicurezza, allora il loro raccogliersi in un’unione politica deve assumere il carattere di una forma e unità sovrastanti le loro peculiarità, non assorbirle o farle economicamente svanire. Vi sono ragioni sufficienti per prendere molto sul serio il monito lanciato poco prima di morire da Jean Monnet, il padre del piano Schuman e dell’Unione mineraria: «Se dovessi rifare tutto quanto, comincerei dalla cultura».
Una moderna visione dell’Europa dovrà immaginare, e realizzare, il trasferimento del centro di gravità per l’ulteriore integrazione – soprattutto dato l’attuale livello dell’economia, che non andrà intaccato – nel campo dell’educazione e della cultura. Non per creare un uniforme paesaggio culturale europeo, ma per evolvere e far crescere una comune coscienza continentale proprio nella molteplicità culturale che contraddistingue i popoli europei, e per conservare in vita e trasmettere la base culturale e spirituale dell’Europa.
Il discorso è complesso, perché porta a chiedersi in che cosa consista questa base cultural-spirituale, e quale sia la sua portata. Certamente, vi rientrano i valori del Cristianesimo che all’identità e alla cultura europee hanno dato un’indelebile impronta – oggi per alcuni insidiata, per altri arricchita dalla laicizzazione – ma anche il razionalismo, l’Illuminismo e le forme multiple della società civile. Occorre fare un discorso coraggioso: non ci troviamo di fronte a un’ “Europa latina” soltanto, perché i Ventisette includono pure terre e mentalità che sono state segnate da scismi e lotte per le investiture, da separazioni tra Stato e Chiesa, da una Riforma e da una Controriforma, e dall’idea di libertà politiche generate dalla storia delle rivoluzioni, quella francese e – per quel che riguarda le mie personali convinzioni – soprattutto quella americana. E la scommessa è di federare, concertandole, tutte le diversità, e di fondere – orchestrando anche questi – tutti gli aspetti in realtà complementari che contraddistinguono il ricchissimo crogiolo delle civiltà del Vecchio Continente.
Proprio non so dire da dove adesso possa venire la spinta ad agire, come la si ebbe al tempo dell’istituzione dell’Unione mineraria. In ogni caso, presto sarà necessario decidere se l’Europa incarni ancora la forza di un’idea politica, etica, culturale comune, oppure se la sua costruzione sia fondamentalmente opportunistica, arida, e infine scettica, cioè si occupi solo, ed egoisticamente, della correttezza fiscale e del profitto economico.

Se, in occasione del 50° anniversario dei Trattati, i Governi dell’Unione desiderano avvicinarsi ai loro cittadini, come possono escludere un elemento essenziale dell’identità europea qual è il Cristianesimo, in cui una vasta maggioranza di loro continua a identificarsi? Non è motivo di sorpresa che l’Europa odierna, mentre ambisce a porsi come una comunità di valori, sembri sempre più spesso contestare che ci siano valori universali e assoluti? Questa singolare forma di apostasia da se stessa prima ancora che da Dio non la induce forse a dubitare della sua stessa identità?
Non si può pensare di edificare un’autentica casa comune europea trascurando l’identità propria dei popoli di questo nostro Continente. Si tratta infatti di un’identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica e politica. Un’identità costituita da un insieme di valori universali, che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare... Sotto il profilo demografico, si deve purtroppo constatare che l’Europa sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia.

Joseph Ratzinger
Papa Benedetto XVI

 

 

Con l’unanimità e senza risorse in bilancio non ci può essere unione. Questa proposizione è, a mio giudizio, la chiave di tutte le analisi, di tutti i problemi irrisolti, di tutte le occasioni mancate dell’Europa: sicurezza, difesa dell’ambiente, politica estera, immigrazione, grandi infrastrutture continentali, ricerca, fissazione delle frontiere... Ogni unione è composta di tre elementi: il bene comune (la cosa pubblica), la capacità di decidere, i mezzi per agire.
Quanto alla cosa pubblica, già nei Trattati attuali è esaurientemente enunciata. Se i Trattati europei sono posti a confronto con le Costituzioni dei principali Stati democratici moderni, non vi si trovano differenze o lacune significative. In essi vi è l’elenco completo dei beni comuni che ci si attende di trovare in una Costituzione vera e propria: pace, diritti della persona, democrazia, prosperità, solidarietà sociale, protezione dell’ambiente, e via dicendo. Degli altri due elementi, invece, l’Europa di oggi è insufficientemente dotata: la piena capacità di decidere e i mezzi per agire.

Tommaso Padoa-Schioppa

 

Riflettendo sul 50° anniversario dell’Unione europea, involontariamente ci si rivolge agli avvenimenti della storia. Un tempo la spada del legionario unì sotto il potere di Roma l’enorme spazio dalla Bretagna fino ad Atene, da Rein fino alla Penisola Iberica. Da quel momento sono passati duemila anni. L’Europa sopravvisse alle guerre distruttive e al crollo degli Imperi. Essa conobbe la dittatura dei tiranni e l’orrore del nazismo. Ma nello stesso tempo visse l’epoca del Rinascimento, fece crescere i “germogli” della democrazia. Proprio qui furono formulate le grandi idee dell’Umanesimo e dell’Illuminismo, che cementarono le fondamenta della civiltà europea.
Come succede spesso, la storia ha fatto una svolta straordinaria proprio a Roma. In questa Città Eterna, cinquant’anni fa sono stati firmati i Trattati che hanno dato inizio alla nuova Unione dei popoli d’Europa, all’Unione che si basa non sulla forza e sulla costrizione, ma sulle aspirazioni e sui valori comuni. In quel tempo, mezzo secolo fa, i Trattati di Roma erano realmente innovativi, quasi rivoluzionari. Molte ferite della Seconda guerra mondiale non si erano ancora del tutto rimarginate. Ma i Paesi che hanno firmato i Trattati sono stati capaci di dimostrare la volontà politica per elaborare, superando i grovigli del passato, una strategia solidale della collaborazione e dell’integrazione.
Il progetto di un’Europa stabile, prosperosa e unita corrisponde ai nostri interessi... Voglio sottolineare che lo sviluppo dei rapporti di ogni genere con l’Ue costituisce la scelta di principio della Russia.

Vladimir Putin

 

Come Parlamento europeo puntiamo a salvare la sostanza del Trattato costituzionale, cioè la prima parte con le necessarie modifiche e la seconda con i nostri valori. Della terza parte bisogna salvaguardare il 25 per cento che è connesso alla prima. Il resto, la descrizione della legislazione esistente, non necessariamente. Questo zoccolo rappresenta una base adeguata per un’Unione trasparente e democratica. Se questa impostazione sarà alla fine approvata, l’Europa farà un grande passo avanti.

Hans-Gert Poettering
Presidente del Parlamento europeo


La migliore prova
di vitalità dell’Unione europea, a cinquant’anni dalla sua nascita, è data dall’acceso dibattito, che da Roma soprattutto promana, sui valori etici e sui fondamenti religiosi. Non ci si batterebbe affinché vengano riconosciuti determinati valori, capaci di orientarne lo sviluppo, se si considerasse quella costruzione decadente, priva di futuro.
È un dibattito essenziale per dare più anima e più vigore all’Ue. Nobile nella preoccupazione spirituale che lo muove e lo illumina, ma che potrebbe risultare nefasto se fosse visto come occasione di protagonismo da personalità e partiti attenti alle proprie convenienze, forse ancor più che all’identità spirituale dell’Europa del futuro.

Mario Monti

Nell’odierno, critico contesto multipolare, l’unificazione europea ci consente di giocare un ruolo che in passato, agli albori del conflitto tra Oriente e Occidente, nessuno avrebbe potuto immaginare. All’inizio, l’Europa rappresentava una risposta alle difficoltà nazionali; oggi, quando riflettiamo sul futuro dell’Europa, la nostra attenzione si concentra più sulle sfide provenienti dall’esterno... Il mercato unico non è stato un gioco a somma zero. Ha implicato diversi benefici per tutti gli Stati membri. Una cornice costituzionale attorno alle politiche comunitarie, invece, richiede una comune volontà politica che vada al di là del riconoscimento di vantaggi ai vari Stati membri. Ovviamente, i nostri governi non sono ancora in grado di raggiungere un accordo sull’obiettivo ultimo: il vero significato del “progetto europeo”... Il modello di Stato-nazione non è superato. Gli Stati-nazione rimangono gli attori più importanti sulla scena internazionale. E sono parte integrante, insostituibile delle organizzazioni internazionali... A dover cambiare – e in Europa è già successo – è l’immagine che gli Stati-nazione hanno di sé; difatti, devono imparare a considerarsi non tanto attori indipendenti, quanto membri di una comunità più estesa che, in quanto tali, si sentono tenuti a conformarsi a regole comuni.

Jurgen Habermas

 

Non credo che l’Europa stia uscendo dalla storia: al contrario, credo che ne stia costruendo finalmente una migliore, senza le guerre devastanti e fratricide che l’hanno segnata nel secolo scorso. In questo passaggio, è evidente che la fede conserva un ruolo, ma non credo che sia un ruolo politico. Quella dell’Europa di oggi non è l’apostasia della storia, ma la ricerca di una nuova storia... La menzione già esistente nel testo della Costituzione europea, che riconosce il contributo dato dalle religioni all’identità europea, mi sembra sufficiente. Altrimenti entriamo in un ambito storico, e allora accanto ai valori della tradizione cristiana bisognerebbe anche condannare i molti misfatti perpetrati in nome di quei valori, dalle guerre di religione ai roghi, e così via. Oggi c’è molta confusione fra una presunta “giusta laicità” e il laicismo...
In ogni caso, sono felicissimo che si stia realizzando un’Europa dall’Atlantico agli Urali. Le chiese hanno fatto gesti positivi, come il reciproco annullamento delle scomuniche fra cattolici e protestanti. Ma non hanno dato risultati significativi. Dal punto di vista religioso, il Continente resta diviso. E il processo d’unificazione è tutto politico. Non credo che si possa dire che è il Cristianesimo che sta unendo l’Europa.

Predrag Matvejevic´

Il vuoto della retorica europea colpisce soprattutto all’indomani dell’entrata a gamba tesa del pontefice... L’Europa avrebbe forse potuto rispondere diversamente, senza scatenare guerre laiciste, ma con la serenità di un soggetto forte del suo radicamento democratico e cosciente delle difficoltà dell’agenda politica e identitaria che ci attende nei prossimi anni. Avrebbe potuto farlo, ma ha scelto il conforto della retorica, verso se stessa e verso il mondo... Se le difficoltà aumentano, si abbondi pure con l’unguento consolatorio. È il rischio di un’Unione europea “modello Amish”, beatamente chiusa in se stessa a contemplare le proprie fortune e le proprie sicurezze mentre il motore del progetto comunitario si fa sempre più stanco. E mentre tutt’intorno a noi il mondo avrebbe bisogno proprio dall’Europa di un supplemento di leadership e d’impegno. Ma forse è solo colpa dell’atmosfera di festa obbligata, di quelle ricorrenze in cui ciascuno di noi dà sempre il peggio di sé.

Andrea Romano

La spinta esasperata al soggettivismo ha tolto agli europei la capacità di ragionare in termini collettivi. Ma poi, forse sarebbe più giusto chiederci: che cosa è, oggi, l’Europa? La verità è che non sappiamo dire: – Noi europei –. Siamo milioni di individui e non un’identità collettiva. L’allargamento dissennato dell’Unione europea ci espone a rischi enormi. La vecchia Comunità a Sei mi dava un senso di identità che oggi, a ventisette, stento a ritrovare. Chi siamo? Lo ripeto: vedo un presente fatto di soggettivismo e individualismo. Un insieme di persone che non sono in grado di darsi un futuro collettivo... Per superare l’individualismo e il soggettivismo dobbiamo lanciare un nuovo messaggio collettivo. O, meglio, dobbiamo creare un futuro collettivo. Questo è un tema vero, sul quale discutere e ragionare. E questo, tutto sommato, può essere il frutto maturo di un processo storico che ha terminato la propria corsa.

Giuseppe De Rita

Quando ci si interroga sull’identità dell’Europa, troppo spesso si ricercano origini comuni o elementi di un patrimonio condiviso: e si dimentica che l’Europa che emerge nel corso dell’Età moderna è il frutto dell’incontro fra tradizioni, identità, culture differenti, destinate ad amalgamarsi lentamente e in modo assai imperfetto nel corso dei secoli. La crisi di stallo che l’Unione europea sta vivendo in questi ultimi tempi ha dato inizio a una riflessione intorno al suo futuro, ma anche sul tema delle radici... Il rapporto stretto tra Europa e Mediterraneo consente di ridisegnarne un’identità che riproponga come centrale la sua origine mediterranea, vale a dire la grande cultura ellenistica nata dalla rivoluzione politico-culturale eurasiatica di Alessandro e ripresa in termini specifici dalla tradizione di pensiero romana avviata all’interno del Circolo degli Scipioni, maturata con l’esperienza democratica e imperiale di Cesare e culminata in due grandi eventi epocali: la Constitutio Antoniniana del 212, e la cristianizzazione dell’Impero.
Ma una lettura euromediterranea della storia europea conduce fatalmente a riconsiderare lo stesso ruolo dell’Islam: non più “secolare nemico dell’Occidente”, bensì forza religiosa e culturale che ha ampliato verso Est i confini della cultura ellenistica; che ha consentito nuove forme di sintesi filosofico-scientifica; che attraverso il modello politico ottomano ha rimodellato l’esperienza di governo romano-orientale trasmessa dai bizantini; che è stato uno dei fattori fondanti della modernità, spingendo gli europei all’avventura oceanica del Cinquecento. All’indomani della “caduta” dell’Impero romano nella sua parte occidentale sono state fondamentali le grandi migrazioni dal Nord e dall’Est... A partire dal X-XI secolo, tuttavia, il rapporto con il Mediterraneo tornò ad essere al centro della vita europea.

Franco Cardini

L’Europa è impensabile senza le radici cristiane, duemila anni di Cristianità l’hanno forgiata, l’hanno edificata, ne hanno costituito la mentalità di fondo. Non sarebbe pensabile l’Europa senza le cattedrali e i martiri, senza gli ospedali e gli amanuensi, la cultura benedettina e la carità cristiana; e anche in negativo le sue pagine sono state segnate dal Cristianesimo, tra persecuzioni, inquisizioni e cacce alle streghe. L’Europa non si può neanche pensare come soggetto civile, politico, culturale, senza il triplice richiamo alle radici greche, romane e cristiane, ovvero il pensiero e la polis greca, il diritto romano e l’idea di Stato e di Impero romano, e la civiltà cristiana, il pensiero e la fede cristiana. Se c’è un sentire comune, una base popolare all’idea d’Europa, passa da queste radici. Che non possono essere messe sullo stesso piano di altre esperienze religiose, culturali e civili che sono state più marginali, minoritarie o sopraggiunte in secoli più recenti... Il discorso nasce dal riconoscimento della realtà, un fatto storico tangibile e concreto, un’Europa di fatto: nel bene e nel male la Cristianità permea diffusamente il corpo, l’anima e la mente europea...
Non riusciremo mai a fondare davvero l’Europa se non riconosceremo i tratti costitutivi della sua civiltà, le sue radici e i suoi motivi culturali e civili, etici e religiosi. Senza quelli, l’Europa resta una mera espressione geografica.

Marcello Veneziani

Forse soltanto Milan Kundera, con la sua insostenibile leggerezza, potrebbe trovare il linguaggio giusto per definire la Dichiarazione di Berlino sui cinquant’anni dell’Europa. Una dichiarazione senz’anima, senza passione, rivelatrice di un malessere esistenziale che non sembra trarre alcun insegnamento dal mezzo secolo di conquiste celebrato dove un tempo sorgeva il Muro.
Il documento predisposto dalla padrona di casa, Angela Merkel, certo, non manca di entusiasmo quando si volge al passato. Ma la sfida, dopo quasi due anni di paralisi imposta dalle bocciature francese e olandese, era quella di cominciare a guardare al futuro. E qui tali e tante sono le divisioni, tali e tante sono le inconciliabilità concettuali esistenti tra i Ventisette, che la Cancelliera tedesca merita ogni elogio per essere riuscita ad evocare una vaga «rinnovata base comune» da mettere a punto prima delle elezioni parlamentari europee in programma nel 2009...
Per un insieme di ragioni che comprende il maxiallargamento del 2004 temerariamente portato a termine prima del riassetto istituzionale, i Ventisette somigliano oggi alla celebre formula che Zhou Enlai dedicò a sovietici e americani negli anni della prima distensione: dormono nello stesso letto, ma non fanno gli stessi sogni.
Gli inglesi, con altri, non pensano e non credono al progetto di Europa politica che ispirò i Sei fondatori, in Polonia e in altre contrade dell’Est il nazionalismo degli oppressi non si è ancora stemperato, il vecchio asse portante franco-tedesco è in crisi da anni, barriere condizionanti vengono alzate persino in Olanda... E la vera questione che l’Europa del reale pone ai suoi membri, allora, stride terribilmente con le luminarie celebrative di Berlino: si vuole salvare l’unanimità e trasformare l’Unione in un Villaggio Potemkin destinato ad essere travolto nel mondo multipolare e globalizzato ormai alle porte, oppure gli integrazionisti più convinti metteranno sotto controllo i dissensi che lacerano anche loro e troveranno la forza di costituirsi in avanguardia?

Franco Venturini

L’Europa ha fallito... L’Europa ha commesso numerosi errori e continua a commetterne. Non ha un piano, non sa che cosa vuole, elabora una Costituzione che alcuni Paesi rifiutano, entra in crisi, non sa come risolverla. Vuole essere un contrappeso nel gioco mondiale della politica. Ma non ha consistenza. Siamo passati da 12 a 15, poi a 25, fino a 27. E adesso, chissà, entrerà la Turchia. Uno è portato a chiedersi: invaderemo l’Asia? Tutto è Europa? Com’è che la Turchia è Europa? Serve un’operazione di prestidigitazione mentale per convincerci che la Turchia è Europa. E poi: quando uno scrittore come Orhan Pamuk viene costretto ad abbandonare la Turchia, c’è di che preoccuparsi...
È molto chiaro ora che sarà la Germania a guidare l’Europa, secondo criteri che speriamo siano comunitari. Anche se sappiamo che ogni Paese continua a difendere i propri interessi esclusivi, egoistici, e in fondo non si preoccupa molto dell’Europa, ma di che cosa se ne può ricavare per il proprio sviluppo. Sono sintomi abbastanza inquietanti...

José Saramago

Benedetto XVI è tornato sui tre punti centrali in cui vede la malattia mortale del continente europeo.
Il primo è la “crisi demografica”, che «causa enormi difficoltà alla coesione sociale», ma soprattutto rivela che l’Europa «sta perdendo fiducia nel proprio avvenire», né vede nei suoi governanti chi sia in grado di rassicurarla... In secondo luogo, l’Europa vive una «singolare forma di apostasia da se stessa, prima ancora che da Dio», nel senso che «dubita della sua stessa identità». La radice di questa apostasia è la paura non solo del Cristianesimo, ma di una legge morale condivisa che s’imponga a tutti, credenti e non credenti. Persa nel relativismo, l’Europa dubita che i valori che emergono dalla sua storia siano “valori universali”. Così, non è in grado di difenderli quando sono aggrediti da chi è portatore di altri valori opposti e incompatibili, e reagisce proponendo un «bilanciamento di interessi»...
Il terzo aspetto della crisi europea è il laicismo delle istituzioni e delle leggi, che «nega ai cristiani il diritto stesso d’intervenire come tali nel dibattito pubblico»… Il relativismo, dopo avere corroso la fede, oggi attacca anche la ragione e nega «l’esistenza certa di una natura umana stabile e permanente, fonte di diritti comuni a tutti gli individui, compresi coloro stessi che li negano...». Anche qui, l’appello ai cristiani presenti nella vita pubblica perché «difendano strenuamente» la verità, e la condanna di chi accetta «compromessi sui valori essenziali come quelli sulla vita e sulla famiglia».

Massimo Introvigne

 

 

L’Europa non nasce da eventi interni alle aree abitate o invase dai tanti popoli esistenti nel suo spazio geografico. Dalla Palestina il Cristianesimo, da Bisanzio il Diritto romano furono gli assi lungo i quali si andò svolgendo la civilizzazione dei popoli europei. La predicazione del Vangelo insegnò ai barbari le virtù della mitezza, dell’amore del prossimo e dei lontani, finanche dei nemici. Le opere di pietà alleviarono la povertà, le sofferenze delle malattie, le sfortune e le ingiustizie dell’esistenza. La grande eredità della cultura greco-romana fu preservata e tramandata, insieme al lascito particolarmente prezioso nelle scienze esatte di quella araba. La logica occidentale si costruisce nelle università francescane della Sorbona e di Oxford. San Tommaso accoglie Aristotele nel pensiero cristiano insegnando dalle cattedre di Parigi e di Napoli. Le abbazie benedettine facevano rinascere la conoscenza perduta degli attrezzi e delle tecniche evolute dell’agricoltura romana, e con essa restituivano alla fertilità terre desertificate, o sommerse da paludi o coperte da foreste. La vita cittadina risorse in quei luoghi che la regressione barbarica aveva devastato e ridotto in rovina.
Alla riorganizzazione amministrativa, giuridica, politica degli Stati, come a quella economica e domestica dei privati contribuì il Diritto romano, anch’esso annodato al Cristianesimo, come svela il proverbio medievale, che del diritto autore è l’uomo, della giustizia Dio. Finché non si giunge allo scisma che divide l’Europa in due, luterana a Nord, cattolica a Sud. E poi alla reattività cattolica al pensiero scientifico e filosofico moderno, con errori che la Chiesa stessa oggi ha riconosciuto. La secolarizzazione della mente, dei costumi sociali, la laicità dello Stato sono svolgimenti che chiamano in causa il Cristianesimo, lo avversano, ma ne derivano. Non si dà identità alla storia d’Europa, prescindendo dal Cristianesimo...
Anche la fede vive nella storia, e la storia va ricordata e vissuta insieme. Un Dio nascosto nell’intimità di una coscienza muore con quella, e a poco a poco non abiterà più nella società che lo ha dimenticato.

Francesco Paolo Casavola

I meno pessimisti osservano che tutti i passi verso l’integrazione sono stati sempre lenti. Per esempio, l’evoluzione dei Trattati, dopo quello fondamentale di Roma del 1957, si è sviluppata ciclicamente ogni quattro o cinque anni: Maastricht nel 1992, Amsterdam nel 1997, Nizza nel 2001. La regolarità di questi cicli politici si è quindi interrotta bruscamente nel 2005, col ripudio francese e olandese del Trattato costituzionale, concepito e proposto agli europei come fondamento basilare di uno Stato federale, o meglio confederale, destinato ad estinguere orgogli e pregiudizi dei vecchi e ormai impotenti Stati nazionali.
Tutto il 2006 si è svolto sotto la cappa del naufragio costituzionale, immobilizzando il dinamismo unitario e fomentando i mai sopiti istinti egocentrici nei vecchi Stati dell’Ovest europeo e in quelli rinnovati dell’Est. Dopo Berlino, ora è da vedere se l’arresto ha segnato soltanto un’interruzione momentanea dei cicli confederativi o se, invece, si trasformerà in un immobilismo cronico e quindi, in parole povere, in una rinuncia generale dei Ventisette all’idea stessa di un’Europa compatta, riformata, moderna: un’ancella sussiegosa ma disarticolata e periferica negli scenari planetari del XXI secolo.

Enzo Bettiza

Al di fuori della “tigre irlandese”, diventata tale dopo aver adottato con decisione politiche liberiste, e della Gran Bretagna, che cresce a ritmi accettabili, i Paesi nordici sono emersi dalle gravi recessioni di inizi anni Novanta con rinnovata energia. Come? Hanno adottato politiche liberiste nei mercati del lavoro e dei beni, seppure con ben congegnati sistemi di sicurezza sociale.
La Germania è riuscita ad ampliare le quote di mercato all’estero grazie alla moderazione salariale, ma questa non sarà sufficiente senza riforme più incisive del mercato del lavoro...
In Europa ci sono poi i Paesi problematici. Il Portogallo è in una situazione tale per cui rischia (esso sì, non l’Italia) di uscire dall’euro. Aumenti salariali non accompagnati da guadagni di produttività e forti incrementi di spesa pubblica hanno messo in ginocchio la sua economia. La Francia appare irriformabile, visto che qualunque tentativo di liberalizzazione viene accolto dalla guerriglia urbana... Intanto i Paesi dell’Europa centrale e orientale continuano a crescere a ritmi sostenuti...
Insomma, l’Europa cresce un po’ più che nel disastroso primo quinquennio del secolo. Invece di cantar vittoria, sarebbe il momento di consolidare i risultati con le riforme di cui tutti parlano e (quasi) nessuno fa. Oppure ci si può accontentare di andare avanti sul sentiero del basso sviluppo, preparandosi al declino relativo dell’Europa occidentale.

Alberto Alesina

 

 

   
   
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