Dicembre 2006

Un altro mondo

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Per le risorse
un concerto multi-laterale
Francis Fukuyama Docente John Hopkins University
 
 

 

 

Dovremmo
cercare istituzioni alternative
piuttosto che
affidare tutte
le nostre speranze
a un solo sistema di governance
globale.

 

La crescente penuria delle risorse – dai minerali al petrolio, all’acqua, alla sicurezza collettiva, al funzionamento di un complesso sistema internazionale – ci impone di riflettere sul modo in cui il sistema globale riuscirà ad affrontare il problema. Appare subito evidente che l’adattamento a questa nuova realtà ha a che fare con il tipo di istituzioni internazionali che saremo in grado di sviluppare e di far funzionare.
Molti dei problemi distributivi creati dalla penuria di risorse saranno risolti da meccanismi di mercato. Ma ci sono anche interessi pubblici, risorse materiali e immateriali, che reclameranno l’intervento dei Governi, e la cooperazione fra gli Stati nel contesto del sistema internazionale.
Ci sono diversi bisogni di base che dovranno essere assicurati per masse di persone. In cima alla lista abbiamo avuto per un lungo periodo la sicurezza di approvvigionamento di risorse naturali, cosa che oggi significa soprattutto la sicurezza di forniture energetiche. Per nostra sfortuna, i maggiori esportatori di energia sono concentrati in una regione del mondo fra le più instabili; e l’aumento dei prezzi del greggio ha spostato l’equilibrio globale del potere a vantaggio di Paesi autoritari che non condividono necessariamente la visione di europei e americani.
Un altro punto riguarda il mantenimento del sistema commerciale globale, indispensabile se vogliamo che il meccanismo dei prezzi funzioni. Infine, esistono potenti fattori esterni negativi, come le emissioni di carbonio e altre forme di inquinamento che determinano da parte di alcuni Paesi l’imposizione di costi e di condizionamenti su altri.
Mancur Olson sosteneva che il bene pubblico può essere garantito sia da un’autorità gerarchica capace di imporre regole al gruppo sia da un protagonista molto più forte di altri, in grado di provvedere unilateralmente quei beni per sé e soprattutto disposto a tollerare incursioni da parte dei soggetti minori, poiché questo contribuisce a lasciargli mano libera e a tutelare il proprio interesse.

In assenza di una fonte gerarchica di regole capaci di farsi rispettare, gli Stati Uniti per molti anni hanno agito unilateralmente nel rifornirsi di alcuni beni vitali. Lo hanno fatto perché erano i più forti e perché avevano troppo da perdere nel caso di una concertazione collettiva che non fosse riuscita a funzionare. Durante la Guerra Fredda, il caso classico di questa impostazione fu un’America che sopportava simultaneamente il peso sproporzionato di mantenere una vasta rete di alleanze e un sistema commerciale aperto. Agendo da importatore di ultima istanza, ha consentito ad alleati non comunisti come il Giappone di ottenere molti vantaggi dall’alto di una generosità dettata, per gli Usa, da motivi di sicurezza. E in un certo senso questo ruolo è continuato in anni più recenti con la Cina, della quale gli Stati Uniti hanno assorbito il surplus produttivo, assicurando in questo modo stabilità al sistema commerciale globale.
Esistono però due problemi con un’America che esercita questo ruolo unilaterale: prima di tutto è necessario che gli statunitensi considerino sempre che assicurare questo interesse generale faccia parte delle proprie esigenze nazionali; e poi occorre che il resto del mondo consideri legittimo questo procedere americano. Entrambi i capisaldi sono attualmente sotto sfida.
Per quanto possa sembrare strano a molti, lanciando la guerra in Iraq l’amministrazione Bush era convinta di provvedere a un bene comune globale – l’eliminazione di un pericolo di armi di distruzione di massa in mano a uno “Stato canaglia” in un’area critica per i rifornimenti energetici – che il resto della comunità internazionale non avrebbe potuto assicurare. Il problema era che molti non-americani vedevano le cose in modo diverso, sia dal punto di vista della legittimità dell’intervento sia soprattutto non avevano fiducia nella valutazione e nella competenza di un’America che si autoproclamava leader. Il tono offeso delle reazioni americane riflette la convinzione statunitense di aver agito allora per l’interesse generale.
Se si guarda al futuro, è difficile non pensare che l’ipotesi di un’America che continua ad assicurare unilateralmente risorse di interesse generale sarebbe alquanto arrischiata: basta pensare, ad esempio, a che cosa potrebbe accadere se in futuro gli Stati Uniti decidessero di affrontare il problema nucleare iraniano in modo non coordinato con gli altri Paesi.
Quale soluzione per questo problema di azione collettiva? Credo che difficilmente istituzioni internazionali globali come le Nazioni Unite saranno in condizioni di far fronte al compito; l’Onu soffre di un grave problema di azione collettiva già adesso al suo interno; le diverse proposte di riforma (ad esempio, nuovi membri nel Consiglio di Sicurezza) potranno probabilmente aumentarne la legittimità, ma la renderanno ancora meno efficace. Il problema è destinato a peggiorare, prima di riuscire a trovare una via d’uscita: a mano a mano che l’influenza cinese sul sistema internazionale aumenta, Pechino sembra portata ad assumere atteggiamenti di difesa della sovranità statale che saranno molto differenti dalle posizioni assunte da Stati Uniti ed Europa, più sensibili ai diritti umani. Il Darfur è un buon esempio.

Una strada più promettente potrebbe essere lo sviluppo di quello che ho chiamato un “multi-multilateralismo”. Cioè l’avvio di una serie di istituzioni internazionali diverse e parzialmente sovrapposte che possano affrontare casi che richiedono un’azione collettiva, compresi quelli che hanno a che fare con la scarsità di risorse, di sicurezza energetica e del traffico marittimo, e via di seguito. Il Kosovo 1999 è un esempio: quando il veto russo impedì al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di agire, Stati Uniti ed Europa fecero entrare in scena la Nato, dove tale veto non poteva scattare. Ovviamente la Nato può essere una soluzione soltanto per una piccola parte dei problemi; il punto è che dovremmo cercare istituzioni alternative piuttosto che affidare tutte le nostre speranze a un solo sistema di governance globale.
Alla fine, mi sembra evidente che gli Stati Uniti dovranno continuare ad offrire una serie di beni globali agendo in proprio; anche perché la maggior parte delle istituzioni multilaterali non funzioneranno senza una partecipazione americana.
Molti europei responsabili, indipendentemente dal livello di opposizione che possono manifestare nel caso iracheno, si rendono conto di questo: temono il ritiro degli Stati Uniti dal sistema internazionale, esattamente come non amano il peso eccessivo della superpotenza americana. Il problema è quindi quello di motivare gli Stati Uniti a partecipare attivamente alla creazione di un mondo multi-laterale. Per fare questo, occorrerà lavorare per superare la tendenza “souverainiste” della cultura politica americana: una tendenza probabilmente rafforzata dagli avvenimenti degli ultimi anni.

 

   
   
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