Marzo 2006

Il mercato del lavoro nell’industria finanziaria

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La banca in rosa
F.C.
 
 

 

 

 

 

Rimanendo in un contesto europeo la produttività
del lavoro pone
le banche italiane all’ultimo posto della classifica continentale.

 

Anche quest’anno chi si mettesse a scorrere le pagine del Rapporto 2005 sul mercato del lavoro nell’industria finanziaria, curato dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) e puntualmente uscito negli ultimi giorni dello scorso anno, avrebbe sicuramente l’imbarazzo della scelta sul dove fissare la propria attenzione. Infatti, la ricca messe di dati di cui come sempre anche questa tredicesima edizione del Rapporto si avvale, il contesto internazionale in cui viene calata l’analisi del sistema bancario nazionale, l’attenzione alle tendenze generali e qualificanti dell’economia, si traducono in altrettante possibili chiavi di lettura di un documento che, mantenendo intatta la sua preziosità di repertorio, svela pagina dopo pagina elementi di riflessione sempre nuovi e stimolanti. Sarà, pertanto, giocoforza in questa ricognizione operare alcune scelte senza con ciò voler sottendere un giudizio di minore significatività per altre parti di questo documento, frutto del lavoro di un’équipe di specialisti coordinata da Giancarlo Durante e che si è avvalsa della consulenza scientifica di Luigi Prosperetti.

Una prima considerazione di carattere generale è l’importanza dell’innovazione come fattore costantemente qualificante della nostra era, in quanto permea di sé o comunque influenza tutti gli aspetti fondamentali della società civile, dal normativo, al sociale, all’economico. L’esempio più vistoso è la diffusione della cosiddetta tecnologia a banda larga con implicazioni che trasferite nel mondo del credito si riflettono sia sul piano del comportamento della clientela sia nella formulazione delle strategie bancarie. Che l’innovazione tecnologica chiami in causa l’innovazione strategica è ormai un dato di fatto acquisito, così come risulta in uno scenario più ampio da un’altra connotazione tipica delle banche europee: il concentrarsi su quelle fasi della catena del valore ove godono di vantaggi competitivi rilevanti. Anche in Italia «la crescita della banda larga su rete fissa sta continuando ad un ritmo sensibile e ad essa si deve aggiungere lo sviluppo della banda larga su rete mobile UMTS» Il trasferimento delle attività transattive dalle filiali alla rete (in altri termini, da canali fisici a canali logici) non può essere liquidato semplicisticamente come un fatto fine a se stesso, ma comporta delle conseguenze a tutto campo che riguardano gli orari dei dipendenti e quelli degli sportelli, il reclutamento e la formazione del personale, i sistemi retributivi, e più in generale la distribuzione del ciclo di produzione e di vendita dei prodotti bancari e finanziari tra strutture interne e strutture esterne alla banca.
Tutto ciò determina, poi, una flessibilità nella richiesta di prestazioni lavorative e anche una modificazione nell’attitudine del personale dipendente, «che non vede più necessariamente nella banca un impiego per la vita ed è psicologicamente preparato a vedere premiata la propria attività commerciale con un’incentivazione individuale, che ormai pesa sulle retribuzioni dei dipendenti delle reti bancarie europee per una quota compresa tra il 9% e il 18%»

E qui si incontra nel nostro percorso ricognitivo un secondo tassello di riflessione dedicato all’adeguatezza della normativa e dello strumentario contrattualistico utilizzato nei diversi Paesi e, in particolare, in Italia rispetto a uno scenario ridisegnato. Nel nostro Paese si è partiti da una situazione di afferenza al contratto collettivo nel settore del credito di ogni attività lavorativa prestata nella catena del valore creditizio sancita da un’intesa del marzo 1990 e poi trasfusa nel contratto collettivo del successivo novembre. Sicuramente la rigidità iniziale di questa normativa è stata almeno in parte attenuata dalla cosiddetta “riforma Biagi”, che ha modernizzato la parte relativa ai fenomeni di outsourcing (nel caso di trasferimento di azienda, di appalti e di somministrazione di lavoro). In questo contesto una particolare menzione va poi riconosciuta al Fondo Esuberi, uno strumento utilizzato «per la gestione delle eccedenze di personale connesse a situazioni di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale». Uno strumento di sostegno al reddito di natura privatistica con oneri di finanziamento a carico delle aziende e, quindi, senza alcun aggravio per il bilancio pubblico. Per completezza di quadro c’è, però, da aggiungere che le banche continuano ad essere gravate da una disciplina contributiva in tema di assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria che – stando ai calcoli dell’ABI – a fronte di versamenti dell’ordine di 190 milioni di euro su base annua fornisce loro un ritorno economico pressoché inesistente.
Gli appesantimenti del panorama italiano contrastano con la minore rigidità applicativa riscontrabile in altri Paesi europei: ad esempio, i dipendenti delle banche telefoniche sono coperti da contratti diversi da quelli del credito in molte nazioni, tra cui Spagna, Inghilterra e Olanda. La conseguenza a valle è che i competitors stranieri godono di economie di non poco conto e ciò «è certamente una delle determinanti dei differenziali di costo e di produttività che svantaggiano le banche italiane»
Sempre in quest’ottica non stupisce più di tanto che il costo a livello europeo riferito a specifiche figure professionali veda l’Italia permanere in una situazione di svantaggio nei confronti dei concorrenti di altri Paesi europei, sebbene la moderazione salariale degli ultimi rinnovi contrattuali abbia agito riducendo il gap con altri Paesi. Si prenda il caso del costo dell’addetto allo sportello, con il solo Belgio che si colloca ad un livello superiore a quello dell’Italia, mentre ben al di sotto si situano i colleghi di Spagna, Francia, Germania, Gran Bretagna e Svizzera. All’estremo opposto della scala gerarchica, nel caso dei dirigenti, in virtù della moderazione salariale cui prima si accennava il costo medio italiano risulta inferiore soltanto a quelli francese, belga e svedese.
Rimanendo in un contesto europeo e avendo riguardo all’aspetto dimensionale dell’attività (riferendosi, quindi, all’ormai nota distinzione tra Global Banks, Superregional Banks e Regional Banks), si scopre che la produttività del lavoro misurata dal rapporto tra costo del personale e margine d’intermediazione pone le banche italiane all’ultimo posto della classifica continentale con uno scarto di 7 punti percentuali rispetto alla media europea.
Se, poi, il raffronto si sposta su settori ancor più specifici, le banche italiane mostrano, purtroppo, che la propria posizione è costantemente annoverabile nella pattuglia di retroguardia delle produttività e di avanguardia dei costi.
Esaurito lo sguardo su questo scenario, si può passare al terzo tassello del nostro percorso ricognitivo, considerando i dati più significativi che bene fotografano la recente dinamica delle risorse umane nel sistema bancario italiano. I dati salienti riferiscono di una contrazione del personale occupato di poco superiore allo 0,5% in linea con la tendenza manifestatasi negli ultimi anni, eccezion fatta per l’anno 2000. Alla riduzione degli organici si accompagna uno slittamento del personale verso qualifiche professionali più elevate (ad esempio, nel caso dei quadri direttivi con una crescita di circa 2 punti percentuali, in quello dei dirigenti con un aumento dall’1,9% al 2,1% rispetto al totale dei dipendenti).
Volendo scendere ad alcune ulteriori interessanti disaggregazioni, si può notare come in tema di turnover si rivela un valore di sostituzione negativo in tutte le regioni italiane escluse quelle centrali che segnalano un valore positivo (1,1).
E ancora: sul piano dimensionale la riduzione degli organici risulta interamente ascrivibile ai comportamenti adottati dalle banche di maggiore dimensione; infatti, tanto per le imprese piccole come per quelle minori il saldo assunti/cessati si rivela positivo. Ciò potrebbe anche essere letto come la conseguenza di un’immissione di forze fresche che, poi, nel corso del tempo trasmigrano pro quota verso la parte dimensionale più alta del sistema bancario italiano.
A completamento di questa foto possiamo aggiungere la conferma della prevalenza del contratto a tempo determinato (anche se con una lieve flessione) tra le diverse tipologie possibili, il miglioramento del livello di scolarità con i laureati che ormai costituiscono il 26% dei bancari, l’invarianza dell’età media (42,2 anni) e la crescita della “quota rosa”, cioè di donne presenti in servizio, quota giunta ormai in prossimità del 39%.
Quest’ultimo dato, che costituisce la conferma di una tendenza costantemente verificata negli ultimi anni (si pensi che il dato della popolazione maschile assommava nel 1997 a poco meno del 69%, quindi circa 8 punti percentuali in più rispetto alle ultime evidenze), lo si può desumere anche scorrendo le cifre del turnover che, se calcolato su base nazionale complessiva, parla di 9 assunti per ogni 10 cessati; mentre nel caso del personale femminile i neoassunti salgono a 14 unità per ogni 10 cessati. In definitiva, il 46% delle nuove assunzioni è ormai rappresentato da persone di sesso femminile.
Ci fermiamo qui nella convinzione che i dati e i raffronti esaminati siano sufficienti al lettore ad orientarsi in tema di risorse umane nelle principali dinamiche tipiche delle banche italiane. Una riflessione che permette di osservare il cammino sin qui percorso sulla difficile strada di un recupero di redditività e produttività dell’azienda bancaria in Italia.
Ma anche uno stimolo a proseguire su questa via in cui siamo ancora preceduti e quindi distanziati da alcuni competitors di maggior successo a livello sistema, oltreché di singola impresa. Occorrono sicuramente dosi crescenti di coraggio, lungimiranza strategica, sagacia operativa e umiltà per centrare gli obiettivi necessari a fare dell’Italia non solo un punto di riferimento dell’ars bancaria maturata nella tradizione dei secoli scorsi, ma anche l’esempio puntuale di un mercato moderno ed efficiente al servizio dello sviluppo socio-economico del Paese.

 

   
   
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