Dal Messico alla Bolivia, dal Perù al
Guatemala,
gli indigeni
conquistano
posizioni di potere, in terre spesso ricche di materie prime, di
petrolio, di gas.
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Era il backyard, il cortile di casa degli Stati Uniti. Un continente
che la dottrina Monroe, enunciata al Congresso Usa il 2 dicembre
1823 da quel presidente americano, aveva di fatto trasformato in
un protettorato che garantiva a Washington laccesso esclusivo
alle materie prime e ai mercati a sud del Rio Grande-Rio Bravo.
Una sfera dinfluenza mantenuta per tanti decenni con ogni
mezzo a disposizione della Casa Bianca: pressioni politiche, interventi
della Cia, azioni militari, colpi di Stato, accordi commerciali.
Oggi, basta uno sguardo alla carta geografica per capire che quellepoca
è finita. Molti Paesi latino-americani sono per la prima
volta simultaneamente retti da governi nazionalisti o di sinistra,
moderati o radicali, che la superpotenza del Nord non è più
in grado di controllare.
Impegnata sui fronti medio-orientali, distratta dalla guerra al
terrorismo islamico, lAmerica ha quel cortile
ormai pieno di nemici. Primi fra tutti, i fautori della rivoluzione
bolivarista (guidati dal Venezuela e dai petrodollari venezuelani),
che stigmatizzano limperialismo yanqui e guadagnano
crescenti consensi in quel 40 per cento di popolazione latino-americana
che vive al di sotto della soglia della povertà.
Dunque: cinque secoli dopo la conquista europea, lAmerica
Latina riafferma la propria indipendenza: esulta lintellettuale
americano più amato dalla izquierda, dalla sinistra,
Noam Chomsky, secondo il quale il naufragio del modello liberista
degli anni Novanta è stato fondamentale nella genesi della
marea rossa che ha investito il sub-continente. Alle ricette del
Fondo monetario e della Banca mondiale (stretta finanziaria, privatizzazioni,
tagli alla spesa) che, complici le crisi monetarie, avevano amplificato
le diseguaglianze sociali, accresciuto la disoccupazione e gettato
sul lastrico le classi medie, i leader premiati dalle urne hanno
risposto riappropriandosi delle risorse nazionali e rafforzando
il ruolo dello Stato.
I sistemi politici sono diversi, le pulsioni ideologiche spesso
discordanti: nazionalismo energetico e indigenista, socialismo pragmatico,
laburismo riformista... Gli Stati Uniti restano il principale mercato
di sbocco dellAmerica Latina. Ma se i nuovi leader sanno di
non poter rischiare uno scontro con Washington, nessuno è
più disposto ad abitare e a prendere ordini nel backyard
della Casa Bianca.
Merito anche o soprattutto della presa di coscienza
delle popolazioni autoctone. «Tornerò e saremo milioni»,
aveva promesso nel 1782 Tùpac Amaru, ultimo leader degli
indios inca del Perù, poco prima di essere ucciso dagli spagnoli.
La profezia, 235 anni dopo, sembra avverarsi. Dal Messico alla Bolivia,
dal Perù al Guatemala, gli indigeni (aymara, maya, inca,
Quichè, meticci) conquistano posizioni di potere, in terre
spesso ricche di materie prime, di petrolio, di gas.
Ai tempi di Cristoforo Colombo i latino-americani originari erano
90 milioni. Oggi sono solo 50 milioni, in buona parte concentrati
in Bolivia (66,2 per cento della popolazione), in Guatemala (43
per cento), in Perù (40,2 per cento), in Messico (12 per
cento), in Cile (7 per cento), in Ecuador (40,2 per cento), in Belize
(18,7 per cento), in Nicaragua (7,7 per cento), in Honduras (7,2
per cento), in Salvador (10 per cento).
In America Latina, sostengono gli esperti di antropologia delluniversità
del Chiapas, non esiste ancora un progetto comune indigeno, anche
se si pensa di vararlo: il movimento attuale è la somma di
molte correnti che si rifanno a tre aspetti fondamentali, cioè
la lotta agraria, lidentità, lantiliberismo.
Ma cè chi è disposto a finanziare rivoluzioni
nuove, ma dal nome antico: quella degli aymara e dei quechuas che
dovrebbero prendere il potere in Chinchaysuyo (Ecuador e parte della
Colombia), in Contisuyo (Perù), in Antisuyo (parte di Bolivia
e Brasile) e in Coyasullo (parte di Bolivia, Cile e Argentina),
avendo come obiettivo lantico impero inca.
La miccia che favorisce la crescita del movimento indigeno è
la povertà. I nativi in miseria sono il 64,3 per cento in
Bolivia, l86,6 in Guatemala, l80,6 in Messico. E lo
scrittore peruviano Mario Vargas Llosa lancia lallarme: «Sta
nascendo un nuovo razzismo appoggiato dalla sinistra stupida, quello
degli indios contro i bianchi». Una sinistra, però,
da non confondere con il castrismo e con il suo anacronistico impasto
di repressione sociale e di economia centralizzata: modello ormai
ampiamente superato.
Le nuove sinistre latino-americane, nel loro insieme, hanno altri
tratti distintivi: unampia pluralità delle forme di
organizzazione (partiti, fronti, movimenti); una ricerca di multiculturalismo
estranea alla vecchia ideologia comunista; il riconoscimento delleconomia
di mercato temperata da profondi interventi sociali: tutta roba
indigesta per il vecchio lider maximo, inguaribilmente
prigioniero della mitologia marxista, ma convinto che tutto quel
che sta accadendo nel subcontinente possa vedere in lui il collante
per il Sud del mondo che respinge le teorie neoliberiste.
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