Giugno 2006

POLITICA ENERGETICA CINESE

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Sete di petrolio
Joseph E. Stiglitz Premio Nobel per l’Economia
 
 

 

 

Gli Stati Uniti
predicano
l’importanza del
libero mercato, ma, rifiutando l’offerta
cinese, smentiscono questo messaggio e hanno dimostrato che gli interessi
nazionali hanno
la precedenza sulle leggi del mercato.

 

Un anno fa, quando cominciò a circolare la voce che la compagnia petrolifera di Stato cinese avrebbe avanzato un’offerta aggressiva per la società americana Unocal, come poi realmente fece verso la fine del mese di giugno, la maggior parte degli americani fu colta di sorpresa. La Cina si era già fatta notare quando aveva comprato parte dell’Ibm, il settore che fabbrica personal computer, ma in quel caso stava soltanto rilevando le fabbriche esistenti sul suo territorio, mostrando di non aver bisogno di una dirigenza straniera. La questione Unocal era differente. La Cina era in competizione per il petrolio con una società americana, la Chevron, e offriva di più. Il rialzo dei prezzi del petrolio rendeva il caso ancora più inquietante.
La Cina dipende molto più dell’America dalle importazioni di greggio, poiché le sue risorse interne sono di gran lunga inferiori. Ma nel mondo dei mercati globali un Paese riesce ad affrontare il rischio della fluttuazione dei prezzi del petrolio – e più in generale dell’energia – anche quando non è dotato di riserve naturali. In poche parole, può comprare le compagnie petrolifere. Se il prezzo dell’energia cresce, il Paese è protetto, almeno in parte, perché aumenta anche il valore delle sue azioni petrolifere. E comprare una società petrolifera americana era una mossa particolarmente ragionevole, perché avrebbe fornito questa salvaguardia senza far salire il tasso di cambio, come sarebbe successo se si fosse investito in euro.

L’offerta cinese per Unocal, una piccola compagnia le cui risorse sono in gran parte fuori degli Stati Uniti, ha avuto un significato simbolico simile a quello dell’acquisto del Rockfeller Center da parte di una società giapponese nel 1989. Di colpo la Cina si è trasformata da produttrice di giocattoli e articoli tessili a buon mercato, in concorrente nell’acquisto di attività strategiche. La reazione dell’America è stata guidata da una regia politica che ha sfruttato paure irrazionali, senza giovare né alla causa della globalizzazione né a quella della sicurezza. L’America si opponeva a che un’altra nazione possedesse delle società petrolifere americane; ma altre nazioni avrebbero potuto, o dovuto, opporsi al fatto che l’America possedesse qualche loro risorsa.
Forse dietro le intenzioni dei leader cinesi c’era qualcosa di più che un semplice desiderio di investire in modo avveduto. I mercati funzionano bene in normali tempi di pace, ma in tempi meno pacifici le cose potrebbero non andare così bene. Ci potrebbero essere dei razionamenti, come accadde dopo gli choc petroliferi degli anni Settanta, quando gli Stati Uniti non riuscirono a ottenere a nessun prezzo il petrolio che volevano. Avere il controllo del petrolio significò allora la possibilità di poterne disporre. Invece di cercare di convincere la Cina che la paura di una futura scarsità di petrolio era infondata, gli Stati Uniti hanno temuto di perdere il controllo del loro petrolio, senza considerare il fatto che ben poco del petrolio di Unocal era in America. Il Congresso ha reso impossibile alla Cina effettuare l’acquisto, nonostante l’offerta cinese fosse superiore a quella della Chevron.
Gli Stati Uniti predicano l’importanza del libero mercato, ma, rifiutando l’offerta cinese, smentiscono questo messaggio. Senza volerlo, hanno dimostrato che gli interessi nazionali hanno la precedenza sulle leggi del mercato. Che è un altro messaggio preciso: a questo punto non c’è ragione perché la Cina, o qualsiasi altro Paese, creda che i meccanismi del mercato continuino a funzionare nel caso ci sia una scarsità di energia a livello planetario. La Cina, piuttosto, potrebbe avere imparato che deve avere il controllo delle risorse di cui ha bisogno, non solo perché è un buon investimento, ma anche per assicurarsi la disponibilità di petrolio in futuro. Il governo sarà riuscito a impedire alla Cina di comprare petrolio negli Stati Uniti, ma non riuscirà a impedirle di acquistarlo altrove. Anzi, avrà rafforzato l’idea che è necessario per i cinesi acquistare quanto più petrolio possibile, ovunque.

La Cina è ancora un’economia molto più piccola sia degli Stati Uniti sia dell’Europa, e per un futuro indefinito sarà anche più povera. Ma, con una popolazione quattro volte più numerosa degli Stati Uniti, è già una grande economia, e se la crescita continuerà al tasso attuale, diventerà molto grande. Sarà in competizione con le società americane ed europee in ogni sfera, avendo già dimostrato di essere in grado di superarle in molte aree produttive. Inoltre, con un tasso di risparmio di circa il 50 per cento, paragonato al 14 per cento dell’America, la Cina sta ammassando un’enorme quantità di fondi ed è probabile che li vorrà investire anche in risorse naturali limitate come il petrolio.
Questa è la nuova realtà con cui dobbiamo fare i conti. E che comporta una serie di conseguenze. In primo luogo, potrebbe essere più difficile usare le sanzioni economiche come strumento politico, anche per promuovere i diritti umani. Per esempio nel Darfur, in Sudan, si sta compiendo un genocidio, e la maggior parte delle compagnie petrolifere occidentali dovranno valutare le conseguenze dei loro accordi commerciali con l’oppressivo regime sudanese. Ma se la Cina è disposta ad accordarsi, sarà impossibile imporre su di esso pressioni economiche decisive.
In secondo luogo, l’Occidente dovrebbe diventare consapevole dei rischi che comporta la dipendenza dal petrolio. Non possiamo eliminarla, ma possiamo ridurla con la conservazione delle risorse e con la creazione di fonti alternative di energia, come il biocarburante. Soprattutto, dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare alla Cina.
La Cina ha interesse ad aumentare il benessere dei suoi cittadini e a offrire loro sicurezza economica. Sa che ogni dollaro speso per l’esercito è un dollaro sottratto allo sviluppo, e ha limitato di conseguenza le spese per la difesa. Comportandoci come se fossimo avversari, potremmo indurre i cinesi a rispondere in maniera ostile. Se, invece, prenderemo sul serio la lezione di base dell’economia di mercato – cioè che le transazioni economiche possono giovare a entrambe le parti – è più probabile che rispondano anch’essi in sintonia.

 

   
   
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