Dal Messico alla Bolivia, dal Perù al
Guatemala,
gli indigeni
conquistano
posizioni di potere, in terre spesso ricche di materie prime, di
petrolio, di gas.
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Stanchi di dover pulire le latrine, a metà ottobre poco
più di diecimila intoccabili indiani si sono
convertiti, abbandonando linduismo e abbracciando il buddismo
(la più gran parte) e il cristianesimo (una cospicua minoranza).
Migliaia di gesti simbolici che, se comunque non faranno loro cambiare
lavoro e meno che mai li faranno uscire dal rigido sistema delle
caste, tuttavia rappresentano una denuncia fortissima della condizione
ancora terrificante in cui versano, sebbene il sistema di discriminazione,
legato proprio allinduismo, sia stato formalmente abolito
negli anni Cinquanta del secolo scorso. Una conversione in massa,
dunque, ricca di significati non soltanto religiosi, ma anche sociali
e politici.
Nagpur, Stato del Maharashtra, è la città al cuore
dellIndia, proprio nel centro del Paese, lo zero point
dal quale è necessario partire per misurare tutte le distanze.
La cerimonia che vi si è tenuta è stata straordinaria.
I monaci buddisti, nelle tradizionali tuniche color arancione, cantavano
i loro mantra, mentre invitavano i neofiti a non adorare più
alcun dio hindu e a non frequentare più alcun tempio legato
a quella religione. I preti cristiani battezzavano altri, in piscine
adattate lì per lì sul posto, mentre dozzine di agenti
di polizia in tenuta anti-guerriglia proteggevano il parco in cui
si celebravano le cerimonie.
La clamorosa protesta è stata un intreccio di politica e
di religione. La data scelta era quella del cinquantesimo anniversario
della conversione al buddismo di Bhimrao Ramji Ambedkar, un padre
della patria, principale estensore della Costituzione indiana, un
intoccabile, radicalmente critico del Mahatma Gandhi, che passò
la vita a lottare contro le caste e le innumerevoli sottocaste previste
dalla tradizione indù. Ma lobiettivo dichiarato era
molto attuale: denunciare le leggi che, in alcuni Stati dellIndia,
cercano di impedire le conversioni, le quali, se non liberano i
dalit in questo modo sono attualmente chiamati gli intoccabili
da un ampio disprezzo sociale, almeno danno a chi le compie
la libertà interiore per ribellarsi alla schiavitù
delle caste. In sette Stati governati dal Partito nazionalista Hindu,
il Bjp, in tempi recenti sono state votate leggi che pretendono
certificati e permessi dai tribunali prima delle conversioni, per
stabilire che queste non siano state forzate o estorte, ma frutto
di una reale libera scelta. Qualcosa di anticostituzionale, dicono
molti.
Il problema è estremamente serio. Tantè che
alcuni mesi prima (a metà maggio, per la precisione) papa
Benedetto XVI si era detto preoccupato per i «segni di intolleranza
religiosa che si registrano in alcuni Stati indiani». Delle
parole del Pontefice romano, il ministro degli Esteri di Nuova Delhi
si era detto dispiaciuto; i politici del Partito Hindu
avevano anche protestato con una certa decisione. Ma la manifestazione
della conversione di massa indica che papa Ratzinger aveva colpito
nel segno: il problema esiste ed è sentito. Anche se non
è soltanto di natura religiosa.
Del miliardo e 100 milioni di indiani, il 16 per cento sono dalit,
la casta inferiore (sulle migliaia di caste e sottocaste catalogate
dallinduismo) sulla quale possono, per tradizione di tre millenni,
infierire tutti gli altri, in particolare gli appartenenti alle
altre quattro caste previste: quella brahmin, che è al vertice
della società indiana, e quelle kshatriya, vaishya e shudra,
irraggiungibili dai dalit perché considerati impuri.
Anche se in taluni casi si tenta di favorire una qualche forma di
integrazione, agli intoccabili spettano i lavori più umili.
Secondo dati ufficiali, per esempio, 676 mila dalit vivono pulendo
a mano le latrine e caricandosi i sacchi di escrementi sulla testa
per portarli alle discariche. È una condanna che passa di
padre in figlio. In molte parti del Paese, soprattutto tra gli 800
milioni di abitanti dei villaggi, la discriminazione è spesso
ancora totale. Nel senso che, per esempio, le donne dalit non possono
attingere acqua dai pozzi: devono aspettare, «a testa bassa
e con postura supplichevole», che qualcuno lo faccia per loro.
Ai figli devono insegnare il comportamento appropriato rispetto
alle caste superiori, soprattutto che non devono, nemmeno accidentalmente,
toccarle.
NellIndia che diventa grande potenza, fornita fra laltro
di armi atomiche, nelle metropoli tecnologiche del tipo Bangalore,
fra le più sviluppate e intraprendenti al mondo anche sotto
il punto di vista della ricerca scientifica e della registrazione
di brevetti, nelle fabbriche di software, nei laboratori sperimentali
e nelle università, la discriminazione è sempre meno
drammatica.
Nelle periferie e nelle campagne, dove è ancora fortissima,
cresce invece la ribellione, e con la ribellione cresce lemigrazione,
che fornisce in modo particolare agli Stati Uniti quantità
impressionanti di materia grigia, dal momento che gli indiani hanno
speciale versatilità nelle scienze matematiche, fisiche,
chimiche, e nei settori dellinformatica e delle telecomunicazioni.
Allora, per emergere realmente in tutta la sua grandezza, la nuova
India deve liberarsi del tutto dal sistema delle caste. Non cè
divinità che tenga.
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