Dicembre 2006

Un altro mondo

Indietro
Il pianeta culturale
India-Celeste Impero
Amartya K. Sen Premio Nobel per l’Economia
 
 

 

 

Se la Cina
arricchiva
il mondo materiale dell’India,
quest’ultima
aveva cominciato
ad esportare il buddhismo in terra cinese perlomeno dal I secolo a.C.

 

I legami culturali tra India e Cina, protrattisi per oltre duemila anni, hanno avuto effetti di vasta portata sulla storia di entrambi i Paesi, ma è raro che oggi vengano ricordati. La scarsa attenzione loro riservata proviene tendenzialmente da storici della religione, in particolare del buddhismo, che nel I secolo cominciò a diffondersi dall’India alla Cina, dove si affermò saldamente fino ad essere in gran parte scalzato, circa un migliaio di anni più tardi, da confucianesimo e taoismo. E tuttavia, la religione costituisce solo un capitolo della ben più ampia storia dei rapporti nel primo millennio dell’era volgare. Rapporti che sarebbe quanto mai auspicabile indagare non solo per consentirci di apprezzare con maggior cognizione di causa la storia di un terzo della popolazione mondiale, ma anche per la forte incidenza di quei legami sulle questioni politiche e sociali di oggi.

Sulla centralità della religione quale fonte di contatto tra India e Cina, e sull’importanza del buddhismo nella circolazione di persone e di idee che si venne a creare fra i due Paesi, non vi sono naturalmente dubbi. Ma lungi dal limitarsi alla religione, l’influenza del buddhismo si estese agli ambiti laici di scienza, matematica, letteratura, linguistica, architettura, medicina e musica. Da minuziosi resoconti di vari visitatori cinesi dell’India, come Faxian nel V secolo e Yi Jing nel VII, apprendiamo che i loro interessi erano tutt’altro che limitati a teoria e pratica religiosa. Analogamente, tra gli eruditi indiani recatisi in Cina, specie tra il VII e l’VIII secolo, si annoveravano non solo esperti di religione, ma anche professionisti di altro genere, come astronomi e matematici. E proprio uno scienziato indiano, Gautama Siddhartha, andò a presiedere nell’VIII secolo il Comitato astronomico della Cina.
Ricchezza e varietà degli antichi rapporti culturali tra Cina e India sono state a lungo ignorate. Un disinteresse consolidato dall’attuale tendenza a classificare la popolazione mondiale in “civiltà” distinte secondo un criterio prevalentemente religioso (si pensi, ad esempio, alla divisione del mondo in civiltà “occidentale”, “islamica” e “induista”, proposta da Samuel Huntington). Di qui, la diffusa attitudine a inquadrare i popoli prevalentemente secondo la fede religiosa, per quanto si perdano di vista, in tal modo, molte cose importanti. I limiti di un tale approccio hanno già fatto danni notevoli alla nostra conoscenza di altri aspetti della storia mondiale delle idee. In linea generale, si propende a considerare la storia musulmana sostanzialmente come storia islamica, ignorando la fioritura di scienza, matematica e letteratura resa possibile dagli intellettuali musulmani, in particolare tra l’VIII e il XIII secolo.
Una delle conseguenze di questa angusta enfasi sulla religione è che l’odierno attivismo protestatario arabo è incoraggiato ad agitare unicamente la bandiera della purezza dell’Islam, piuttosto che quella della diversità e della ricchezza della storia araba. Né sono infrequenti i tentativi di ridurre la civiltà indiana a una “civiltà induista”, per citare un sintagma caro tanto ai teorici come Huntington che agli attivisti politici induisti.
Vi è poi una strana e distraente differenza nella maniera di guardare alle idee e alla cultura, a seconda che siano occidentali o non-occidentali. Nell’interpretazione di queste ultime, molti commentatori tendono a conferire alla religione un’importanza eccessiva e a trascurarne gli interessi laici. Sono in pochi a ritenere, mettiamo, che l’opera scientifica di Isaac Newton vada letta attraverso la lente del Cristianesimo (per quanto egli fosse di fede cristiana); né si suppone, generalmente, che il suo contributo alla conoscenza scientifica debba essere in qualche modo interpretato alla luce dei suoi profondi interessi in campo mistico (a dispetto dell’importanza che tali speculazioni rivestivano per lui, forse alla base di alcune delle sue ricerche scientifiche). Ma se si tratta di culture non-occidentali, il riduzionismo religioso si rivela una tentazione irresistibile. Gli studiosi ritengono il più delle volte che l’opera intellettuale, per quanto di vasta concezione, di eruditi buddhisti o di seguaci del tantrismo possa essere “interpretata correttamente” solo sotto la luce particolare della fede e delle usanze religiose.

Di fatto, i rapporti tra Cina e India iniziarono con il commercio, non col buddhismo. Circa duemila anni fa, le abitudini di consumo indiane, in particolare tra le fasce abbienti della popolazione, furono radicalmente influenzate dalle innovazioni provenienti dalla Cina. Un trattato di economia e politica del grande studioso sanscrito Kautilya, scritto originariamente nel IV sec. a.C., ma ritoccato alcuni secoli più tardi, accorda un posto di riguardo, tra gli «articoli preziosi» e gli «oggetti di valore», alla «seta proveniente dalla terra di Cina». L’antico poema “Mahabharata” contiene riferimenti a tessuti serici cinesi (cinamsuka) offerti in dono, e accenni analoghi troviamo nelle antiche “Leggi di Manu”.
La natura esotica dei prodotti cinesi veniva colta in numerose opere letterarie sanscrite durante la prima metà del primo millennio dell’era volgare, come nel dramma del V secolo “Sakuntala”, opera di Kalidasa, forse massimo poeta e drammaturgo della letteratura sanscrita classica. Scorgendo durante una battuta di caccia la stupenda eremita Sakuntala, il re Dusyanta, estasiato dalla sua bellezza, illustra la propria passione paragonandosi all’agitarsi di una bandiera serica: – Il mio corpo va avanti, / ma la mia mente si ritrae riluttante / come seta cinese di uno stendardo / agitato dal vento –. Nel dramma “Harsacarita”, scritto da Bana nel VII secolo, la radiosa Rajyasri si presenta al suo matrimonio deliziosamente adorna di elegante seta cinese. Nello stesso periodo, la letteratura sanscrita abbonda di riferimenti ad altri prodotti cinesi affermatisi in India, tra cui la canfora (cinaka), il cinabro (cinapista), il cuoio di alta qualità (cinasi), il frutto delizioso della pera (cinarajaputra) e quello della pesca (cinani).
Se duemila anni fa la Cina arricchiva il mondo materiale dell’India, quest’ultima aveva cominciato ad esportare il buddhismo in terra cinese perlomeno dal I secolo a.C., quando due monaci indiani, Dharmaraksa e Kasyapa Matanga, si recarono in Cina su invito dell’imperatore Mingdi della dinastia Han. Da allora, e fino a tutto l’XI secolo, eruditi e monaci indiani affluirono sempre più numerosi in Cina. Centinaia di studiosi tradussero in cinese, con rapidità straordinaria, migliaia di documenti sanscriti, testi buddhisti per la maggior parte. Questo alacre lavoro di versione si arrestò nell’XI secolo, ma ancora tra il 982 e il 1011 venivano tradotte più di duecento opere sanscrite.
Il primo erudito cinese a redigere una minuziosa cronaca del suo viaggio in India fu Faxian, dotto buddhista partito dalla Cina occidentale in cerca di testi sanscriti da diffondere nella propria lingua. Dopo un difficile viaggio lungo la via settentrionale di Khotan (dalla forte presenza buddhista), giunse in India nel 401. Dieci anni dopo, faceva ritorno in patria via mare, partendo dalla foce del Gange (non lontano dall’odierna Calcutta), passando per lo Sri Lanka buddhista e per l’induista Giava. Faxian percorse l’India in lungo e in largo, raccogliendo documenti che in seguito tradusse in cinese. I suoi Annali dei regni buddhisti sono un illuminante resoconto di viaggio su India e Sri Lanka. Gli anni trascorsi a Pataliputra (o Patna) furono dedicati allo studio di lingua e letteratura sanscrita, oltre che dei testi religiosi, ma i suoi interessi vertevano anche sugli ultimi ritrovati terapeutici indiani.
Il più illustre visitatore cinese dell’India fu Xuanzang, che vi giunse nel VII secolo. Straordinaria figura di studioso, raccolse una gran quantità di testi sanscriti (traducendone parecchi dopo il suo ritorno in Cina), viaggiando da un capo all’altro dell’India per sedici anni, di cui alcuni trascorsi presso il famoso istituto di educazione superiore di Nalanda, non lontano da Patna. Qui, oltre al buddhismo, Xuanzang studiò medicina, filosofia, logica, matematica, astronomia e grammatica. Al suo ritorno in Cina, fu accolto dall’imperatore con grandi onori. A Nalanda studiò anche Yi Jing, il quale, venuto in India poco dopo il viaggio di Xuanzang, abbinò i lavori sul buddhismo a studi di medicina e di sanità pubblica.
Tra i testi tradotti da Yi Jing figuravano opere di adepti delle dottrine tantriche, le cui tradizioni esoteriche davano grande rilievo alla meditazione. Il tantrismo divenne assai diffuso in Cina tra il VII e l’VIII secolo e, in ragione del notevole interesse dei suoi iniziati per la matematica (forse connesso, perlomeno in un primo tempo, con l’ossessione tantrica per i numeri), grande fu l’influenza del tantrismo sulla stessa matematica cinese.
Osserva Joseph Needham che «il più importante tantrista fu [...] il monaco cinese Yi Xing (672-717)», nonché «massimo astronomo e matematico della sua epoca». Questi, che parlava correttamente il sanscrito e aveva un’ottima conoscenza della letteratura matematica indiana, era anche un monaco buddhista, ma sarebbe un errore presupporre nei suoi studi scientifici una valenza specificamente religiosa. Matematico e al tempo stesso seguace del tantrismo, Yi Xing si occupò di vari problemi di analisi e di calcolo, molti dei quali nulla avevano a che vedere con i Tantra. Affrontò problemi classici della disciplina, come calcolare il numero totale delle posizioni possibili negli scacchi. Particolarmente interessato a questioni di calendaristica, su ordine dell’imperatore mise a punto un nuovo calendario per la Cina.
Sempre di calendaristica si occupavano in particolare gli astronomi indiani residenti in Cina nell’VIII secolo, i quali fecero ricorso, nei propri studi, agli sviluppi della trigonometria già emersi in India (ben più avanzati degli originari fondamenti greci della trigonometria indiana). Nello stesso periodo, astronomia e matematica indiane – trigonometria compresa – esercitavano un profondo influsso sulle scienze del mondo arabo attraverso la traduzione di autori quali Aryabhata, Varahamihira e Brahmagupta.
Gli archivi cinesi attestano che in questo periodo svariati astronomi e matematici indiani occuparono posizioni elevate all’interno del Dipartimento per l’astronomia della capitale cinese. Uno di essi, Gautama, oltre a diventarne presidente, fu anche autore di un classico della letteratura scientifica cinese dell’VIII secolo, il grande compendio dell’astronomia “Kaiyvan Zhanjing”. Senza i contatti stretti con i religiosi buddhisti, gli astronomi indiani mai sarebbero andati in Cina, ma le loro opere in ogni caso non possono essere ritenute contributi al buddhismo.

 

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2006