Dicembre 2006

Un altro mondo

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Tramonto
del Fondo monetario
Ferdinando Ragusa  
 
 

 

 

 

 

I prestiti del Fmi
e della Banca Mondiale sono spesso serviti
a sostenere
i dittatori,
ad allargare le
attività statali
a spese delle
imprese private
e ad alimentare corruzione e sprechi.

 

Il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, meglio nota con il nome di Banca Mondiale, vennero ufficialmente istituiti nel luglio 1944, in occasione della Conferenza di Bretton Woods. Poi gli Stati Uniti adottarono il sistema basato sulla convertibilità del dollaro in oro (stimato 35 dollari l’oncia) e altri Paesi agganciarono le loro valute non direttamente all’oro, ma al dollaro americano. Il compito principale di questo sistema è stato per anni quello di garantire stabilità e integrità al sistema monetario internazionale.
Anche il Fmi aveva l’incarico di ristabilire e mantenere liberi i mercati valutari, di abolire tassi di cambio multipli e controlli valutari e di promuovere la stabilità dei tassi di cambio. I Paesi dovevano chiedere l’approvazione del Fmi per poter variare i propri tassi di cambio, al fine di ottenere la loro stabilità.
Nei primi anni, il Fondo si concentrò sull’eliminazione delle restrizioni valutarie e commerciali, introdotte dai Paesi industriali durante la Grande Depressione e negli anni della guerra, cioè negli anni Trenta e Quaranta. Alla fine degli anni Cinquanta, i Paesi industriali avevano in gran parte ripristinato le valute convertibili a tassi di cambio fissi. Ma né il Fmi né l’amministrazione interna delle economie dei Paesi industriali erano stati in grado di mantenerli. Il contrasto tra gli interessi a livello nazionale della Gran Bretagna e i suoi interessi a lungo termine in qualità di gestore dell’area della sterlina comportò diverse svalutazioni forzate della divisa britannica sulle altre valute.

In seguito, il deficit cronico degli Stati Uniti, verificatosi durante la guerra in Vietnam, e il voler perseguire allo stesso tempo i programmi di welfare a livello nazionale costrinsero il presidente Richard Nixon a chiudere la convertibilità del dollaro il 15 agosto 1971, allo scopo di frenare l’assalto speculativo al dollaro. L’ultimo punto fermo per il sistema dei tassi di cambio fissi, la convertibilità del dollaro in oro a un prezzo garantito, venne così abbandonato. Sin dal 1971 il mondo vive con un sistema monetario inconvertibile, nel quale il prezzo di una valuta rispetto a un’altra dipende solo dalla forza della domanda e dell’offerta sul mercato.
Ma con la fine degli accordi di Bretton Woods è venuta meno anche la funzione primaria del Fmi. Era stato creato per contribuire a mantenere stabili i tassi di cambio: uno scopo ormai inutile. Sin dal 1969 quei tassi hanno subìto oscillazioni, talvolta anche molto forti. Non serviva più un’agenzia internazionale che prestasse denaro ai Paesi che dovevano affrontare un problema della bilancia dei pagamenti per evitare che tassi di cambio stabili subissero mutamenti e che le valute registrassero una svalutazione. Le risorse del Fondo sono ancora aumentate notevolmente, passando da 35 miliardi di dollari nel 1979 a 326 miliardi a metà 2006.
Nel 1915 Robert Michels, sociologo francese, aveva pubblicato un libro profetico, Political Parties (nell’edizione italiana, Sociologia del Partito Politico). Nel testo, Michels aveva teorizzato «la legge ferrea dell’oligarchia». Secondo l’autore, ogni organizzazione, indipendentemente dal motivo per il quale è nata, crea a suo vantaggio interessi specifici. E anche per il Fmi mantenimento ed espansione dell’organizzazione ben presto sono diventati gli obiettivi primari. Per poter conservare e ampliare le proprie risorse e attività, nel corso degli ultimi sessant’anni i vertici del Fmi sono andati alla ricerca di un nuovo ruolo e di un nuovo settore in cui far uso dei loro vecchi poteri. Una di queste funzioni era quella di mantenere la liquidità internazionale, con la creazione dei “Diritti speciali di prelievo”, l’equivalente internazionale del credito bancario.
Il Fondo ha fornito un’assistenza temporanea in termini di bilancia dei pagamenti per i Paesi in via di sviluppo, ma ha preteso in cambio politiche di “austerità” o “condizionalità”. Questa ha significato tasse più elevate, minore spesa e una svalutazione che il Fmi ha creduto potesse aiutare i Paesi beneficiari a sistemare i problemi di bilancia commerciale. La condizionalità ha portato a una riduzione delle importazioni e a un aumento delle esportazioni, allo scopo di ottenere valuta estera sufficiente per far fronte al pagamento di interessi sul debito estero e per rimborsare gli investitori stranieri che avevano concesso prestiti. Però le politiche di austerità del Fmi spesso hanno gettato i Paesi beneficiari nella recessione, accrescendone la disoccupazione.
Un altro nuovo ruolo del Fmi è stato quello di indurre le banche private a prestare denaro ai governi nei Paesi meno sviluppati, dando alle banche stesse una garanzia implicita: che il Fondo sarebbe intervenuto se per questi Paesi fosse divenuto impossibile far fronte ai debiti.

I salvataggi rientravano nelle politiche standard fino a quando l’Argentina nel 2001 ha deciso di fare da sé, di svalutare la sua moneta e di truffare i suoi creditori, promettendo di rimborsarli con un deprezzamento di circa 30 centesimi per dollaro. L’Argentina ha distrutto la credibilità delle garanzie di salvataggio del Fmi. La buona notizia è che adesso i privati che concedono prestiti ai Paesi in via di sviluppo si addossano in toto il rischio, proprio così come doveva essere.
L’aspetto peggiore, comunque, è che i prestiti del Fmi e della Banca Mondiale sono spesso serviti a sostenere i dittatori, ad allargare le attività statali a spese delle imprese private e ad alimentare corruzione e sprechi. L’assistenza finanziaria internazionale troppo spesso ha portato alla stagnazione anziché all’accelerazione del progresso economico nei Paesi in via di sviluppo.
Il Fmi è diventato inutile negli ultimi dieci anni con l’ascesa della Cina, dell’India, del Brasile e delle altre “tigri” dell’Asia orientale e del Sud-Est asiatico. Questi Paesi hanno creato ricchezza per miliardi e miliardi di dollari attraverso uno sviluppo orientato al mercato, hanno accumulato centinaia di miliardi di dollari di riserve in valuta estera e da tempo non considerano più il Fmi una fonte di finanziamento. I Paesi asiatici sono diventati creditori degli Stati Uniti e concedono prestiti ai Paesi dell’America Latina e dell’Africa. I Paesi dell’Europa centrale e orientale che recentemente hanno raggiunto il successo si sono sviluppati senza dover ricorrere al Fmi.
L’ultimo vertice del Fmi, a Singapore, ha suscitato clamore per avere aumentato i diritti di voto della Corea del Sud e della Cina: ma la riunione non è servita per trovare una soluzione alla perdita del suo compito istituzionale. Il Fondo vuole assumere il ruolo di “consulente economico globale”, dando consigli ai governi su come correggere gli squilibri globali, i tassi di cambio instabili e l’accumulazione delle riserve della Banca centrale, non preoccupandosi del fatto che queste tendenze danneggeranno la crescita a livello planetario.
Ma nessun Paese ha bisogno di consigli da parte del Fondo per sapere come aprirsi al commercio e agli investimenti esteri. Serve solo la volontà politica per raggiungere questi obiettivi. Nessun Paese ha bisogno dei consigli del Fondo per comprendere quali siano le politiche economiche a favore di una crescita. Basta recarsi nei Paesi baltici come l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, o visitare le tigri asiatiche come la Corea, Hong Kong, Taiwan, Singapore, e la stessa Cina. Nessun Paese ha più bisogno del Fondo nemmeno come ultima risorsa per un prestito: tutti hanno accesso diretto ai mercati finanziari globali.
Anche i consigli dati a Giappone e Cina di rivalutare le loro monete rinnegano l’obiettivo originario del Fondo, cioè quello di promuovere la stabilità dei tassi di cambio. La Cina e le altre tigri asiatiche hanno gestito decisamente meglio le loro economie, con la Cina che ha una crescita annua del 9 per cento per 25 anni, rispetto a quei Paesi che si son fatti dare denaro e consigli dal Fmi.
Certo, il Fondo assolve una serie di funzioni, oltre a concedere prestiti. Il Rapporto 2006 ha dedicato dieci pagine all’assistenza tecnica e alla formazione in aree di programma come prevenzione di crisi, riduzione della povertà, risoluzione e gestione delle crisi stesse, gestione finanziaria pubblica, vigilanza bancaria e lotta contro il riciclaggio di denaro sporco, miglioramento dei sistemi statistici nazionali e sviluppo di mercati mobiliari locali, per menzionare solo alcune delle aree chiave coinvolte. Ma il Fmi non ha competenze specialistiche nelle aree della prevenzione e risoluzione di crisi e della riduzione della povertà, aree di particolare rilievo. L’esperienza dei Paesi in via di sviluppo che hanno avuto successo è molto più utile come fonte di consigli e di esperienza.
Il Fmi può essere d’aiuto quando si tratta di assistere Paesi nell’applicazione delle imposte sul valore aggiunto, decisamente migliori rispetto alle imposte sulle vendite al dettaglio e ai dazi sulle importazioni che ingiustamente escludono prestazioni professionali, che sono difficili da mettere in atto e non riescono nemmeno a generare entrate sufficienti per finanziare persino le limitate funzioni essenziali del governo in regioni come l’America centrale. Comunque, il Fondo ha bisogno di meno risorse e di minore personale per portare a termine i pochi programmi costruttivi che gestisce. Questi possono essere eseguiti allo stesso modo, se non meglio, da società private di consulenza e da economisti formati sul mercato dei Paesi ospitanti. Non esiste alcuna giustificazione per l’esistenza di un ente internazionale finanziato dai contribuenti, le cui poche funzioni utili possono essere svolte da imprese private.
La stessa cosa vale senza dubbio per la Banca Mondiale, per le numerose banche internazionali regionali e forse, soprattutto, per le Nazioni Unite. Il mercato globale ha ampiamente eliminato la necessità di avere il Fmi. È giunto il momento di rispedire a casa i superpagati dipendenti di queste istituzioni (i funzionari del Fmi e della Banca Mondiale negli Usa sono esonerati da imposte sul reddito) e di obbligarli a guadagnarsi da vivere. Se riusciranno a trovare un posto di lavoro nei settori privati delle loro rispettive economie.

 

   
   
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