Marzo 2006

XXIII Rapporto BNL-centro einaudi

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Il risparmio italiano non ha età
Filippo Cucuccio
 
 

 

 

 

 

Risulta sempre molto elevata la percentuale di
persone che
guardano alla banca di famiglia come punto
di riferimento
essenziale.

 

Mentre è ancora fresca di stampa sulla Gazzetta Ufficiale la nuova legge sul risparmio, giunge con la consueta puntualità la fotografia aggiornata del risparmio in Italia. Il Rapporto, curato dalla BNL e dal Centro Einaudi e supportato da un’indagine campionaria della Doxa su 1.072 famiglie, si presenta come sempre ricco di spunti e dettagli preziosi, utili a stimolare riflessioni e auspici.

Subito colpisce l’immaginazione il titolo di quest’anno, I risparmiatori, vecchi e giovani, a sottolineare significativamente l’intergenerazionalità del fenomeno del risparmio; ma anche a stabilire un richiamo indiretto ai profondi cambiamenti che la stessa figura del risparmiatore ha mostrato in una cornice nazionale e/o più allargata. Dalle pagine di questo studio ci viene, infatti, incontro la figura di un risparmiatore costretto a confrontarsi con «le nuove sfide della popolazione e con una globale riduzione dei livelli garantiti di welfare»; un risparmiatore calato in un contesto in cui «si inizia a risparmiare più tardi e […] non si cessa mai di risparmiare».

Ma i cambiamenti di attitudine e di comportamenti fotografati puntualmente dall’indagine non si esauriscono certo in queste notazioni: basterebbe fare un viaggio a ritroso scorrendo i titoli assegnati al Rapporto negli ultimi anni per certificare cambiamenti di scenario e scandire singolarmente i momenti di un’evoluzione inarrestabile. Dal risparmiatore forse deluso e “fai da te” con cui si inaugurava il terzo millennio al risparmiatore previdente, proiettato cioè verso la tutela del proprio futuro pensionistico, al risparmiatore dello scorso anno, costretto a guardare avanti, superando cadute di credibilità e strappi di fiducia nei confronti degli intermediari, ai quali abitualmente ci si rivolge in un percorso costellato comunque di difficoltà e criticità.

Non è, quindi, immotivato vivere la lettura di questo Rapporto come un viaggio emozionante presso il popolo dei risparmiatori: un viaggio che costituisce anche l’occasione «per ragionare intorno agli squilibri del risparmio e alla possibilità di ridurli nel tempo».

La prima tappa significativa di questo viaggio nel risparmio italiano comincia purtroppo con un dato preoccupante: il forte aumento di individui che non risparmiano. Con il 51% del 2005 si è infatti abbattuto il record storico negativo del 2001 (50%), oltre a stabilire un ulteriore strappo rispetto alla quota già declinante dell’anno prima (48%). Ma quel che è peggio, a corredo di quest’anno orribile, è l’annotazione contenuta nel Rapporto: «Non risparmiatori si diventa per necessità e non certo per libera scelta», anche perché l’assoluta maggioranza delle persone intervistate (ben il 95%) assegna comunque un valore positivo al risparmio.
Se, poi, si allarga la lente dell’analisi ad uno scenario più ampio, puntualmente l’indagine della BNL ci ricorda come nell’economia internazionale la discesa del tasso di risparmio privato si cumula alla discesa del tasso di risparmio pubblico, generando uno shock di preferenza per il consumo presente rispetto a quello futuro, una situazione che almeno negli Stati Uniti si combina poi con l’aumento di valore della ricchezza immobiliare. Quanto all’Italia, la vocazione al risparmio (ove possibile) sembra dettata dai seguenti motivi: acquisto/ristrutturazione della casa, assistenza medica nella vecchiaia, anche se la ragione predominante (42%) è tuttora rappresentata dai cosiddetti motivi imprevisti (l’intento precauzionale di keynesiana memoria).
La seconda tappa qualificante di questo studio ci porta ad approfondire il rapporto tra il risparmio e i giovani con evidenze microeconomiche che bene fotografano attitudini e comportamenti di quanti si trovano in un’età compresa tra i 20 e i 30 anni: in particolare, da un lato risalta la cura specifica per un’accumulazione finalizzata a investimenti importanti, come l’acquisto di una casa; e, dall’altro, emerge il comportamento spiccatamente orientato al “fai da te” nella problematica scelta finanziaria per la pensione.
Ma è ora di muoversi per spostare l’attenzione verso un terzo elemento di valutazione che caratterizza marcatamente anche questa ventitreesima edizione dell’indagine: la persistenza di una relazione fiduciaria privilegiata tra i risparmiatori e la banca di famiglia, «la banca prevalentemente utilizzata per le normali operazioni di conto corrente a suo tempo scelta principalmente in virtù della sua prossimità all’abitazione o al posto di lavoro, ovvero per il fatto di rappresentare la banca di riferimento per la famiglia di origine».
Si ha così la conferma che la banca di famiglia continua ad essere la fonte precipua d’informazione finanziaria; ed egualmente risulta sempre molto elevata la percentuale di persone (60%) che guardano alla banca di famiglia come punto di riferimento essenziale per ottenere una consulenza adeguata alle proprie esigenze.
Naturalmente il rapporto fiduciario, pur essendo così forte, non è caratterizzato solo da aspetti positivi per le banche, non mancando alcune ombre che almeno in parte lo offuscano. Basti citare lo stato di diffusa rassegnazione percepita nella clientela alla voce “reclami”, ritenendosi di fatto inutile avanzarli in quanto assolutamente improduttivi di conseguenze positive. O anche, spostando il focus su aspetti di consulenza per gli investimenti, si nota come il principale problema sollevato dalle persone intervistate è dato dal loro convincimento circa il presunto atteggiamento dei funzionari di banca, ritenuti incentivati a vendere i prodotti più convenienti per la banca di appartenenza, trascurando e quindi non soddisfacendo le reali esigenze della clientela.
Ma la rassegna delle relazioni tra banca e cliente non si arresta qui, dovendosi prevedere un’altra tappa importante e, quindi, un particolare spazio di attenzione: il tema del remote banking, la cui diffusione secondo le ultime rilevazioni presenta livelli di omogeneità di penetrazione rispetto alla dimensione dei centri di residenza; mentre sembra persistere un significativo gap tra le regioni del Mezzogiorno/Centro-Sud da un lato e le restanti aree del Paese, dall’altro.
E continuando sul tasto delle discontinuità legate al remote banking, la fotografia di quest’anno mette in risalto altre due differenziazioni che vale la pena di citare: la prima riferita alle fasce di età (con livelli diffusivi omogenei tra 18 e 49 anni e poi un sensibile distacco per i risparmiatori più anziani); la seconda relativa al livello d’istruzione e di reddito con un uso crescente direttamente proporzionale al variare all’insù dell’una e dell’altro.
Ancor più specificamente, scendendo poi ad analizzare i diversi strumenti che compongono il remote banking, l’indagine BNL-Einaudi, se da un lato conferma che l’Internet banking ne è ancora una volta la forma più diffusa (anche per la gamma più ampia di servizi offerti, tra cui i bonifici e le ricariche di telefoni cellulari), dall’altro svela un paio di novità interessanti da memorizzare: la prima di segno positivo, l’ulteriore salto in avanti della quota di persone che lo utilizzano per il pagamento delle utenze domestiche; l’altra in negativo coglie, invece, il ridimensionamento del trading on line legato verosimilmente – dice testualmente lo studio – «alla contenuta volatilità dei mercati finanziari».
Né vanno trascurate ulteriori notazioni in tema di uso di questo strumento, quali i motivi che frenano una sua più marcata diffusione: al riguardo, le risposte più ricorrenti indicano gli aspetti della complessità di comprensione del funzionamento, dell’indisponibilità di un personal computer e della preferenza di un contatto personale con la banca.
Meno rilevanti appaiono le risposte sui problemi di sicurezza e sulla relativa utilità di questi servizi che, invece, in passato riscuotevano un maggiore afflusso di opzioni.
La conclusione del nostro viaggio attraverso le caratteristiche del risparmiatore italiano porta, infine, a soffermarsi su alcuni aspetti dell’informazione finanziaria. Qui si trova una valida conferma a quanto prima ricordato, e cioè che «lo zoccolo duro dei risparmiatori italiani continua a fare riferimento alla propria banca», anche se meno che in passato.

Di questo calo non hanno saputo trarre pienamente vantaggio le reti di promotori finanziari che, pur essendosi sottratti ai maggiori scandali finanziari e avendo conseguentemente guadagnato qualche posizione, non sono stati percepiti con maggiore positività probabilmente per la mancata definizione di un modello di business fortemente differenziato rispetto alle banche. Migliorano, invece, la propria classifica i giornali e gli altri strumenti d’informazione, mentre sono segnalate in calo altre fonti tradizionali di consulenza e conforto nelle scelte finanziarie (amici e famiglia).

Ma il tema dell’informazione finanziaria non può certo essere liquidato attraverso l’analisi di una classifica dell’uso dei diversi strumenti. C’è, infatti, un altro aspetto peculiare che va sottolineato, il tempo dedicato dagli italiani alla propria informazione finanziaria. Qui, purtroppo, il dato che si ricava dall’indagine non è granché consolante, in quanto solo una modesta percentuale (1 italiano e mezzo su dieci) dedica un tempo congruo (almeno un’ora alla settimana) a questa attività di documentazione e cura dei propri investimenti.

Molteplici sono le ragioni di questo marcato disinteresse, ma la principale – secondo il Rapporto – s’identifica nella presenza di uno Stato/mamma, ossia nel fatto che le famiglie hanno soddisfatto nei decenni passati i propri bisogni finanziari attraverso la spesa pubblica, un livello generoso di pensioni ed elevati interessi sui titoli di Stato. In questo scenario così poco confortante un raggio di luce è, comunque, rappresentato dall’emergere di una maggiore consapevolezza dell’importanza dell’informazione finanziaria nell’ambito di alcune categorie professionali con livelli di reddito più alti e una molteplicità di rapporti con le banche. Certo in quest’ottica non depone, purtroppo, favorevolmente il fatto che nel già richiamato testo legislativo sul risparmio non siano previsti specifici stanziamenti per l’educazione del risparmiatore, così come invece accade in altri Paesi europei.

Dalle analisi e dalle riflessioni agli auspici. Per confermare con forza come non sia più rinviabile quella cultura del risparmio cui si faceva riferimento in sede di commento alla scorsa edizione 8. Con in più il convincimento che l’afflusso delle nuove generazioni, forse maggiormente sensibili alle novità, possa offrire nel prossimo futuro una fotografia del risparmio italiano frutto di scelte sempre più consapevoli e mature, in un mercato finalmente libero da vecchi pregiudizi e norme obsolete.

 

   
   
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