Dicembre 2006

Conflitti di civiltà

Indietro
L’identità dell’Occidente
Aldo Bello  
 
 

L’Occidente è stato il primo al mondo
a pronunciare
le parole individuo, libertà, diritti umani. Nulla potrà sottrarci questa gloria.

 

Ne hanno parlato Massis, Spengler, Sombart, Dandieu, Ortega y Gasset, Malraux, per citare alcuni autori classici che hanno meditato sulla grandezza e sulla decadenza della nostra civiltà. Che è come dire che hanno presentato una difesa dell’Occidente. Eppure, non tutto è stato detto, e nella crisi che stiamo attraversando con la nostra civiltà messa in discussione, rifiutata a scatola chiusa, condannata senza appello, si deve tentare ancora una volta di guardarsi allo specchio, cercando di scoprire il nostro vero volto dietro le maschere e le smorfie, e di riscoprire le nostre verità, prima che abbia sopravvento il travisamento definitivo.
Non è questione di rifare l’opera poetica di Claudio Rutilio Namaziano (e meno che mai quella di Virgilio riferita alla missione di civiltà di Roma), né di ricostruire pagine apologetiche. Ma al cospetto della marea montante degli odii e delle condanne del mondo occidentale, di fronte all’esaltazione suicida di tanti europei, è necessario ricordare come l’Occidente sia anche qualcosa di diverso: un valore insostituibile, al punto che la sua fine rappresenterebbe oggi la fine di ogni possibile civiltà.

L’Occidente è ritenuto reo di tutte le colpe. Ha invaso il mondo, ha soggiogato popoli che chiedevano solo di vivere in pace, popoli felici, fecondi, prolifici, ben nutriti, che non conoscevano il male, la schiavitù, che vivevano sicuri secondo le loro filosofie. Un’età dell’oro di nuovo genere? Nient’affatto, poiché nel quadro idilliaco che ci viene dato della Cina e dell’Impero Arabo, del Mondo Bantù o dell’Impero Azteco, ritroviamo tutte le effusioni del XVII secolo. A rinnovare oggi il mito del buon selvaggio è proprio chi ci descrive il mondo meraviglioso che preesisteva all’arrivo degli occidentali. Tutte le arti e tutte le raffinatezze risplendevano in quel mondo felice che ignorava la morte il peccato la vergogna l’oppressione la morale: una libera natura per un uomo innocente.
Poi arrivò l’Occidente con il suo rosario di catastrofi. Comparve con i suoi uomini bardati di ferro, assetati di oro, ingannando i poveri popoli che li accoglievano con ospitalità edenica. Guerrieri e mercanti saccheggiavano le ricchezze, asservivano gli uomini, conquistavano le terre; importavano ovunque il terrore, la tortura, la malattia. E li accompagnavano i missionari, distruttori di costumi sani e naturali, che imposero un’ideologia religiosa con lo scopo di velare i traffici e la morte, che calpestarono le antiche credenze adatte ai popoli che le avevano elaborate, che distrussero le culture e, insieme, gli stessi gruppi sociali; che imposero una morale, facendo scoprire a quelle anime semplici il male e il peccato; che dispiegarono il terrorismo psicologico con la prospettiva dell’inferno; che fecero nascere la paura della morte: con un’opera collettiva patibolare peggiore di quella dei guerrieri e dei mercanti.
Tutti rubarono l’anima dei popoli e ne fecero commercio. Da quel momento tutto andò in rovina, i linguaggi furono osteggiati per far posto agli idiomi occidentali, leggi e costumi locali furono scacciati da quelli degli invasori, che tolsero onore e dignità, insieme con la fede ancestrale. Dunque: gli Occidentali (che sono da identificarsi con gli europei) hanno ucciso a tutto spiano, talora distruggendo interi popoli che volevano restare liberi. Così numerose tribù del Nordamerica sono state sistematicamente spogliate mediante contratti fraudolenti, poi rovinate con il “dono” dell’acquavite, infine decimate ogni volta che valicavano i confini delle riserve. Nel Sudamerica si registrano le atrocità di chi “volontariamente” diffuse le malattie europee per provocare epidemie che sterminavano le tribù autoctone. In Cina fu tenace la volontà britannica di introdurre l’oppio, per far fuori i popoli asiatici. Tutto venne utilizzato per l’unico obiettivo di rastrellare ricchezze, materie prime e beni utili all’Europa. E per il lavoro, quest’Europa avrebbe inventato la schiavitù.
Né si tratta di un processo concluso. Finita l’epoca del colonialismo, è subentrata quella dell’imperialismo e dello sfruttamento con altri mezzi. Sono asservite le economie del Terzo e Quarto Mondo, sono affamati e assetati due terzi dell’umanità, prosegue la regolamentazione unilaterale dei prezzi delle risorse, i prestiti chiudono i popoli poveri in una trappola infernale. Tutte le ricchezze continuano a dirigersi verso l’Occidente, senza che gli autoctoni traggano alcun profitto.

Di tutto questo, e di altro ancora, l’uomo occidentale è ormai pienamente convinto. E per lo meno fra gli intellettuali, fra gli “spirituali”, nasce da questa “presa di coscienza” un profondo senso di colpa, emerge un macerante rimorso. Ecco quel che abbiamo fatto, ecco ciò che siamo stati! Se ci guardiamo allo specchio, vediamo riflesso il volto scarnito dalla fame dei bambini del Bangladesh, del Sahel, dell’Etiopia, del Perù, e delle favelas brasiliane. Se ascoltiamo i media, udiamo i discorsi accusatori dei “popoli liberati” che ravvivano il nostro senso di colpa e girano il ferro nella piaga.
E poiché i rimorsi non bastano, diventiamo iconoclasti di tutto ciò che fu, che è Occidente. Dal momento che tutto fu cattivo, tutto va raso al suolo: solo l’arte africana è bella, solo la scienza cinese è vera, solo le rivolte latino-americane sono giuste.
E speriamo che quei “popoli liberati” possano, un giorno o l’altro, liberarci dalla nostra tunica di Nesso, perché soltanto la rovina dell’Occidente, la sua negazione totale sotto tutti gli aspetti, anche i più profondi, nella sua religione, nella sua morale e nelle sue virtù, possono diventare forza espiatrice.
Ci coglie un furore purificatore al pensiero del mondo atroce che i nostri padri ci hanno trasmesso. E siamo pronti a dar fuoco al rogo sul quale noi vogliamo bruciare, nel nome di una Catarsi risolutiva, gli scheletri scoperti nell’armadio delle nostre case pingui e insanguinate.

Vorrei precisare la mia posizione. Accetto tutte le accuse contro il colonialismo e l’imperialismo, e mi sottopongo per primo al giudizio che ne deriva. Tutte le atrocità commesse nel corso dei secoli da Inglesi, Francesi, Olandesi, Spagnoli, Italiani, le porto con me come un rimorso costante, come un fardello insopportabile. Non mi sottraggo alla realtà di essere quel che sono grazie a ciò che hanno fatto le generazioni che mi hanno preceduto. Non sono in grado di compiere la facile operazione di dissociarmi dai feroci antenati dei secoli XVI e XVIII che massacrarono gli Aztechi e che esercitarono la tratta dei negri. Né posso negare che il nostro progresso scientifico e tecnico sia stato legato alla conquista del mondo. Accetto il peso del sangue, dei saccheggi, degli sterminii, perché nulla di quanto è stato compiuto dagli Occidentali, cioè dagli Europei, mi è estraneo, sicché nulla può rendermi del tutto innocente. Ho ereditato tutte le ricchezze, ma anche tutti gli odii accumulati contro i conquistatori.
Accolgo, perciò, la totalità dell’accusa. Ma non sono disposto ad accettare il ripudio di tutto l’Occidente. Riconosco il male che è stato fatto, nego che sia stato fatto soltanto del male. La nostra civiltà è stata costruita sul sangue e sulla rapina? Ogni civiltà è stata costruita allo stesso modo. Ed è il caso di affermarlo senza reticenze e senza ipocrisie, una volta per tutte.
Siamo stati colonialisti e siamo imperialisti. Ma non siamo né gli inventori né i soli attori di questi drammi planetari. Le invasioni arabe dell’Africa del Nord furono colonialismo, e del tipo peggiore. Come quelle turche che crearono l’Impero Ottomano, e quelle grazie alle quali emersero l’Impero Khmer o l’Impero del Tonchino. O le conquiste, le più spaventose tra tutte quelle mai avvenute, di Gengis Khan, il quale durante il suo regno massacrò probabilmente sessanta milioni di persone: più di Hitler, più dello stesso Stalin! E che cosa furono l’invasione globale dei Bantù sui due terzi del Continente Nero, con la creazione di una miriade di regni da parte dei conquistatori; quelle dei Cinesi su un terzo del Continente asiatico; quelle degli Aztechi a danno dei loro vicini, che portarono al sorgere di quello che ci è presentato come il più meraviglioso degli Imperi, distrutto dai sanguinari “Conquistadores”: un Impero che non era altro che una terrificante dittatura su un insieme di popoli schiacciati?
Tutte queste sono state imprese coloniali, con distruzione di culture, di linguaggi, di espressioni d’arte, con genocidi, con deportazioni, con dominii assoluti... No, in questo campo gli Occidentali non hanno inventato nulla. E nemmeno hanno fatto peggio degli altri. Né i loro Imperi hanno avuto maggior durata. Diciamo questo non per discolparci, perché non ci scusa per nulla essere alla pari degli altri, fra i conquistatori e gli invasori. Ma occorre essere consapevoli che non esistono una giustizia e un’innocenza “altrove”. Non c’è alcun Eden promesso, un luogo finalmente scoperto nel quale l’uomo si realizzi compiutamente.
È vero: siamo stati grandi mercanti di schiavi. Ma non si può dimenticare che i primi (dopo la fine del Mondo Antico) a instaurare la schiavitù nell’Africa Nera furono gli Arabi musulmani. Quando vi giunsero, gli occidentali approfittarono delle strutture organizzative create dai medio-orientali per la deportazione di intere tribù negre. I lodatori della società araba, ispirati soprattutto da Rodinson, spiegano seriosamente che la battaglia di Poitiers del 732 fu una vera e propria catastrofe, perché i Franchi, barbari, incolti, rozzi, riportando la vittoria sui cavalieri arabi, raffinati, intelligenti, civili, fecero piombare il mondo nell’oscurantismo, e ritardarono di ottocento anni l’avvento della civiltà: «Basta passeggiare per i giardini dell’Andalusia e vedere quelle capitali da sogno che sono Siviglia, Cordova e Granada, per immaginare cosa sarebbe divenuta la Francia, strappata dall’Islam industrioso, filosofo, tollerante, agli errori inauditi che devastarono in seguito l’antica Gallia asservita prima ai feroci banditi austrasiani e quindi spezzettata, dilaniata, affogata nel sangue e nelle lacrime, svuotata di uomini dalla crociata, gonfia di cadaveri per tante guerre esterne e intestine, mentre dal Guadalquivir all’Indo il mondo musulmano fioriva rigoglioso nella pace sotto l’egida quattro volte felice delle dinastie Omayyade, Abbaside, Selgiuchida, Ottomana...». Questa pagina fu scritta da Claude Farrère nel 1912, e rispecchia esattamente il pensiero di non pochi intellettuali francesi, europei, occidentali.
Il terrore che i popoli provarono dopo il VI secolo di fronte all’invasione araba: pura propaganda! L’annientamento delle popolazioni nordafricane (di cui rimangono solo nuclei berberi e kabili) ad opera degli Arabi: pura invenzione! Le conversioni di massa all’Islam, pena la decapitazione o l’impalamento: episodi minori! I massacri di Armeni, Greci, Serbi, Tessalonicesi, Montenegrini, Georgiani: frutto di scontri occasionali! Il fiume di sangue selgiuchida che fu alla base dell’Impero Ottomano: episodio da dimenticare!
In realtà, le minoranze non furono maltrattate più in Occidente che nel mondo islamico. Il rogo di Monségur non fu peggiore delle cataste di teste mozzate dei sultani abbasidi. Ma il delirio anti-occidentale assume tutte le forme, non escludendo l’arte (che sarebbe nata in Egitto!) e la scienza (che sarebbe stata originata dagli Arabi!). Noi, ma anche la cultura dell’India e della Cina, possiamo metterci l’anima in pace.
Così tutti, compresi gli occidentali anti-occidentali, dimenticano il fatto essenziale, centrale, innegabile, che ha fatto venir fuori dall’infanzia l’Umanità: l’Occidente è stato il primo al mondo a pronunciare le parole individuo, libertà, diritti umani. Nulla potrà sottrarci questa gloria, quali che siano stati, o siano, i “delitti” di cui l’Occidente e l’Europa si siano macchiati. Quale altro universo, quale cultura non ne ha approfittato, per potersi dire in qualche modo “moderna”? Neanche l’Islam, né il Buddhismo, né Confucio, né lo Zen, né le religioni indiane, né gli ibridismi afroamericani, hanno mai attribuito un valore a ciò che l’uomo cercava. Solo ed esclusivamente l’Occidente ha reso consapevole e volontario il progetto dell’uomo. Ha fissato un obiettivo, e lo ha chiamato libertà, e in seguito individuo. Ha orientato le forze oscure. Ha indicato i valori a partire dai quali la Storia aveva un senso. Così l’uomo è diventato Uomo.

Radici e identità, parole accolte in modo controverso anche ai nostri giorni. Ebbene: il Cristianesimo per primo aveva fatto della libertà la chiave della storia e della creazione. Le opere grandiose del Dio dei cristiani erano dettate dalla volontà di rendere liberi tutti gli uomini. Questa concezione costituì un apporto radicale e un’invenzione esplosiva. Non vi era alcuna misura comune tra questo Dio e tutti gli dèi delle religioni orientali e occidentali.
Già i Greci avevano affermato la libertà sia nel pensiero che nella politica, formulando le regole di una cultura libera e le forme di una società libera. E Roma aveva inventato la libertà civile, la libertà istituzionale, facendone le chiavi di volta di tutta la politica (le conquiste – come ha scritto Jacques Ellul – erano davvero e senza ipocrisia l’espressione della volontà di liberare i popoli sottoposti a dittatori e a tiranni che essi giudicavano infamanti). In sintesi: sin dall’inizio della storia dell’Occidente assistiamo alla presa di coscienza e all’affermazione della libertà in quanto Significato e in quanto Fine. Sicché oggi il mondo intero è erede dell’Occidente, spinto com’è alla presa di coscienza della libertà e del suo progetto di libertà.
Alla luce di questa presa di coscienza, ad esempio, i poveri hanno appreso di essere poveri, hanno appreso ciò che non era inevitabile. Ecco perché l’Occidente ha infine scatenato la rivoluzione. Prima dello svilupparsi del pensiero occidentale e all’infuori di esso, non vi era rivoluzione. È stato necessario l’individuo, insieme con la libertà, perché in una società nascesse la rivoluzione. Le rivoluzioni sono state e sono figlie dirette, immediate, specifiche, del genio occidentale. Il mondo intero è alla scuola dell’Occidente che ripudia. Ragiona sulla base di categorie culturali occidentali, secondo le quali l’uomo è, l’uomo ha, l’uomo fa una storia, mettendo in moto il mondo in tutti i campi, su tutti i piani: nella coerenza di tutti i fenomeni, le idee e gli eserciti, lo Stato e la filosofia, la tecnica e l’organizzazione, tutto ha proiettato in questa generale trasformazione che l’Occidente ha provocato. Ogni iniziativa è venuta dall’Occidente, non sull’Orinoco o sullo Zambesi; ogni inizio si è avuto in Occidente, non ai margini del Gobi o fra le Montagne Rocciose. Eccole, le radici e l’identità dell’Occidente, cioè dell’Europa: i popoli erano sprofondati in un riposo ieratico, fino al giorno in cui è risuonato il segnale di partenza provocato dall’incontro con il Vecchio Continente e con il suo primato del valore della libertà.

 

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2006