Giugno 2006

UN SECOLO E MEZZO DI UNITÀ

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Un bilancio positivo
Giuseppe Galasso
 
 

 

 

Gli italiani, nella nascente Europa, hanno interesse e volontà di entrare come Italia, non come la ventina
e più di tribù
dislocate
a sud delle Alpi.

 

Nella seduta dell’11 marzo 1861 il presidente del Consiglio dei Ministri del Regno di Sardegna, Camillo Benso conte di Cavour, presentò all’approvazione della Camera dei Deputati un disegno di legge già approvato dal Senato. Si trattava di una legge dall’unico articolo, così formulato: “Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e per i suoi successori il titolo di Re d’Italia”.
Grandi applausi si levarono dall’aula del Parlamento subalpino, che ancora oggi non si può visitare nel palazzo Carignano a Torino senza un’intima emozione. Il 14 marzo in una sola seduta la Camera, come aveva già fatto il Senato il 26 febbraio, discusse la legge. Alcuni deputati (Brofferio, Ricciardi, Bixio) osservarono – come già aveva fatto qualche senatore – che sarebbe stata preferibile una legge di iniziativa parlamentare e non governativa, cioè, secondo il diritto pubblico di allora, della Corona. Si sarebbe anche preferita la formula “Re degli italiani” a quella di “Re d’Italia”.
Bixio sollevò la questione del mantenimento dell’ordine di successione del Regno di Sardegna (V. E. II) per il sovrano di un nuovo Stato. Nessuno insistette, però, nelle sue osservazioni, per cui subito si passò alle votazioni. Dei 443 deputati ne erano presenti 294. Vi furono 292 voti di approvazione, ma i due deputati che apparivano non aver votato a favore precisarono subito che avevano sbagliato a votare. Il 17 marzo la legge venne pubblicata e divenne l’atto istitutivo di uno Stato che, per la prima volta nella storia, riuniva quasi ventuno milioni di italiani. Mancavano ancora all’unità varie regioni, ma già era, però, l’Italia ed era stata proclamata tale da un Parlamento che, eletto il 27 gennaio 1861, anch’esso nella prima volta nella storia costituiva la libera rappresentanza – secondo la legge elettorale di allora – di tutti gli italiani del Regno, dalle Alpi alla Sicilia e alla Sardegna. E come Italia e come grandissimo evento della storia europea, e quasi un miracolo della storia, fu salutata dall’opinione pubblica internazionale.

Negli anni che seguirono i suoi problemi furono affrontati e variamente risolti. Molte cose non sono andate come ci si aspettava o si sperava e ai molti problemi di allora rimasti insoluti se ne sono aggiunti altri: ma non è così di tutte le cose umane? Naturalmente se, malgrado tutto, l’unità italiana ha riscosso tante critiche e negazioni, qualche ragione vi deve essere. Ma, quale che sia questa ragione, il bilancio dell’Italia unita è stato davvero negativo? Nessuno davvero può crederlo. Sarebbe fastidioso e fuorviante contestare le negazioni, che pure hanno, come si è detto, la loro ragion d’essere.
Una constatazione però si impone per tutti. In poco più di un secolo il Paese, che all’inizio si temeva potesse sfasciarsi da un momento all’altro, non solo è rimasto unito, ma è diventato la sesta potenza industriale del mondo e si è talmente modernizzato ed è talmente progredito, che anche le parti che noi ne consideriamo meno sviluppate (come il Mezzogiorno) appaiono in ben altra condizione se paragonate ad altri Paesi del Mediterraneo e dell’Europa orientale e balcanica.
Bisogna risalire nel tempo alla grande fioritura dell’epoca comunale per trovare nella storia italiana un tale ritmo e grado di sviluppo. Non vogliamo affatto dire con ciò che anche la nostra Italia raggiungerà i fastigi rinascimentali dell’altra. Vogliamo solo dare il senso della dimensione e della qualità di ciò che l’Italia unita sia stato solo un prodigio economico. In realtà, con essa, un’antica nazione ha ritrovato la strada della grande storia, che aveva perduto da tre secoli, ed è diventata un’unità civile molto di più di quanto i suoi critici pensino.
Il 4 novembre è una data idonea a ricordarlo, perché quella guerra, con le ore oscurissime di Caporetto e con un alto prezzo di sangue, fu la prova migliore dell’avvenuta formazione in Italia di una grande realtà civile unitaria. Solo così si spiega che si siano superati i tanti, formidabili problemi di quella guerra. Perciò la data del 4 novembre merita la popolarità di cui ha sempre goduto in Italia.
Ma a nostro avviso anche superiore e più difficile è stato il collaudo che l’unità ha avuto nella seconda guerra mondiale, quando davvero il Paese fu portato dal regime fascista a uno dei massimi disastri della sua storia e ne ha pagato e ne paga tuttora le conseguenze; e difficilissimo è stato il collaudo di un cinquantennio di Repubblica, con la “guerra fredda” che divise in due il Paese, la “contestazione”, il terrorismo, lo sconquasso della cosiddetta “prima Repubblica” e delle sue forze politiche (nessuna esclusa) tra gli anni ‘80 e ‘90, con l’esplosione violenta del separatismo della Lega del Nord, con la cresciuta patologia della malavita organizzata, e via dicendo, anzi piangendo.
Eppure, l’Italia è lì, quale è cresciuta in quasi un secolo e mezzo di unità e soprattutto proprio in questi ultimi cinquant’anni, e di una sua divisione neppure più si parla, e nel complesso della sua vita civile, fra tantissime e gravissime deficienze, si sente – e non ci vuole neppure un orecchio molto sensibile – che è viva e vitale, e che gli italiani, nell’Europa nascente, hanno interesse e volontà di entrare come Italia, non come la ventina e più di tribù dislocate a sud delle Alpi.

 

   
   
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