Giugno 2006

LA VORAGINE DEL DEBITO

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Per domare il Moloch
Franco Reviglio  
 
 

 

 

La riduzione
del debito può
essere la sferzata per uscire dalla
situazione di crisi
e di stagnazione
in cui l’economia italiana è da tempo
ingessata.

 

Negli ultimi anni le autorità pubbliche di molti Paesi hanno cercato di ridurre il disavanzo (cioè l’indebitamento) e il debito della Pubblica Amministrazione conteggiati dalle autorità di Bruxelles con diverse operazioni “innovative”. Anche le autorità italiane sono ricorse a operazioni straordinarie che hanno apportato correzioni all’andamento dei conti pubblici, alcune dirette a ridurre il disavanzo-indebitamento (e quindi indirettamente il debito), altre a ridurre il debito. La maggior parte di queste operazioni è stata approvata dalle autorità europee.
Tuttavia le operazioni straordinarie non producono effetti duraturi, di tipo strutturale, e quindi lasciano aperto e irrisolto per il futuro il problema della copertura delle poste inevitabilmente venute meno. Grazie alle operazioni straordinarie per ridurre l’indebitamento e il debito portate a termine nel periodo 1997-2005, il debito pubblico è stato ridotto di ben 168 miliardi (pari all’1,5% del Pil in media annua). Nei nove anni considerati la riduzione del debito complessivamente realizzata è stata pari al 12,2% del Pil nel 2005.

Il ricorso alla finanza creativa.
Ecco come si è giunti all’ammontare complessivo di riduzione del debito realizzato nel periodo 1997-2005. Nel primo periodo (1997-2000), le misure straordinarie per ridurre il disavanzo (l’indebitamento) hanno raggiunto 33,8 miliardi di euro, nel secondo (2001-2005) ben 51,7 miliardi. In entrambi i periodi, queste operazioni hanno raggiunto in media annua la stessa percentuale (0,8% del Pil). Oltre alle misure dirette a ridurre il debito, altre operazioni straordinarie hanno ridotto direttamente il debito e quindi consentito la discesa graduale del rapporto debito-Pil richiesta dai vincoli europei. Nei due periodi considerati esse sono ammontate, rispettivamente, a 46,2 e a 79,3 miliardi (pari in media annua, rispettivamente, all’1,1 e all’1,2% del Pil). Viceversa, nei due periodi considerati il debito è stato accresciuto da alcune regolazioni di debiti pregressi, in primo luogo dalle Ausl, verso i fornitori, per 18,3 e 23,7 miliardi, pari in media annua allo 0,4% del Pil in entrambi i periodi.
Alcune operazioni straordinarie non sono state approvate dall’Eurostat. Pertanto, il valore dell’indebitamento ha subìto revisioni in rialzo da parte dell’Istat. Le poste riprese hanno interessato operazioni nei due periodi per 6,3 e 14,7 miliardi, pari rispettivamente in media annua allo 0,1 e allo 0,2% del Pil.

Rapporto debito-Pil.
A seguito dei maggiori fabbisogni e delle decisioni delle autorità europee di includere alcune operazioni straordinarie nel debito, nel quadriennio 2001-2004 il rapporto tra il debito e il Pil si è ridotto “solo” di 4,7 punti percentuali, raggiungendo nel 2004 il 106,6% del Pil, salendo poi al 108,5% nel 2005, per la prima volta dopo un decennio di riduzioni.
Nel periodo 2001-2005 l’ammontare della riduzione del rapporto è andata riducendosi, sino ad arrestarsi nel 2005, indice questo delle crescenti difficoltà di controllo degli andamenti dei conti pubblici. L’avanzo primario, indicatore della capacità di ridurre il debito, è diminuito dal valore massimo del 6,7% del Pil nel 1997 sino quasi ad annullarsi nel 2005. Il peggioramento è avvenuto nonostante un volume rilevante di operazioni straordinarie per ridurlo.
Anche grazie alle operazioni straordinarie che hanno ridotto il debito si è risparmiata una spesa per interessi nel solo 2005, pari a oltre 9 miliardi (0,7% del Pil). Senza le operazioni straordinarie, nello stesso periodo il rapporto debito-Pil, invece di diminuire (dal 120 al 108% del Pil), sarebbe aumentato di oltre il 120%.

Le tendenze dei conti.
Le previsioni ufficiali per il biennio 2005-2006 danno un indebitamento in riduzione (3,8% del Pil) nel 2006. Secondo l’Ocse, l’indebitamento dovrebbe salire al 4,2% nel 2006 e al 4,8% nel 2007. Secondo il Cer, nel biennio 2006-2007 l’indebitamento è stimato che si collochi intorno al 4,7% del Pil, di poco superiore a quello del 2005. Il rapporto tendenziale debito-Pil è visto in progressivo aumento (dal 106,5% del Pil nel 2005 al 110% nel 2007, al 111% nel 2008).

Patrimonio pubblico.
Sino al 2005 proposte di dismissione dell’intero patrimonio disponibile della Pubblica amministrazione non sono state avanzate, in primo luogo perché mancava una sua valutazione. Nel 2005 una ricognizione effettuata dal ministero dell’Economia ha valutato l’ordine di grandezza del patrimonio della P.A. a valore di mercato in circa 732 miliardi, pari al 53% del Pil. La parte maggiore del patrimonio pubblico è rappresentata da immobili (72 e 349 miliardi, rispettivamente, dello Stato e degli Enti locali); seguono le partecipazioni in imprese quotate e non quotate (63 miliardi per lo Stato e 17 per le Regioni e gli Enti locali), le concessioni (68 miliardi per lo Stato e 60 per le Regioni e gli Enti locali) e i crediti (31 miliardi per lo Stato e 74 per le Regioni e gli Enti locali).
Di questo patrimonio, una parte (246-709 miliardi) sarebbe realizzabile mediante adeguate cessioni, dismissioni e alienazioni, i cui proventi potrebbero servire ad abbattere il debito pubblico. Con la cessione della parte di patrimonio realizzabile si potrebbe pertanto abbattere il 16-47% del debito complessivo della P.A. Il risparmio di spesa pubblica conseguente sarebbe pari alla differenza tra la somma risparmiata, per gli interessi e gli oneri di gestione e il rendimento attuale delle attività cedute che sarebbe perduto, e il costo dell’affitto degli immobili che rimangono in uso alla P.A., una differenza che, per giustificare l’operazione, dovrebbe risultare positiva.

Come abbattere il debito?
L’elevato livello del debito pubblico è considerato il maggior problema della finanza pubblica italiana. Un riequilibrio è considerato necessario, non solo per riprendere l’andamento decrescente del rapporto debito-Pil, ma anche e soprattutto per alleviare, mediante l’abbattimento del debito, la forte penalizzazione dell’economia italiana discendente dall’onere del servizio del debito.
Si è calcolato che dal 1992 al 2004 per pagare interessi sulla quota eccedente il 60% del Pil siano stati spesi, al netto dei ricavi dalle privatizzazioni per 160 miliardi, ben 800 miliardi a valori attuali, pari a oltre la metà dello stock di debito. Nonostante questo sforzo gigantesco, la politica di riduzione del debito è praticamente fallita, perché nel periodo il rapporto debito-Pil è aumentato dal 100,8% a fine 1991 al 108,5% a fine 2005 (con una punta del 124,8% a fine 1994).
Senza interventi drastici sul debito, un nuovo ingente flusso di risorse continuerà a pesare anche nel futuro sull’economia italiana, gravando ulteriormente sulle risorse disponibili. Sulle dimensioni, sui modi e sui tempi di questa grande operazione di dismissione è iniziato un dibattito che è ancora in corso. L’ammontare ricavabile dalla cessione del patrimonio disponibile della P.A. deve essere adeguatamente valutato.

La proposta Guarino.
Secondo una proposta avanzata da Giuseppe Guarino, l’operazione di dismissione dovrebbe interessare almeno 450 miliardi, necessari per fare scendere il rapporto debito-Pil al 75%, considerato un valore congruo per modificare le aspettative e riavviare il processo di sviluppo. La proposta ha il merito di rappresentare la prima suggestione sul tema. Ma essa non appare la strada migliore per dimettere il patrimonio pubblico. La superholding è una proposta complessa, che creerebbe un modello di dimensioni difficilmente gestibili (tipo nuova Iri) e cristallizzerebbe il processo di dismissione riducendo gli incentivi a cedere le diverse attività.
Di per sé, la superholding non risolve il problema, che spetta al governo e alla politica di sciogliere, di avere il coraggio di vendere e privatizzare con regole che tutelino i cittadini e, nello stesso tempo, valorizzino il valore delle singole attività.
Rimane quindi aperto il problema di definire i modi più opportuni per “finanziarizzare” il patrimonio pubblico, utilizzando i proventi per abbattere il debito. Un nuovo ciclo di privatizzazioni attraverso la costituzione di veicoli, distinti per classe di attività, rispondenti adeguatamente a logiche industriali e di creazione di valore, appare essere la strada più opportuna.
Date le tendenze dei conti pubblici nei prossimi anni, l’abbattimento del debito con un’impostazione complessiva, discontinua rispetto a quella per singoli provvedimenti seguita nel periodo 1997-2005, appare essere la strada preferibile per rimuovere l’anomalia italiana del differenziale di debito pubblico rispetto agli altri grandi Paesi europei, e, nello stesso tempo, per rispettare i parametri di finanza pubblica europei. Essa renderebbe meno costoso l’aggiustamento delle politiche di bilancio ai parametri europei, sia attraverso il minor costo per il servizio del debito, sia mediante gli effetti positivi indirettamente prodotti sul valore dell’avanzo primario necessario per ridurre il rapporto debito-Pil.

Il ruolo degli Enti locali.

La reiterazione nei prossimi anni di provvedimenti straordinari, quali quelli utilizzati per abbattere il debito nel periodo 1997-2005 appare, per la maggior parte dei provvedimenti già adottati, impercorribile tecnicamente (eurotassa, licenze Umts, concambio dei titoli del Tesoro presso la Banca d’Italia) o politicamente (scudo fiscale, condoni fiscali ed edilizi). Le Regioni e gli Enti locali dovrebbero propriamente essere coinvolti e investiti del problema del debito pubblico: incidentalmente è interessante osservare che il 70% del patrimonio disponibile è posseduto da Regioni ed Enti locali, a fronte solo del 5,3% del debito pubblico.
Anche se la riduzione del debito non risolverebbe di per sé i problemi delle mancate riforme dei conti pubblici, essa creerebbe un quadro favorevole perché le riforme possano essere realizzate. Ma, risultato ancora più importante, l’operazione può essere la “sferzata” per fare ripartire le aspettative di crescita economica e uscire dalla situazione di crisi e di stagnazione in cui l’economia italiana è ingessata.

 

   
   
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