Dicembre 2006

Un altro mondo

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Promessa indiana
Ila Aadajan  
 
 

Questo
straordinario Paese ha migliorato
la propria
competitività
in maniera
considerevole
a partire dal 1991.

 

Il mondo ha scoperto il modello di sviluppo dell’India soltanto negli ultimi anni, anche se l’economia indiana è cresciuta a un tasso medio annuo del 6 per cento nel periodo compreso tra il 1980 e il 2002, e del 7,5 per cento nei quattro anni successivi, mostrando di essere uno dei migliori modelli di sviluppo del pianeta dell’ultimo quarto di secolo. Negli scorsi vent’anni la classe media indiana (250 milioni di persone) ha più che quadruplicato il potere d’acquisto e il reddito pro capite è passato dai 1.178 dollari americani del 1980 agli attuali 3.015.
Il modello indiano è diverso da quello cinese, dal momento che non si basa sull’export di prodotti a basso costo e a forte utilizzo di manodopera, ma sulla crescita del mercato domestico, sui consumi interni più che sugli investimenti, sui servizi più che sull’industria e sull’high-tech più che sui manufatti di medio e di basso livello. Il cinquanta per cento della popolazione è sotto i venticinque anni, e questo dato conferma l’espansione dei consumi. Il risultato di questi tipi di sviluppo ha sensibilmente diminuito la disuguaglianza dei redditi più che in altri Paesi: infatti, l’indice che misura la disuguaglianza, su una scala da uno a cento, è pari a 33 per l’India, contro 41 per gli Stati Uniti, 45 per la Cina e 59 per il Brasile.

L’India è un Paese democratico con un sistema giudiziario ispirato a quello britannico, che garantisce, ad esempio, la libertà di stampa, al contrario di quanto accade in Cina. La popolazione è alfabetizzata al 65 per cento in lingua inglese, e in alcuni Stati come Kerala al 91 per cento, Mizoram all’88 per cento e Delhi all’82 per cento. Questo straordinario Paese ha migliorato la propria competitività in maniera considerevole a partire dal 1991: si è assistito a una grande rivoluzione nelle telecomunicazioni, sono sensibilmente diminuiti i tassi di interesse, il capitale è abbondante (sebbene i manager di banche statali, restii nei confronti del rischio, si rifiutino di concedere prestiti ai piccoli imprenditori), sono stati migliorati i porti e le autostrade, e il mercato delle proprietà immobiliari sta diventando trasparente.
Più di cento società indiane hanno una capitalizzazione di mercato superiore a un miliardo di dollari, e alcune di queste, comprese Jet Airways, Bharat Forge, Infosys Technologies, Reliance Infocomm, Tata Motors e Wipro Technologies, stanno diventando marchi competitivi a livello globale. Alla Borsa di Nuova Delhi gli stranieri hanno realizzato investimenti in più di mille società. Su cinquecento aziende, centoventicinque hanno centri di ricerca in India. L’industria high-tech è decollata, e tutti questi mutamenti hanno regolamentato il settore bancario.
I prestiti svantaggiosi attualmente rappresentano meno del 2 per cento del totale dei prestiti (in Cina il valore è al 20 per cento), anche se le mediocri banche statali indiane sono ancora abbastanza lontane dall’essere privatizzate. Allo stato attuale, la crescita viene guidata dai servizi e dai consumi interni: i consumi contano per il 64 per cento del Prodotto interno lordo indiano, mentre per l’Europa si parla del 58 per cento, per il Giappone del 55 per cento e per la Cina del 42 per cento. Secondo l’economista Stephen Roach, di Morgan Stanley, «in India l’approccio alla crescita dei consumi può essere meglio bilanciato rispetto al modello cinese, che è basato sulla mobilizzazione delle risorse».

 

   
   
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