Marzo 2006

Epistolario / Lettere di silvio ramat (terza parte)

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Caro D’Andrea
A cura di Aldo Bello
 
 

 

 

 

 

Sono felice di questa tua sortita. Fa’ spedire a più gente che puoi: anche se, come sempre, saranno
in dieci a leggerti come si deve.

 

Padova, 28.XII.90
Cara Silvana, lasci il “professore” – per ragioni di misura – e anche per il resto, lo sa, Ugo mitizza e crea maestri (o mostri?) dappertutto. Io sono semplicemente un amico di lunga data e di lungo corso. Mi scuso di battere a macchina ma non scrivo con molta chiarezza e quindi sarebbe una fatica decifrarmi. Un caro augurio, anche da parte della Gianna, per il nuovo anno.
Caro Ugo, due delle quattro foto sono a Milano; le ho consegnate a Crocetti otto giorni fa. Però Cucchi preferirebbe che si recensisse su “Poesia” da persona di sua fiducia il tuo libro, prima; e successivamente, anche in autunno, dar spazio agli inediti. Forse non ha torto. Che ne pensi?
Ieri l’altro è stata sepolta, alle porte di Firenze, mia zia, morta il 24 dicembre. Per questo ho avuto vacanze di Natale un po’ anomale, come t’immagini. Adesso conto di riposarmi un poco. Buon Anno anche a tua madre e ad Aurelio, se si ricorda di me.

14.2.91
Caro Ugo, è un pezzo che non ti mandavo due righe; e scusa il soggetto riprodotto qui; ma la cartolina evoca comunque Giotto! Grazie dell’apprezzamento per la mia fatica (che non t’immagini quanto mi pesi!) dei capitoli sulla nostra poesia 1900-45. Ma ormai sono in ballo e continuerò: fino (credo) a tutto il ‘92 e oltre.
Stai bene? Hai gite in programma a nord di Roma? A Roma ero l’altro ieri per commemorare Sereni con amici illustri. Chiudo con un abbraccio e un saluto per Silvana.

22.3.91
Caro Ugo, un po’ mi stupisce il tuo ripensamento sulla destinazione (e “copertura”) del Quaderno Giapponese, dal momento che pochi giorni fa ne parlavo a Rebellato: il quale non ti conosce ma “si fida” della mia raccomandazione e dei nomi autorizzanti che giustamente ho citato in tuo favore. Nessun problema, per lui.
Vedi tu. Lui sarebbe d’accordo; ma ora, se non ti va più bene... Ad ogni modo, almeno per lui, non c’è alcuna premura. Pensaci tranquillamente.
Un augurio affettuoso per la Pasqua anche a Silvana e ai tuoi – da parte di Gianna e da me –.

1° aprile ‘92
Caro Ugo, questi vizi non sono che una parte di tutti quelli che mi lavorano dentro..., e tuttavia non c’è nulla che non vada (rassicùrati) in questo periodo, salvo una lombalgia dalla quale sto tirandomi fuori col Voltarèn. Anzi, fra il 7 e il 12 sarò ad Atene a sproloquiare di poesia. He(l)làs...
Cari saluti (anche a Silvana e alla tua mamma) dalla Gianna e da me.

11.V.92
Caro, grazie (anche a Silvana) dei saluti. Ti pare proprio “paludamentato” il mio modo di scrivere, in “Poesia”? Io speravo, quasi, l’opposto... Almeno per questi testi.
Sono comunque un po’ in secca, ora, e stanco della primavera già torrida. (Ieri, a Roma, un caldo infame). Ho sonno, e sono appena le sei di pomeriggio. Mah. Ciao.

16.6.92
Caro Ugo, eccoti le “vecchie porte”. Basta con esiziali progetti, basta! Camperai 100 anni, così... Un disastro! Dure parole, le mie su Firenze; ma mi è parso, così, di scindermi dai soliti cori... E quel che ho scritto, lo pensavo. (Almeno, scrivendolo).
Anche la Gianna vi saluta, Silvana e te. Auguri per il 26 (lo sai che la Gianna è nata il 25? E il 26 era nato mio Padre? Grande costellazione! Seconda solo alla Bilancia, dico io...).

2.IX.92
Caro Ugo, di ritorno da una breve giornata di vacanze in montagna (la neve, ieri!) trovo il Poe (bellissimo dono); ma specialmente il nuovo libretto, dove ti riconosco intero e capace di restaurarti(ci), se davvero fossimo “icone mancate”. È una sorpresa, te ne sono grato. Non appena possibile, ridirò a C. delle poesie inedite in giacenza presso la rivista, dove purtroppo non ho accesso alla “stanza dei bottoni”. Con affetto. Evviva il lapsus di “Luino”!

Vigevano, 30.XII.92
Caro Ugo, conosci questa piazza meravigliosa? Neppure Firenze ne ha che possano starle alla pari! Solo Ascoli Piceno... Auguri affettuosi a voi tutti (mamma, Silvana, Aurelio).

Padova, 28-V-‘93
Caro Ugo, sono tornato ormai da un mese. Cina + Hong Kong. Faticoso, però suggestivo, tutto dal più al meno, perfino ci tornerei un’altra volta.
Ho ricevuto il tuo saluto. Chi è Elena?

Padova, 10-8-‘93
Caro Ugo, grazie delle cartoline. Noi siamo tornati dalla montagna (bellissime e grandi camminate sempre oltre i 2000 di altitudine!). Certo, ebbi il tuo libriccino; e tu hai ricevuto il mio (voglio dire quello che ti ho spedito io con dedica?). Se ci riesce, poi andremo, dopo tre anni, anche in Inghilterra. A “Poesia” sto per consegnare il cap. su Vigolo (1935). Per Sinisgalli, aspetta il ‘38 (Campi Elisi). Dammi tue notizie. Con affetto.

Padova, 20-IX-‘93
Caro Ugo, grazie della tua lettera in 8 quadri (adoro Hopper e il Doganiere Rousseau!). Sono, come ogni mese, in angoscia per la scadenza del capitolo crocettiano (ora tocca a Lavorare stanca; e non mi piace; però ebbe grandi echi, verso il ‘45, quindi...). Anche per questo non ti ho mai lodato il Gesù (credo); o forse me lo leggesti al telefono e allora, subito, manifestai l’apprezzamento, anzi di più, la simpatia ammirata per quella suite. Farò prestissimo la tua ambasciata a Piersanti (ero con lui ieri, a Lerici, ma non sapevo dei tuoi versi urbinati!). Saluta i tuoi cari. Un abbraccio.

Padova, 22-IX-‘93
Caro Ugo, ho parlato con U. Piers; e, d’accordo, manda pure i tuoi versi urbinati; ma dovrai rispettare precedenze, non so dovute a quanti e quali autori, i cui testi sono già stati consegnati tempo fa. Così pare. Questa cartolina debbo averla da 18 anni. Dunque, solo a un grande amico potevo spedirla!

Padova, 3 dic. 93
Caro Ugo, ho ripreso in mano il Gesù della Carnia e mi sembra veramente bella... Non è che te lo dica per contraccambiare la tua fedeltà a Orto e nido (edito nell’87 ma scritto sul finire degli anni ‘70: in un periodo critico-enfatico, ma anche ricchissimo della mia vita...). Il tuo è un poemetto con il sostegno del duende, anche se tu lo spezzetti in scene che vogliono sembrar separate... Mi sono liberato (per “Poesia”) dell’esecrabile Quasimodo. Adesso tocca a Penna, leggèro leggèro. Saluta i tuoi, tutti e tutte.

Padova, 18-I-‘94
Caro Ugo, a quest’ora probabilmente dormi; sono le 8,25 e sono preoccupato delle notizie del terremoto a Los Angeles, dove ho amici ai quali inutilmente ho provato subito a telefonare; linee bloccate, chissà fino a quando (cfr. Pomerania per questi miei affetti di là dagli oceani).
Anch’io soffro a ogni corsa a Firenze (detestata Firenze...), nel cogliere in mia madre il graduale restringersi degli orizzonti, che sconvolge ogni “logica” gerarchia, facendoti apparire enormi certe questioni come la denuncia all’INPS della ragazza somala che le fa assistenza, ecc. ecc. Così finiamo (anche) per litigare, rovinando tutto. I ragazzi, poi, che pur vedo sempre, hanno da fare, da studiare, da impegnare altrimenti le loro giornate, com’è ovvio. E ti ho già detto che, in questa settimana, è difficile che trovi il tempo di chiamare Luzi e gli altri grandi amici fiorentini. Poi me ne dolgo!
Spero, anzi ne sono certo, che le lastre, se le hai fatte, abbiano cancellato le apprensioni tue e di chi vive nel tuo raggio ossessivo. Quel che non può risanare è la malinconia, statutaria nel poeta, e salentino per giunta. Com’è possibile guarire andando a Lecce a dissipare un po’ di soldi? Forse non hai fatto la mossa giusta andando in pensione a 50 metri; ma di qui non è facile sentenziare, quindi abbandono la presa. Devi pubblicare un libro da Passigli? Hai la parola di Mario? Se è così tanto meglio. Bastano quei 100-l50 lettori che avranno i tuoi versi in dono. Ormai è così, invariabilmente o quasi. Sono loro ad accorgersi che da 30 anni esisti. Io non chiederei di più, a patto di esistere autenticamente e fedeli. Ciò che nel tuo caso non è da dubitare.
Ti ringrazio di aver apprezzato il “mio” Quasimodo. Ora (in attesa che esca il Penna: voto 7=) mi accingo all'amato ma non meraviglioso Sinisgalli (che ebbi la fortuna di frequentare, da amico, fra il ‘73 e il ‘79). Quanto alla Gioppi, lo sapevi che è una mia creatura? Si laureò con me una decina di anni fa con una bella tesi sulla poesia di Solmi; superando le mie remore abituali, ho anche scritto una prefazioncina ai suoi versi (Il fuoco e la misura). Le dirò dei tuoi elogi e la inviterò a spedirti le sue poesie.
Chissà che, con tutti questi rivolgimenti negli assetti dei quotidiani, non possa io ritrovare una minima continuità di collaborazione. Una volta, e per tanti anni, mi pareva impossibile non avere a disposizione un “osservatorio” sulla carta stampata (cominciai su “La Nazione”, anno 1963). Staremo a vedere, se mai ci sarà un pertugio. Ma non me la sento di affaticarmi a domandare: per decoro e per pigrizia.
Chiudo, anche perché ho parecchio da fare stamattina. Pane, frutta (alla Piazza); e, in Comune, la ricerca dell’ufficio dove firmare per i 13 referendum (o referenda?). So che ti stupisci ma io sono, tendenzialmente, un pannelliano; detesto la TV di Stato, l’odierna ammucchiata “progressista” e soprattutto “la Repubblica”, lo sai? Insomma, vivo da laico e da minoritario. Sui giornali non leggo quasi altro che la politica (+ lo sport). Con affetto, e con l’augurio per voi tutti, anche da parte della Gianna.

Padova, 21-V-‘94
Caro Ugo, ti ringrazio di essere lettore cosi puntuale e vivo dei miei “capitoli” (sono a soli –5 dalla fine, evviva!). Però L. d. L. è un fiacco, modesto poeta, anche secondo me: sincerità della sua fiamma a parte... Non aveva torto il nostro Oreste, no... Con affetto (saluta la mamma, Silvana e Aurelio).
P.S. Le “edizioni” di Pomerania sono di 500 copie ciascuna, sai? Comunque...

Padova, 29-V-‘94
Caro Ugo, in pochi giorni ricevo “l’immaginazione” con tuoi versi un po’ crudi e crudeli (adatti alla sede) e, ieri pomeriggio, “Poesia”! Sai che ho il privilegio di averne sempre, o quasi, una copia-pilota; e per l’appunto questo è un fascicolo con Poliziano, Luzi (me come suo critico) e queste poesie tue che séguitano a piacermi molto. E con una fotografia adattissima alla serie. Aveva ragione Crocetti a non voler quella, così “artistica”, mandatagli una prima volta.
Insomma, ci tenevo a felicitarmi: per primo. Dopo tutti gli elogi a me, anzi le glorificazioni della tua telefonata! L’altra sera, qui, c’era C. in una libreria off, dove ospitano ogni mese un poeta. (A marzo, ero io). Ottima sostanza ideale, filosofica...; ma niente ritmo, lui. Leggendoti, notavo quanta sapienza di suoni si sdipani in quel che scrivi. Lui pareva un autore tradotto.
Stamattina, sui Colli Eugànei, dopo mesi, una passeggiata con la Gianna (due ore-due ore e mezzo, non di più; ma forse a te paiono tante... Fa già caldo, c’erano ciliege (amarene) da rubare e ciliege, bellissime, da comprare in paese. Abbiamo rubato e acquistato, imparzialmente.
È domenica, sto con un orecchio alla radio (è quasi finita la serie B) e preparo alcune cose per domani, cose pratiche da espletare (banche e altri negozî). Ho anche sul fuoco gli zucchini, da trifolare. Sono un maestro nell’arte di cuocere, né troppo né poco. Detesto le faccende (spazzare, fare i letti) ma ai fornelli non sto malvolentieri, lo sapevi? Spero ti arrivi presto “Poesia”. Con affetto.

Padova, 10-VIII-‘94
Caro Ugo, due cartoline in una volta, grazie! e dall’Italia centrale che evidentemente deve sembrarti ancora vicina, mentre lontanissima pare ti sia quella settentrionale... Ma a Urbino, adesso, chi c’è? chi ci passa le estati, scomparsi dal nostro mondo, o comunque da quelle plaghe coloro che l’avevano abbellita fino agli anni ‘70, quando le circostanze della mia vita mi ci conducevano ancora? Sto pensando non più a Traverso (mortovi nel ‘68 ) ma ad Assunto, a Parronchi, a Luzi... Chi c’è dunque, e che cosa di così attraente da spingerti ancora – te pigro e preoccupato – a farvi capo? E come ti è venuto sott’occhio il mio Sproloquio, che mi fu vietato di leggere come “relazione” a un convegno e dunque dovetti (era il ‘90) accantonare vergognoso per tornarci su dopo qualche tempo? Peccato che i due ultimi versi la tipografia li abbia scambiati di posto! – Comunque, ho capito: a Urbino ti sei visto con Piersanti (hai goduto le sue narrazioni di conquiste femminili?) e lui ti ha dato una copia di “Pèlagos”. È così? Pubblicherà i tuoi versi presto?
Sono (siamo) in città aspettando, finora invano, i promessi temporali: se li sarà accaparrati, anche quelli, la Lombardia, regione a me peraltro diletta, lo sai. Una défaillance di Giuliano (mio figlio), che era indispensabile alla realizzazione del disegno, articolato su vari mezzi di trasporto – treni, traghetti, autobus – c’impedirà di andare in Scozia come si prevedeva per una dozzina di giorni, dopo il 20 agosto (gli è rimasto un esame di luglio, da ritentare all’inizio di settembre, quindi...) e così rimandiamo alla seconda metà di settembre: non più Scozia ma Spagna (Spagna-bis, dopo il bell’assaggio del marzo scorso), e naturalmente senza Giuliano, che ha un altro esame a fine mese. Con lui, dunque, abbiano passato solo una settimana di luglio, 23-30, a Madonna di Campiglio, fra Adamello e Brenta; bellissima e salutarmente faticosa, come altre volte ti ho raccontato. Panini (autogestiti) a pranzo, colazione e cena abbondanti, nell’appartamentino preso in affitto come sempre. Mediamente, quattro-cinque ore (nette) di cammino, però una settimana è corta, bisognava passarcene due.

Approfitterò (sto già cercando di farlo) di questa forzata dimora a Padova per stendere il terz’ultimo capitolo dell’opus magnum – La figlia di Babilonia di Bigongiari. Ma non è che, oggi, mi ci incanti più su quelle follie dorate come un tempo... Non è ancora nausea, ma distacco sì... E dovrò trovare il tono giusto per non eccedere, stavolta, nelle censure critiche... Se Dio vuole, col ‘94 finisce questa fatica, intrapresa in questi stessi giorni del 1990!
Non ho molto tempo per scrivere altro; forse la mia poesia ha bisogno di pause, di guardarsi intorno smettendo di guardarsi dentro? Non saprei. Mandami qualcuna delle tue schegge, se hai novità. Nel ‘95 coi “Quaderni del battello ebbro” farò una autoantologia, penso abbastanza vasta. Poi cercherò gli editori per gli almeno 3 libri che ho pronti non da oggi. Un po’ alla volta, un po’ alla volta... Ma le cose dell’80-85, invecchiano.
Anche la Gianna ti saluta. Ringrazia Silvana per la firma sulle cartoline. A presto.

Padova, 10-X-‘94
Caro Ugo, non ricordo lettere tue, né cartoline, ispirate a un tono anomalo... Sei certo di avermele spedite?!
Questo mese salto la puntata (la penultima) di “Poesia”, perché ho dovuto lavorare su altro. Il tempo mi manca sempre, né riesco a porre un rimedio. (E tutto ciò che mi chiama a Firenze è angoscia).
Ho con me i tuoi versi, mi piacciono. Vedrò se mi viene in mente una rivista decorosa in cui sistemarli. Saluta i tuoi. Con affetto.

Padova, 20-X-‘94
Caro Ugo, volevi vedere i segni della mia dedizione ai maiores nostri? Ho fatto il pieno, nello spazio di 5 giorni! Spero che i due poeti ne siano felici... Un saluto affettuoso.
(Non ti dico la pena che mi ha dato il pensiero di Aurelio...).

PD, 8.12.94
Caro Ugo, naturalmente riceverai “L’ozio”; ma è che il Faccolino non ne ha mandata copia (dei due numeri della nuova serie) neanche a me; inqualificabile assurdità! Prima di spedire inediti tuoi (e miei) voglio verificare a che livello siamo. Lo chiamerò al più presto al telefono per scuoterlo... I tuoi versi sono molto belli, c’è un uso (come piace a me) della rima provocatrice di significato. Auguri per tutti (e per tutto).

Padova, 10-1-‘95
Caro Ugo, ti ringrazio per la prima lettera dell’anno nuovo. E speriamo che tua madre si riprenda; è accaduto alla mia, privata di due figli nell’arco di uno stesso anno, l’85... Speriamo.
Io, sì, scrissi molti versi “a caldo” dopo che morirono Giò (mia sorella) e Marco. Due testi uscirono anche sull’“Almanacco” dello “Specchio”: quello per mio fratello fu scritto che lui era ancora vivo, sia pure senza speranza di resistere a lungo. Essendoci in calce un “Marco” in corsivo, più dedica che titolo, qualcuno ha pensato (dimmi un po’!) che quei versi fossero dedicati a Marco Forti, curatore dell’Almanacco... Roba da matti! Ma, tornando ai miei fratelli, poi non sono riuscito a collocare in nessun libro (edito o progettato) le poesie che li riguardavano. Lo stesso vale per certe altre, composte non tanti anni fa nel ricordo di mio padre, morto nel ‘67, e presenza determinante sia in Corpo e cosmo (Scheiwiller, 1973) sia in In parola (Guanda, 1977). Eppure non sono testi peggiori di altri; soltanto subentra in me una strana reticenza... D’altronde non vorrei mai dare al pubblico una raccolta che fosse interamente luttuosa, in senso etimologico.
Che tu scriva di e per Aurelio, intendevo dirti, è più che motivato. Poi forse ti verrà, come viene a me, l’istinto di lasciar “posare”, più che per altre scritture, quei testi.
Da noi è freddissimamente sereno. Ma invece sento di disastri in Sicilia e disagi dalle vostre parti. Davvero ti è precluso il moto per via del malanno di cui mi parli? Non sarà un alibi per startene a fumare più che mai le tue orribili sigarette? Per il testamento, capisco le tue inclinazioni; sappi, tuttavia, che donare alla Nazionale è un affare serio, arduo. Là sono stracolmi di libri, e molti anche per donazione. Credo che finire in un sottoscala ai tuoi libri dispiacerebbe; e, peggio, in una cantina senza neppure uscire dagli scatoloni. Perché non pensi a qualcos’altro? A biblioteche come il “Viesseux” (non facile nemmeno questa soluzione, temo), oppure a biblioteche di quartiere? Ad es., il grecista Dino Pieraccioni lasciò tutto alla biblioteca del rione di mia madre: cioè lo stesso rione di Macrì, Panarese, Zaganio... E dove Luzi visse lungamente ai tempi delle inarrivabili Primizie: “E m’inoltro sospeso, entro nell’ombre...”.
Ad ogni modo, passerà qualche decennio prima che questi discorsi diventino concreti; e a quel punto magari non ci saranno più libri ma “dischetti” da computer, sempre per risparmiare spazio. Ahimè...
Avrai ricevuto “Poesia”. Nei versi che ho improvvisato per Fortini c’è un punto fermo sbagliato, a metà. La frase continuava. Ma hai visto che fotografia hanno trovato, del ‘70 mi pare, scattata a un ristorante fiorentino? Come eravamo. Rispetto a quei giorni ho mantenuto solamente il peso corporeo.
È bello, serenamente, il nuovo (ma in parte non nuovo) libro di Bandini. Poeta fra i migliori e pochissimo conosciuto. Beato lui, almeno, che a 63 anni (meravigliosamente portati, per la verità) approda alla collana maior di Garzanti. Di libri bellissimi ho letto, in ottobre, La stanza di Giacobbe di Virginia Woolf; romanzo che non conoscevo, a mio disdoro. Quelli come lei, sì che sono scrittori... Ho un culto per Virginia e per Forster (assai più che per Thomas Mann, ad esempio, o per Hesse). Anglomania? Non credo.


Le tue poesie sono già all’“Ozio”. Aspetta ad abbonarti che escano, direi. È una rivista decente, non entusiasmante. Ma non è che io abbia un’infinità di strade aperte, quindi evviva l’ “Ozio”!, e ben vengano e crescano anche le fortune delle edizioni Amadeus, se non altro già ospitali per due volte, per quel che mi riguarda.
Caro Ugo, un affettuoso abbraccio a te e un augurio per voi tutti, in particolare alla tua mamma.

Padova, 19-1-95
Caro Ugo, ti ringrazio anche della seconda lettera del Nuovo Anno. Per parte mia, ti propongo questo bando, del premio “Serenissima”, malgrado il balzello della tassa di lettura... Naturalmente non ho idea di chi potrà concorrere, data l’appetibilità cospicua dei 6 milioni per l’inedito. Ma perché non provi? Io sono il più “autorevole” fra i giurati, dopotutto...
Sto preparando gli appunti per l’incontro fiorentino (10 febbraio p.v.) su Parronchi. Non voglio rileggere il capitolo apparso da poco (“Poesia”) su I giorni sensibili, e dunque ho scelto di parlare “a braccio”, sulla scorta di fogli che sto riempiendo a notazioni e notizie (sì, notizie, visto che la notorietà di Parronchi, anche in Patria, non è poi enorme!). Di lui Pananti ha appena stampato cose nuove, deliziosamente senili; e la Polistampa – altro editore fiorentino di scarsissima rinomanza – i versi anteriori a Coraggio di vivere. Una ripresa interessante, specie per una serie degli anni ‘50 che o non conoscevo o non ricordavo. Il titolo complessivo, Per strade di bosco e città, ne ricalca uno già vallecchiano (ma non possiedo quel libro).
Sono, malgrado la conclusione della “storia... per titolo...”, assillato da altre scadenze: soprattutto debbo rapidamente, per una pubblicazione del nostro Istituto, convertire in “saggio” una chiaccherata (del ‘93) sulla polemica Boine-Croce: “amori con le nuvole” / “amori con l’onestà”... E non avevo nessuna voglia di tornare su questo argomento, sia pure di per sé notevolissimo. Ormai però non posso tirarmi indietro. Mi piegherò.
Ricomincia a piovere, dopo sedici giorni di bellissima (benché gelida) stagione. Leggi il Manuale di poesia di G. Conte (Guanda 1995): mi pare degno di attenzione, ed è perfino cattivante, almeno nelle (prime) pagine che ho letto per ora.
Ti saluto, sono le 8.16 (di mattina) e aspetto un falegname, factotum, che deve ripararci le serrature di un armadio. A quest’ora, forse, tu hai preso sonno... Come gli abitanti di Boston, anzi di Los Angeles.

Padova, 17-3-95
Caro Ugo, è uscito stamattina sul “Giornale” questo mio frettolosissimo ricordo del nostro Francesco. La pagina era già evidentemente stata riempita da altri articoli, sicché la “coda” del pezzo è saltata, per necessità; ma ti riguardava, quindi mi piace che tu la riceva, col mio saluto affettuoso.

Il 15 marzo è morto a Roma, dov’era nato settantuno anni fa, il poeta e ispanista Francesco Tentori Montalto.
Come accade a molti traduttori di classe, anche Tentori ha dovuto sopportare una relativa sottovalutazione della propria autonoma statura di poeta. Certo è che le due carriere, del traduttore e del poeta, si sono intrecciate e rafforzate vicendevolmente. Nella memoria del lettore ne resta forse un accento unico, ben riconoscibile.
A Tentori dobbiamo splendide versioni – per i massimi editori italiani – da Borges (L’Alleph, Altre inquisizioni, L’artefice, Elogio dell’ombra), qualcuna anteriore al 1960, e dei grandi lirici della Spagna novecentesca (da Machado a Jiménez, da Prados a Cernuda). È per suo merito che abbiamo preso dimestichezza con la narrativa e la poesia del continente ispano-americano, rappresentato in un paio di felicissime antologie; un continente nel quale Tentori avrebbe quindi analizzato il ruolo specifico del cubano Eliseo Diego e di altri anche più giovani.
Nel disordine della mia biblioteca non faccio che imbattermi in opere tradotte da Tentori, con qualche escursione anche nei secoli passati: ecco, nel “Siglo de Oro”, drammi di Lope, di Calderón... Ma il Novecento rimaneva il suo territorio d’elezione, e nella lingua difficile della modernità egli rifletteva e affinava di continuo il proprio stile, la sua compita individualità d’autore. Se era nato (nel ‘24) a Roma, Firenze gli fu più consona, per via d’una proporzione innanzitutto etica. E, tra i fiorentini, molto gli aveva insegnato Luzi, specie quello sobriamente discorsivo degli anni ‘50: una lezione mai venuta meno, essendo Tentori un refrattario agli sperimentalismi di giornata e di facciata, come dimostra in una quindicina e più fra libri e libretti.
Almeno qualcuno vorrei citarne: Lettere a Vilna e Nulla è reale (Vallecchi 1960 e 1964), il secondo col mirabile Diario de Nuevo Mexico, scritto direttamente in spagnolo, testimonianza del soggiorno pressoché simbioitico in un “paese dell’anima”.
E ancora: Viaggio in uno specchio (Guanda 1978), Dialogo con l’assente (Cominiana 1989) e Penitenziali, Omaggi e un dialogo (Book 1993), dove la gravità di un endecasillabo che si snoda come il metro naturale del cuore subisce incrinature sempre più fitte, mentre il gusto della poesia-dedica, sagomata a misura del destinatario, consegue effetti di forte presa.
Ne dò qui un esemplare, indirizzato a Ugo d’Andrea, solitario poeta salentino (l’ultimissimo titolo di Tentori, una plaquette edita fuori commercio da Pananti a Firenze è appunto Cartoline per Ugo d’Andrea): “Lo invidio, sai, quel limbo / di orti segreti e l’indolente volo / delle ore contemplate nell’azzurro / della tua sigaretta. Reggi a tanta / quieta bellezza? al mite, al maestoso / incedere del giorno, ai suoi tramonti...”.
Ci mancherà, non ne dubito, nei prossimi anni, la dolcezza di questo accento così classico, di questa pronuncia assorta, confidenziale.

Padova, 22.6.95
Caro Ugo, dunque non era il tuo fantasma, a Ca’ Dolfin, il 9 giugno scorso! Non credevo ai miei occhi e mi sentivo in colpa, per di più, per come erano andate le cose (ho cercato anche di spiegartelo...). E poi la mia fretta di tornare qui, in vista della partenza quasi all’alba, l’indomani. Punita, la fretta, dal fulmine che ha bloccato (il sabato) ogni treno fra Mestre e Padova, sicché il Pendolino delle 6.23 è partito alle 8.45, io coi piedi zuppi per averli infilati entrambi – sotto il diluvio delle sei – in una pozzanghera. Meno male che è arrivata in stazione, con asciugamani e ricambi, la Gianna, in partenza lei per Verona e anche lei costretta a lunghissima attesa... Così sono arrivato a Roma alla riunione del Mondello, che ormai avevano deciso per quasi tutte le sezioni; per fortuna, in viaggio, li ho chiamati grazie al telefonino d’una gentile compagna di scompartimento (il progresso!), avvisando e dando indicazioni: almeno, ho evitato di prendermi oltre al danno subito le beffe e l’onta che spetta ai ritardatarî.
E voi siete ripartiti già il sabato? Potevamo davvero, averlo saputo, mangiare insieme, tutti e quattro. Un’altra volta, speriamolo. Quanto a Raffo, io lo stimo parecchio ed è un peccato che anche lui ogni volta peni per trovarsi un editore decente (e magari finisce nelle avide fauci del Leone, che buon editore non è...). Di Bonaviri ho letto molto, anche la Contrada: ci fu un’epoca, sulla metà degli anni ‘70, che lui veniva spesso a Firenze e con valigie cariche di libri (suoi) che regalava agli amici degni, fra i quali ebbe la bontà d’inserirmi. Sul piano del comportamento, era un po’ insistente e forse megalomane, tuttavia il suo valore è indiscutibile. Di lui mi sembra di aver recensito solamente un romanzo (Dolcissimo) e le poesie di O corpo sospiroso: ciò che, immagino, gli è parso un omaggio saltuario e inadeguato. Ma, ti ripeto, ne ho stima sincera.
È un’ora insolita per scrivere lettere (le cinque del pomeriggio), ma volevo darti un riscontro, colpito come son restato dal rivederti ex abrupto, in una sede così negata alle confidenze. Però ho avuto modo di conoscere Silvana, e questo è già abbastanza. Del mio vivere un po’ concitato fra la prepotenza degli orari e gli ordini di servizio, ti sarai fatta un’idea... Che “presidente” sono...
Prima, eravamo stati in Spagna, come ti dicevo: Salamanca, León, Burgos, con epicentro a Valladolid e corsa finale a Santiago de Compostela. Tutto il giorno, o quasi, al di sopra del poetabile, credimi.
Un abbraccio. Ti ho salutato la Gianna e tu (adesso) salutami Silvana. Affettuosamente.
Saluta anche la tua mamma.

Padova, 10 agosto ‘95
(a Stia dormì, estasiato, Campana: cfr. La Verna)
Caro Ugo, dopo la settimana eccitante, di grandi camminate, in Val di Fassa, eccoci di nuovo a casa; con poche speranze di viaggi ulteriori perché mia madre è a Firenze tutta l’estate e la Gianna deve lavorare sodo (e io?). Un ricordo affettuoso a voi tutti.

Padova, 6.IX.95
Sono passato dalle parti di Pienza mentre c’era il nostro M.L.; ma non ho avuto il tempo di fermarmi a salutarlo.
Caro Ugo, solo questo placido residuo delle mura veneziane, in riscontro alle tue plurime vedute, marine e di terra. “L’ozio” è uscito, ma si vede che le tue poesie non arrivarono in tempo per questo fascicolo. Mi premurerò di far sì che escano nel prossimo, visto che faccio parte di un sedicente “comitato di direzione” (!). Scrivilo, quel che ti senti di scrivere, nella poesia di Francesco. Da stamparlo, poi, troveremo. Bandini è bravo; Scattaglini anche, pur nella sua ossessività (che ci comunica). Saluti ai tuoi.

Padova, 8.1.96
Caro Ugo, la tua lettera ha impiegato 21 giorni da Galatone a Padova... Sarà stato per l’imprudente suo contenuto, che dici? La piccola che ami “appartiene” al Vate; attendi, almeno, che lui lasci questa terra, non ti sembra? Ha l’età del nostro Bertolucci (anzi, l6 giorni di più), quindi non ci saranno da aspettare decenni. Naturalmente voglio pensare a un tuo scherzo, o capogiro da poeta. Sta arrivando il tuo nuovo libro? Il mio (dicono così alla Marsilio) per marzo dovrebbe esserci: 73 poesie, solo poche uscite nel frattempo su rivista. Hai avuto Origine e destino? A questo punto, prova a telefonare al prof. Rafanelli (Loretto)... Io te l’avevo fatto spedire, ma... Con augurî affettuosi per il ‘96.

Padova, 17 febb. ‘96
San Nicolò nella quale, parecchi anni fa, ho portato Luzi: che molto ne restò colpito, da come la s’incontra inattesa.
Caro Ugo, è arrivato il tuo Bosco, e di corsa l’ho attraversato. Grazie della dedica generosa. Mi sembra tutto molto affilato, composto e coerente: gremito di lari, di patrie, con un’inclinazione a Sinisgalli (o, qua e là) a Caproni, che ha ormai espulso il “betocchiano” da me segnalato quasi trent’anni or sono!
Naturalmente rileggerò e ne riparleremo. Sono felice di questa tua sortita (o “conferma”, direbbe la critica). Fa’ spedire a più gente che puoi: anche se, come sempre, saranno in dieci a leggerti come si deve. Con affetto.

Padova, 22.3.96
Caro Ugo, ricevo la tua molto amara lettera; spero che tua madre sia uscita dal coma e tu dalla tua remissività così cupa. Spero. Grazie della ripromessa lettura della mia origine e del mio destino (ebbri? chissà...), ma intanto, con l’uscita del nuovo libro (disponibile dai librai da domani, credo), Numeri primi, ho fatto la dolorosa constatazione che parecchie copie sono da buttar via per due sedicesimi (da p. 64 a p. 95) pieni di pagine bianche e di poesie che, con effetto ridicolo, sono stampate l’una sull’altra! Pare che alla Marsilio non sia mai successo finora: dovevo arrivare io, evidentemente... Se trovi una copia a Lecce, guarda subito in che condizione è (temo che ci siano in giro un centinaio di questi oggetti-aborto). Ti accludo in fotocopia quanto scrissi, nell’anniversario, per Gatto; più ampiamente ne vedrai ancora in aprile su “Poesia”. Tutto qui. Un augurio affettuoso anche per Silvana, anche da parte della Gianna.

Padova, 7 agosto ‘96
Caro Ugo, ebbi a suo tempo i tuoi, vostri saluti, da Firenze e da Urbino. Noi siamo appena tornati da otto giorni di montagna (di stanza a 1738 metri; ma ci siamo spinti, a piedi, fin verso i 3000); vista di ghiacciai e altre meraviglie, in quel di Sondrio. Ora premono i molti lavori lasciati in tronco. Ho visto gli Atti in onore di Macrì (Giornata fiorentina al Vieusseux) e anche il volume coi saggi montaliani. Per il “Giornale” ho scritto una noticina, di più non si poteva... State bene, con un saluto affettuoso.
P.S. Farò il corso 96-97 sulla poesia di Betocchi. Piacerà?

Padova, 24 dic. ‘96
vigilia di un Natale che passeremo a Verona – poche ore; Capodanno, invece, a Firenze, dove mia madre, oltretutto, non potrebbe stare da sola. Il resto delle vacanze qui, studiando sempre, alla rincorsa del tempo perduto, per placare i “creditori” che giustamente esigono la consegna del lavoro pattuito. Che assurdità aver accettato, per debolezza o per un po’ di soldi, impegni che ti rovinano le giornate, l’anno intero... “Julita” introvabile anche dai pochissimi che ne sapevano qualcosa. Mi dispiace. Ma la Grecia è proprio un altro universo, quasi staccato dal nostro. Flitis non aveva contatti, o quasi, con noi “di qua”. Un augurio anche a Silvana.

Padova, 19.VI.97
Caro Ugo, penso che gradirai questa visione romana, anche se spedita da Padova, tra un viaggio e l’altro (torno infatti da Roma, dove risarò la settimana ventura). Ho ricevuto la tua lettera notturna, in strana busta (da stampe o libri). Grazie di quel che ti rimarrà del Gioco e la candela, e se anche per te questa varrà quello. Sorrido al tuo citarmi “La Nazione”, sulla quale cessai di scrivere nel 1980... Non ho sedi sulle quali scrivere di poesia d’oggi. Ma tu spedisci intanto una copia a Crocetti, meglio se con dedica; e forse su “Poesia” una breve scheda si potrà fare. Con molta pazienza nell’attendere, e lo sai...
La mia schiena-gamba va meglio; spero di potermi concedere un po’ di montagna, cioè di buona fatica, dopo il 20 luglio. Sta’ bene e disegna, intanto, sulle carte, il tuo indispensabile grand tour. Un abbraccio.

24 dic. ‘97
Caro Ugo, ho forzato fiabescamente le tue confidenze sul freddo che fa (anche) a Galàtone (gala del Salento). Perdona al poeta queste libertà. Un mucchio di augurî per l’Anno che viene!

(gelate salentine)

Per Ugo / e Silvana
La cucina del diavolo, le pentole
a cui manca il coperchio –
nel Salento
provvidero alla casa – in quel Salento
dove l’inverno non è atteso –
ma
il secolo decrepitando bùbbola
ogni anno di più.
Non ci pensavano
i committenti, o così volle il diavolo
nei panni dell’accorto capomastro
coi suoi ponteggi e règoli infallibili.
E fu pronta la casa, ariosa nitida
gemma e gala del Salento - ma senza
impianto di riscaldamento.
Solo una stufa, monumentale, erede
di quelle ove s’incubano felici
interi giorni e arcate di capitoli
nei romanzi russi dell’Ottocento.
Anche tempio di amori, di preghiere,
e fornello di fulgide cotture.
Ma a dicembre, a gennaio, mentre il secolo
decrepitando arrota i venti e bùbbola
nei suoi fragili carri scortecciati
e perduti sulle vie natalizie
ai proprii nidi, eccoli coricati
i dolci coniugi prima di notte
e prender sonno ai geli che la luce
regala ai cieli sul punto di andarsene...
E lui, temendo che sognerà cupo,
si fa forza, ripensa a quelle stufe,
agli appena discesi da una slitta
che romanzescamente vi s’internano,
membra elette, dai piedi al cuore, accesi
del loro brizzolato portamento...
E chi ascolta venir su dal Salento
al teporoso Settentrione il seme
di novelle sì strane sente il brivido
della distanza e si ridice: - O lunga,
o lunghissima Italia, o calza scura
di Befana, in cui ci si nasconde,
creduli doni di noi a noi stessi,
poeti di torrone e mandorlati,
scorze d’arancia, e carbone, e paura...

24 dicembre 1997

 

10.8.98
Caro Ugo, dopo la nostra conversazione telefonica di poco fa, mi è venuto in mente di consegnarti questi versi di fantasia, “divaganti”, che per pura coincidenza han trovato collocazione sul quotidiano più diffuso del Veneto.

[Sul Gazzettino di Venezia, nel bicentenario leopardiano. N.d.R.]

Se i libri da lontano

Sarete stanco, signor passeggero.
La notte è andata, e voi qui sul mio carro
tutta una tirata sotto le stelle.
Fa freddo? Queste che il rosa addolcisce
sono le mura di Recanati.
E queste le chiavi della città.
Entrate da solo, sarà affar vostro
orientarvi – il dedalo non è
nelle vie dove non si sente un grido
ma semmai nel cuore di chi sapete.
Il poco sole forse gioverà.
Penso che un paio d’ore basteranno
a farvi capire se questo viaggio
era opportuno o inutile. Se i libri
da lontano dicevano già tutto.
Io intanto lego il carro a questi lecci
su cui insiste la luna (o cara luna...).
Siate calmo. Io v’aspetto. Mi direte.
15 giugno 1998

Padova, 20.8.00
Garni “Mayr” - Gruppo del Sella e Passolungo. Ci dormimmo l’anno passato, una notte.
––––
Caro Ugo, evidentemente qui era più a settentrione di Urbino. Ultima Thule! Ma chi vedevi, oltre al poeta Umberto P.? “Voi li cercate invan: son tutti morti” (cita Leopardi nel Dialogo di un Folletto...). In ogni modo: stai bene? Noi abbastanza e – affettuosamente – vi ricambiamo i saluti.
(3 - Fine. Le precedenti puntate su “Apulia”, nn. III e IV 2005)

 


Caro Professor Bernardini,
eccole – con sollecita premura – il mio “poemetto”: LA PORTA DELLE PECORE, con le poesie aggiunte: queste non sono da illustrare. Voglia leggerlo, se mai, anche Lei , oltre al Suo figliolo, e dirmene, o darmene (se crede) il Suo raro giudizio.
Le mando il poemetto per la gentile e buona amica signora Rolli. Per l’altra faccenda dell’Albero, ne scriverò prestissimo a Macri e Le farò sapere. Poi verrò a visitarLa, un pomeriggio, preavvisandoLa per tempo. Ed ora mi conceda due parole per il Suo figliolo. Arrivederci e cordialissimi saluti di affettuosa amicizia (se mi consente).

Caro e giovane Alberto, noi ci siamo conosciuti un paio d’anni fa – credo – in occasione d’un premio Salento. Lei mi parve allora così giovane: ora so che è all’Università; vede: siamo colleghi: auguri per gli studi e l’avvenire: Firenze poi è città unica e Gliela invidio.
E veniamo al servigio che così di buon grado e con freschezza tutta giovanile sta per volermi rendere: grazie infinite. Ho parlato stamani col Suo Papà, che è un fior di garbo e di urbana gentilezza, e di cui Lei certamente deve andar fierissimo.
Non so ancora con qual Editore stamperò il volumetto, comunque: ho scorso di nuovo – poco fa – “La neve” e mi sono soffermato nei Suoi schizzi-disegni: sono altrettante poesie. Ne faccia delle uguali per il mio librino e mi farà contento: sa (scherzo) i poeti sono sempre incontentabili.

Ho segnato qua e là – appiè di pagina – i motivi figurativo-affettivi che Lei dovrebbe illustrare: che sono l’autunno, tetti, orti, rondini, qualche figura umana appena pastellata – in punta di piedi o di lapis – foglie, vecchie nere, un Crocifisso alla parete (ce la fara?: certamente), e soprattutto, come suggerisce il titolo, molte pecore.
Naturalmente, Lei modifichi, amplî, s’affidi dunque al Suo estro piu libero e ne bilanci un po’ le punte, penetrato che abbia lo spirito del mannello di versi (che poi sono un racconto, a chi ben guardi). Dunque, vorrei raccomandarLe, ma so che non ne ha bisogno, di legrere con un po’ di raccoglimento il mio modesto lavoro. Sono fiducioso che ne registrerà – illustrativamente – il succo vitale, il poco che c’è. Dia poi i disegni al Suo Papà che avrà la bontà di ritornarmeli per la stessa signora Rolli: o verrò io a prenderli. Di nuovo, molti auguri per tutto e mi tenga suo Ercole Ugo D’Andrea.

 

D’Andrea, o della poesia neoclassica

Nuove lettere per l’altra riva

Era così: fragile, timidamente ironico, affabulatore con pochi intimi, e comunque ansioso, ossessivamente disposto a non lasciare respiro a chi gli manifestasse sicura amicizia o gli prospettasse spiragli di spazi decenti per la sua poesia.
Era proprio come la sua poesia: cristallo soffiato, sabbia resa trasparente da magici processi chimico-fisici indotti da fucine domestiche, enucleati da fuochi accesi in caverne ammiotiche. Per questo ogni volta che varcava la linea di confine degli affetti primari si sentiva in pericolo. Rientrava allora precipitosamente nel fortilizio con difese vitali (madre-rifugio, moglie-madre), invocando per di più complicità e protezioni di amici e corrispondenti. Luzi e Ramat fra gli altri: prima degli altri, e sopra tutti gli altri. Perché sentiva l’incontenibile urgenza di rimettere nelle loro mani tutto di sé, virtù e vizi, tormenti reali e fantasmatiche rappresentazioni: vita e teatro. Compiacendosi degli abbandoni e avvolgendosi nel calore della comprensione, o ritraendosi corrivo di fronte all’indifferenza (a volte all’insofferenza), di chi aveva eletto a nume tutelare di sé e della sua poesia.
Fu, in ogni caso, continuatore di una tradizione che aveva visto intellettuali e scrittori salentini a contatto permanente con Roma, con Firenze, con Parma, con Milano, aggiungendovi Urbino e i poeti che vi gravitavano, e Padova, e – lui, che fu uomo di pianura e di depressioni da marmorto – eccentriche geografie montane. Rari, e mai oltre un sobrio formalismo, i rapporti con altri poeti di una piccola patria che riteneva simultaneamente trincea e prigione, terra d’esilio e terra d’elezione, per niente preoccupandosi della contraddizione e dell’ambiguità, perché proprio da queste seppe trarre ogni volta la forza dei risorgimenti, dei notturni vitalismi, della bronzea determinazione ad andare avanti, senza mai darsi (senza mai dare) alcuna tregua.
Flessibile e pervicace, al modo di un vinco: ecco quel che fu, e come ci piace ricordarlo. Ricca di risonanze emergenti per partenogenesi: così, la sua poesia, come vogliamo leggerla e interpretarla, visto che è (ed è stata ritenuta) “altra” anche nella linea della tradizione non soltanto salentina della scrittura di profonda eco spirituale.

aldo bello

Ogni cosa è sempre prossima alla fine, nella poesia di Ercole D’Andrea: ogni corpo, ogni passo, ogni sguardo, hanno sempre un rapporto con la fine. I fiori, i grilli fra le case, il mandorlo, l’alba, la foglia, il passero sul davanzale, tutto precipita verso la fine.
È poesia che dice la consapevolezza, a tratti angosciosa, della fragilità dell’esistenza, che dice lo sbigottimento, la rassegnazione davanti allo sgretolarsi delle creature, al dissiparsi delle loro storie.

La morte si affaccia nel paesaggio discretamente o con prepotenza, affiora dalle pagine di un libro, si insinua dentro un verso come similitudine o metafora, assume le sembianze di un perduto affetto.
Tutto è transeunte nella poesia di D’Andrea, e tutto è eterno. Ma l’eterno non è altro che una rivelazione della realtà: è lo stupore che viene da un ricordo, dai fenomeni delle stagioni, da un abbaglio, dai colori del cielo o di un’icona.
L’eterno è nella metafora del mare, nel desiderio di un senso d’infinito, indefinito, sconfinato: “Ditemi: prima di morire / avrò varcato il mare?”. Prima di morire: l’eterno, quindi, è un’ansia che attraversa l’esistenza, che non sta dopo, oltre, ma dentro, nelle profondità.
Il tempo della poesia di Ercole D’Andrea non è che continua replica: tutto quello che accade è già accaduto; ogni pensiero è già stato pensato; i giorni e le notti sono soltanto la copia – copia annerita – dei giorni e delle notti che sono ormai stati.
Una figura di madre va e viene tra il transeunte e l’eterno, tra la vita e la morte, tra il presente e il passato, tra la veglia e il sonno, tra una ragione e un incanto. Creatura di cielo e di terra, la madre è l’incarnazione dell’idea del tempo, il punto di riferimento nella spazio quotidiano, l’archetipo dell’origine dell’universo.
Da una figura di madre D’Andrea ha in dono temi, motivi, modelli culturali, significati che vengono continuamente caricati di valenze nuove e poi rinviati alla madre stessa, forma primitiva ed esemplare, che li accumula, li stratifica, li pone in relazione.
La madre è un codice dell’esistenza; è un reticolo segnico, un testo fluttuante, in continua espansione.
Ed è verso questa forma, verso questa figura, che si orienta la ricerca del senso dell’esistenza; in essa si cercano le ragioni, si generano le domande e le risposte, si indagano i rapporti con il passato, con la propria storia e con quella dell’altro; è questa figura che muove il desiderio di conoscenza che poi si realizza – o tenta di realizzarsi – con un gesto di tradimento: “la madre racconta, ma il figlio / vuole vedere il mare, / la prima stella sul mare / e lascia il pozzo bianco al verdeoro della campagna”.
Al figlio non basta più il racconto della madre, la sua conoscenza, la sua esperienza. Vuole cercare altre storie da aggiungere, da sovrapporre, da confrontare, da stingere, da tramandare con le sillabe di una poesia. Per l’istante che una poesia può durare.
antonio errico

   
   
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